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Il Libro del Mese




Streghe e pagane
di Max Dashu

 

Il Tempio della Ninfa

Madre Lupa
Domenica, 02 Agosto 2015 - 00:41 - 9899 Letture
Racconti Con immensa gioia ed emozione pubblichiamo la prima e unica traduzione italiana dell’unico capitolo rimasto inedito in Italia di Daughters of Copper Woman, o Le Figlie della Donna di Rame, di Anne Cameron. La traduzione e la pubblicazione, a cura di Alessandro Zabini e Laura Rimola (Violet), è stata concessa a Il Tempio della Ninfa direttamente dalla Harbour Publishing, che possiede i diritti dell’opera.
Il capitolo che segue fa parte dell’ultima edizione del libro, riveduta e aggiornata nel 2002, e contiene un raro e prezioso insegnamento di amore, comunione con la Natura e maternità sacra.
Vi auguriamo con gioia buona lettura.

MADRE LUPA

Il lupo Saqual era terrorizzato, eppure aveva visto la strana creatura, la donna, emergere dalla pelliccia della sua amata, perciò non fuggì…

***

Due grandi lupi grigi uscirono correndo dalla foresta, si fermarono in riva al fiume e chinarono la testa per bere. Prima l’uno poi l’altro, alzavano la testa a controllare che non vi fossero pericoli, e tutti e due muovevano costantemente le orecchie, ascoltando ogni suono che potesse annunciare l’avvicinarsi furtivo di qualcosa.
Placata la sete, il maschio si sdraiò sulla riva sassosa, gioendo del sole d’inizio primavera che gli scaldava il corpo. Entrambi i lupi indossavano ancora la pesante pelliccia invernale, e benché fosse stata una stagione dura e gelida, con i laghi imprigionati sotto il ghiaccio e soltanto i torrenti più rapidi a scorrere liberi, erano sani e ben nutriti.
La femmina entrò in acqua, con gli obliqui occhi gialli fissi alla riva opposta, e cominciò a fiutare, fiutare bramosamente. Emise un latrato acuto e si addentrò in acque più profonde. Il maschio uggiolò, ma la femmina non accennò a voler tornare sulla riva sassosa. Continuò ad avanzare nel fiume, sempre più in profondità, finché non riuscì più a camminare e cominciò a nuotare.
Il maschio si alzò, rizzò la testa e ululò alla compagna, ma non ottenne risposta. Angosciato, entrò in acqua per seguirla e nuotò dietro di lei, mentre lei attraversava il fiume che nessuno dei due aveva mai attraversato prima.
La femmina fu la prima a uscire dall’acqua e s’incamminò sui sassi neri e scintillanti. Si scrollò diverse volte, spruzzando dalla folta pelliccia, poi si voltò a guardare il compagno, esausto e tremante, che usciva dal fiume e ansimando cadeva sui sassi, incapace di camminare. Allora gli si avvicinò, gli leccò il muso, lo incoraggiò con teneri versi, gli si sdraiò accanto e lo pulì, leccandolo fino ad asciugarlo. Dopo qualche tempo lui riuscì ad alzarsi e la seguì, barcollando. Lei rallentò l’andatura, in modo che anche lui potesse mantenerla, e così proseguirono insieme lungo la riva.
Sostarono due volte, così che il maschio potesse riposare, mentre il colore dei sassi cambiava da nero a grigio, e poi da grigio a marroncino. I rami e i ceppi incastrati nelle fessure fra le rocce rivelavano quanto si gonfiasse il fiume in tempo di piena, e più di una volta la femmina affondò il naso nelle fosse di arenaria, dove l’acqua aveva scavato qualche grotta. Ma nessuna di queste era quella che stava cercando, così continuò a costeggiare il fiume.
Proprio mentre il sole cominciava la sua lunga e lenta discesa dietro le montagne, la femmina entrò in una grotta e non ne uscì più. Il maschio uggiolò e attese, uggiolò ancora, e infine andò a cercarla.
La grotta era alta e spaziosa, ma non vi era traccia della lupa. Il maschio fiutò il terreno e seguì il suo odore fino all’angolo più buio della tana a forma di falce di luna. Là, dove soltanto l’occhio più acuto avrebbe potuto vederla, si apriva una galleria che si addentrava nell’oscurità. Il lupo latrò, e finalmente udì giungere dalle profondità della caverna la risposta della compagna.
Incoraggiato, entrò nella fenditura, il naso tremante a fiutare l’aria. Con prudenza e risolutezza percorse il corridoio sin dove la terra si apriva di nuovo in una vasta caverna. Qui la lupa giaceva su un fianco. Il maschio le si accostò e la spinse con il muso, e lei lo salutò leccandogli il naso, poi contrasse il corpo, raccolse le zampe posteriori, e si lasciò sfuggire dalla bocca un lieve grugnito di sforzo. Il maschio si distese accanto a lei, preoccupato e premuroso, e ogni volta che lo strano spasmo affliggeva la femmina lui le lavava il muso, le rivolgeva dolci versi d’incoraggiamento e la rassicurava con il calore della propria presenza.
