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Il Tempio della Ninfa

Le Rose del Ricordo
Giovedì, 28 Maggio 2015 - 03:53 - 9345 Letture
Racconti “C’era una volta una regina che aveva tutto perduto. Il suo regno era stato distrutto dai nemici e il re suo marito ucciso in battaglia. Ella s’era rifugiata con un suo figlioletto su un’alta e ripida montagna, dalle vette dentate; e poiché nessuno conosceva il suo riparo, vi era rimasta indisturbata. Soltanto uno scudiero, che l’aveva vista fuggire, riuscì a rintracciarla, e volle restare presso di lei, per servirla. La regina gli chiese allora di portarle un fiore dal campo di battaglia ov’era caduto il re, per avere almeno una cosa da conservare in memoria di lui.

Lo scudiero si mise subito in cammino; e quando tornò, tre giorni dopo, consegnò alla regina non un fiore, ma la spada del re. Poco tempo dopo la regina fu costretta a congedarlo, perché era tanto povera che non poteva tenere al suo servizio neppure un solo scudiero. E rimase sola col figlio sulla montagna deserta.




Gli anni passarono, e il piccolo bimbo della regina divenne un robusto giovane. Un giorno, egli trasse dal fodero la spada di suo padre, e dichiarò che voleva andarsene pel mondo in cerca d’avventure. La madre cercò di trattenerlo; ma quando ebbe compreso che non vi sarebbe riuscita, gli consigliò di andare a cercarsi una sposa: avrebbe però dovuto sceglierne una che possedesse un grande tesoro. Quando il giovane prese congedo da lei, la regina gli diede ancora un ammonimento: non sguainare mai la spada se non fosse assalito.
Il principe percorse in lungo e in largo tutto il paese, senza trovare né la sposa che cercava, né un luogo che lo invogliasse a trattenervisi. Un giorno udì parlare delle montagne bianche e nere, fra le quali, nel mezzo di un roseto, sorgeva una torre, che veniva chiamata la Torre del Ricordo, senza che nessuno sapesse spiegare l’origine di questo nome. Libero com’era di sé, e senza meta del suo vagabondaggio, decise di andar alla ricerca di quella torre. Non fu facile impresa. Egli dové molto camminare e molto domandare prima di scoprire dove fosse il paese dei monti bianchi e neri.: e quando, finalmente, vi fu arrivato, cominciò una lunga ricerca della misteriosa torre, che pareva introvabile.
Una sera, nell’ora che il sole si avvicina alle cime dei monti, il principe passò accanto a un casolare chiamato Vidòr; proseguendo oltre, poco dopo si trovò in una valle coperta di boschi. Vi camminava da poco, quando vide a terra, davanti a sé, un verme nero, e fece un movimento per schiacciarlo: ma il verme aveva un aspetto così ripugnante che ebbe schifo di toccarlo col piede; e trasse la spada per tagliarlo a pezzi. Però, nel sentirsi in pugna la spada sguainata, gli tornò alla mente l’ammonimento di sua madre, e si disse:
– In verità, questo povero verme non fa male a nessuno. Lasciamolo vivere.
Continuando la sua strada, arrivò a un dirupo coperto di cespugli, fra i quali, poco discosto dal sentiero, stava una fanciulla che pareva coglier fiori. Aveva una cintura intessuta di fili d’oro, e un lungo velo scuro le copriva il capo. Il principe, nel passare, la salutò. La fanciulla rispose al saluto, ma volgendosi dall’altra parte, così che egli non poté vederla in viso. Il principe si fermò, e le chiese se sapesse la strada per andare alla Torre del Ricordo. Senza voltarsi, ella gli domandò a sua volta se avesse visto il verme nero; e, alla risposta affermativa del principe, volle sapere se il verme fosse ancora vivo.
– L’ho lasciato vivere, perché mi pareva innocuo, rispose il principe.
– Allora andiamo, disse la fanciulla, ti mostrerò la via della torre.
Si tirò il velo sul viso, e s’incamminò per il sentiero; il principe la seguì. Giunsero a una gola, nella quale il sentiero passava fra le rocce verdi di muschio; ed ecco, davanti a loro, un serpente rizzar la testa minacciosa.
– Guardati! Disse la fanciulla.
Il principe si fermò a osservare il serpente; e poiché non ne aveva mai visto uno simile, chiese alla sua compagna se fosse pericoloso.
– Secondo i casi, rispose la ragazza; per me non è pericoloso, ma a te potrebbe far male.
– Se non può far male a te, lasciamolo stare.
– Questo è bello da parte tua, disse la fanciulla.
Fecero un giro per evitare il serpente: ma il principe fu molto sorpreso di vedere tutt’a un tratto sulla testa del rettile una minuscola corona d’oro.
– Guarda! Esclamò. Ma che razza di serpente è questo?
Vide che la fanciulla rideva e, sorpreso, domandò:
– La conosci forse?
– Certamente, rispose la ragazza. È mia sorella. Non vuol permettere che si vada