Il primo cucciolo di lupo a emergere dal corpo della madre era grigio come i genitori. La seconda era rossiccia come la grotta in cui era nata. La terza era nera, nera come l’oscurità in cui era emersa, e la quarta era bianca da capo a coda, tranne che per il naso nero. Arrivarono altri cuccioli, di altri colori e combinazioni, finché furono in tutto dodici a uggiolare e a strofinare i musetti contro la madre.
Nell’ampia grotta c’era una polla di ghiaccio sciolto, così la femmina lasciò la cucciolata al maschio per andare a dissetarsi con l’acqua fresca. Si scrollò alcune volte, quindi bevve di nuovo, e con il ventre pieno d’acqua tornò a sdraiarsi intorno ai suoi piccoli. L’acqua che aveva bevuto diventò latte e i cuccioli, ancora umidi e ciechi, si nutrirono di lei fino a quando ebbero le pance piene, poi si addormentarono fra i corpi caldi dei genitori.
La femmina e la sua prole dormivano ancora quando il maschio lasciò la grande caverna, ripercorse la galleria, e tornò nella piccola grotta guardiana. Socchiudendo gli occhi alla luce, avanzò cauto fino all’imboccatura per scrutare fuori e controllare il vento prima di lasciare la sicurezza del rifugio. Scomparve nella fitta foresta buia e iniziò a cacciare per procurare cibo a se stesso e alla famiglia ancora addormentata nella caverna.
I lupi non hanno tasche né mani, perciò possono trasportare il cibo soltanto in due modi. Quando ritornò alla caverna, il maschio aveva una grossa e pesante coscia di cervo stretta tra le fauci e lo stomaco pieno di fresca e deliziosa carne di cervo, che rigurgitò per la sua famiglia. La femmina mangiò e mangiò e mangiò, finché il suo ventre fu colmo. Soltanto quando seppe per certo che lei era soddisfatta, il maschio divorò il resto della propria offerta. Più tardi, insieme, femmina e maschio rosicchiarono e masticarono la coscia, rompendo le ossa per poterne leccare il ricco midollo. Anche se non sentivano fame, la natura aveva stabilito che dovevano banchettare quando avevano cibo e conservare il grasso per quando non ne avrebbero avuto. Dormirono, e anche i cuccioli dormirono, poi si svegliarono e bevvero il latte nutriente, poi dormirono ancora. Al risveglio, i genitori finirono la coscia, si leccarono il muso a vicenda e riposarono ancora un poco.
Qualche tempo dopo la lupa si alzò dalla cucciolata, attraversò la caverna fino alla galleria, la percorse fino alla piccola grotta, e come aveva fatto il maschio sostò all’imboccatura per controllare che non vi fossero pericoli, prima di uscire. Corse lungo la riva del fiume, sgranchendo il corpo e sciogliendo i muscoli. Si addentrò nella foresta, esaminando, esplorando il suo nuovo territorio, e appena si fu allontanata dalla cucciolata uggiolante abbastanza per saperla al sicuro, scavò una fossa, vi svuotò le viscere e la vescica, e infine la ricoprì. Tornata di corsa al fiume, vi entrò e nuotò finché l’acqua l’ebbe ripulita di tutti gli odori dei fluidi del parto rimasti sul suo corpo. Quando fu completamente pulita, ripercorse la riva del fiume più veloce che poté e raggiunse la grotta guardiana scavata nell’arenaria.
I cuccioli, tutti svegli e uggiolanti, cercavano di ottenere dal padre ciò che si può avere soltanto da una madre. La lupa si sdraiò con loro e si acciambellò intorno a loro, e i piccoli si spinsero contro di lei, cercando fino a trovare i capezzoli e succhiando affamati. Quelli che non riuscirono a trovare le mammelle guairono mestamente e dovettero attendere che gli altri fossero soddisfatti prima di potersi nutrire.
Il maschio aspettò che i cuccioli si tranquillizzassero e si addormentassero, quindi si alzò e silenziosamente uscì, come un’ombra nella tenebra. Rimase assente per lungo tempo, e quando tornò aveva di nuovo il ventre pieno e tra le fauci stringeva due grassi conigli. Offrì di nuovo il pasto alla femmina e lei lo divorò avidamente, poi giacquero insieme con i cuccioli caldi fra loro, e riposarono.
Quando i cuccioli ebbero due mesi, i genitori li condussero fuori dall’oscurità della caverna, nella grotta guardiana. La luce spaventò i piccoli, che corsero a nascondersi nell’angolo più buio, ma la madre li spinse col muso al centro della grotta e il padre li trattenne finché si furono abituati alla luce che si riversava dall’imboccatura. Torcevano le orecchie appena udivano un canto d’uccello provenire dall’esterno e corrugavano i nasini nel tentativo di distinguere i numerosi odori che giungevano alle loro narici. Mentre il maschio rimaneva con loro, la femmina uscì per andare nel bosco, scavò una fossa per soddisfare le esigenze del corpo e la coprì di nuovo. Poi, quando ebbe finito, andò a cacciare.
Mangiò fino ad avere il ventre tanto gonfio che quasi strisciava al suolo e trascinò il più grosso pezzo di carcassa di cervo che riuscì a portare alla grotta guardiana. I cuccioli annusarono la carne fresca e tentarono persino di morderla, ma le loro zanne erano ancora sottili come aghi e le loro fauci avevano poca forza. Quando furono pronti a rinunciare al vano tentativo di consumare la carne fresca, la madre rigurgitò un mucchio di carne quasi digerita, che loro leccarono golosamente. Insieme al cibo ingerivano anche gli enzimi digestivi del corpo della madre, con cui potevano assimilare il nutrimento.
Si stavano ancora nutrendo quando il lupo lasciò la grotta per seguire a ritroso le tracce della femmina, recuperare ciò che lei non era stata in grado di trasportare e trascinarlo fino alla grotta.
In meno di una settimana i cuccioli impararono a strappare pezzetti di carne fresca dalle prede uccise e portate nella grotta dai genitori. Alla fine del terzo mese furono in grado di mangiare qualunque cosa e non ebbero più bisogno di essere allattati dalla madre.
Un giorno d’estate la famiglia di lupi lasciò la grotta e scese a valle, costeggiando il fiume fin dove sfociava nell’oceano. I cuccioli corsero avanti e indietro sulla sabbia, poi si gettarono nell’acqua salata e ne fuggirono via, fingendo una paura che non provavano. Trovarono e sgranocchiarono piccoli granchi di mare, con tanto di carapace, tentarono di afferrare, e riuscirono persino a catturare i pesciolini abbandonati nelle pozze dal riflusso della marea, inseguirono i gabbiani, scavarono nella sabbia in cerca di vongole e s’infuriarono quando scoprirono di non riuscire ad aprirne le valve. Uno qui, uno là, si lasciavano cadere sulla sabbia asciutta e dormivano, ma soltanto finché gli altri lo permettevano. Presto o tardi un cucciolo sveglio andava da quello che dormiva e cominciava a tirargli una zampa o a mordicchiargli la coda, e allora l’altro si svegliava e fingeva di lottare.
La femmina andò a nuotare nell’oceano e uscì dall’acqua gocciolante e pulita. Si scrollò, poi si scrollò ancora, e infine si tolse la pelliccia e l’appese a un arbusto ad asciugare. La donna rientrò nell’oceano e questa volta nuotò in modo diverso, poi ne uscì di nuovo e si sdraiò sulla sabbia, appoggiando la testa sul possente corpo di Saqual, il lupo. Lui ne rimase sgomento, terrorizzato, eppure aveva visto la strana creatura, la donna, emergere dalla pelliccia della sua amata, e quando la fiutò aveva l’odore che doveva avere, perciò non fuggì. Inoltre, i cuccioli giocavano lì vicino, e lui sarebbe morto piuttosto che abbandonarli.
Dopo breve tempo alcuni cuccioli si avvicinarono a Saqual e gli si sdraiarono accanto, fissando con meraviglia quella nuova creatura. Un cucciolo portò una conchiglia di vongola, la donna gliela prese e picchiò il dente cardinale su un sasso, spezzando i muscoli che la tenevano chiusa. Fece leva per aprirla e offrì al piccolo lupo il grumo di carne che viveva all’interno. Il cucciolo lo leccò dalle sue dita e la sua bocca fu inondata dal prodigio del sapore di vongola. Quando rizzò la testa per ululare di piacere, la sua pelliccia si staccò e cadde, e un bambino si trovò seduto accanto a un lupo e a una donna. «Ma», disse, e si avvicinò alla donna. Lei lo abbracciò e gli accarezzò le braccia e le gambe, in modo che si sentisse a suo agio nella nuova pelle. Poi, insieme, portando la sua pelliccia, scesero alla spiaggia accompagnati da altri due lupacchiotti.
I cuccioli scavavano nei punti che la donna indicava, e ogni volta scoprivano nuove vongole. La donna le raccoglieva e le riponeva nella pelliccia caduta a suo figlio. Quando la pelliccia non poté più contenerne, tornarono dove Saqual, perplesso, giaceva con il resto della cucciolata.
Più e più volte la donna spaccò le vongole per aprirle, più e più volte offrì la carne di vongola ai cuccioli, e più e più volte i cuccioli leccarono la carne dalle sue dita. Altri tre piccoli lupi persero la pelliccia e diventarono bambini. Gli altri invece mantennero la forma in cui erano nati.
Quando la luce iniziò ad attenuarsi, Saqual si alzò, si scrollò la sabbia dal pelo e cominciò a risalire la riva del fiume verso la grotta. I lupacchiotti lo seguirono. La donna e i suoi quattro bambini rimasero sulla spiaggia. Mangiarono altre vongole, bevvero l’acqua fresca del fiume, e quella prima notte dormirono sotto un arbusto di lampone – una donna adulta, due bambine e due bambini, con le labbra macchiate di succo di lampone e le pance piene di vongole. E come i cuccioli erano nati con pellicce di colori diversi, così i quattro bambini avevano la pelle di colori diversi, uno bruno, uno rossiccio, uno bianco e uno nero. Erano fratelli e sorelle, nati dalla stessa madre e dallo stesso padre, però non erano identici.
Al mattino Saqual e i suoi piccoli tornarono alla spiaggia per far visita alla loro famiglia. Trovarono Donna e i suoi bambini seduti accanto al fiume a banchettare con pesce. Donna ne offrì un poco a Saqual e lui mangiò dalle sue dita, godendo del suo primo assaggio di salmone. Donna si sdraiò sul ventre, allungata verso il fiume, e cantò un canto di lode. Alcuni salmoni emersero dall’acqua e si sdraiarono sui fianchi, tremanti di gioia. Donna solleticò loro la gola, poi infilò le dita nelle loro branchie e li trasse dall’acqua. Sempre cantando, li offrì come cibo a Saqual e ai cuccioli, e tutti banchettarono. Donna cantò ai salmoni e loro si offrirono volontariamente, e quando Donna e i bambini e Saqual e i piccoli lupi non furono più affamati, Donna cantò per i salmoni finché furono così pieni di gioia che si lanciarono a risalire il fiume per procreare sulle rive sassose.
Durante quella prima giornata interamente vissuta in forma umana, Donna e i suoi bambini scelsero un luogo sul fiume, a monte della foce nell’oceano. L’acqua aveva già aperto una serie di piccole caverne, ma Saqual e i lupacchiotti scavarono, scavarono, scavarono, scavarono una grotta per allargarla, poi l’allargarono ancora finché fu ampia, ariosa e sicura. Quella notte Donna e i suoi bambini dormirono nella nuova grotta. Invece Saqual e i suoi cuccioli tornarono alla prima caverna e si acciambellarono insieme nella confortante oscurità.
A volte Saqual e i piccoli portavano carne di cervo, o conigli, o pernici o fagiani, e altre volte Donna incantava i salmoni, ma ogni giorno tutti loro, lupi e umani, mangiavano a sazietà.
Quando l’estate finì e le tempeste d’autunno iniziarono a ululare, Donna e i suoi bambini si avvolsero nelle pellicce che avevano perduto. Impararono qualcosa di nuovo ogni giorno, come accendere il fuoco, come intrecciare reti, come preparare lenze e ami, come cucinare il merluzzo, il pesce persico e la trota, e persino lo storione.
Un giorno, mentre era fuori a cacciare, Saqual incontrò una lupa. Era emaciata e zoppicante, e sembrava prossima a morire. Lui la interrogò e lei gli disse che era stata aggredita da un coguaro e ferita tanto gravemente da non poter più cacciare. Saqual la condusse con sé alla caverna e la nutrì, e mentre lei giaceva addormentata con i lupacchiotti a proteggerla, Saqual corse lungo la riva del fiume fino alla spiaggia, dove Donna stava raccogliendo ostriche.
Saqual andò da lei e le leccò una mano, e Donna gli accarezzò la pelliccia, lo coccolò, lo grattò dietro le orecchie e sotto il mento. Saqual le raccontò della lupa e di come l’aveva condotta alla caverna. Donna gli sorrise e di nuovo lo accarezzò, finché lui fu talmente sopraffatto dalla gioia per le sensazioni causate dalle sue mani che giacque sulla spiaggia a mugolare felice. I bambini e le bambine che erano stati lupi si avvicinarono per rotolarsi con lui, e giocare e ridere e imitare la madre, accarezzandogli la bella pelliccia.
Quando ritornò alla caverna, Saqual vi tornò come lupo solitario, non più come compagno della lupa che era diventata Donna, e quando la seconda lupa fu guarita e fu di nuovo capace di cacciare, scelse Saqual come suo compagno, e a primavera vi fu una nuova cucciolata di lupacchiotti nella caverna.
Saqual condusse con sé alla spiaggia due cuccioli, un maschio e una femmina, e Donna aprì le vongole per loro, ne offrì loro la carne, e loro la leccarono dalle sue dita fino a pulirle. Le loro pellicce caddero e furono bambini, un maschio e una femmina, più piccoli e più giovani dei bambini di lei, con lineamenti lievemente diversi, imparentati con lei, ma non del tutto suoi parenti. Comunque lei li abbracciò, li accarezzò, li fece sentire a proprio agio nella loro nuova pelle, e quando loro ebbero imparato a parlare, la chiamarono madre.


Nota:

Questa traduzione è realizzata e pubblicata con il permesso scritto dell’editore, Harbour Publishing.
«Wolf Mother», di Anne Cameron, Daughters of Copper Woman, 1981 (edizione riveduta, 2002), Harbour Publishing, www.harbourpublishing.com.

This translation appears with permission by the publisher, Harbour Publishing.
«Wolf Mother», by Anne Cameron, Daughters of Copper Woman, 1981 (revised edition 2002), Harbour Publishing, www.harbourpublishing.com.

***

Consigliamo caldamente la lettura del testo completo originale Daughters of Copper Woman, o della traduzione italiana Le Figlie della Donna di Rame, edita dalle Edizioni della Terra di Mezzo, Milano.
Il capitolo mancante nella versione italiana, qui tradotto, è compreso fra i due capitoli La Regina Madre e Donne Guerriere
.



Madre Lupa | Login/crea un profilo | 2 Commenti
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Re: Madre Lupa (Punti: 1)
da mausci 29 Ago 2015 - 02:32
(Info utente | Invia il messaggio) http://comemistermagoo.blogspot.com)
Che meraviglia..grazie ragazzi..mi sono commossa..

Re: Madre Lupa (Punti: 1)
da Danae 07 Nov 2015 - 17:45
(Info utente | Invia il messaggio) http://)
Grazie Alessandro, grazie Laura! E' un dono prezioso!
Sono piena ma piena di meraviglia... *.*



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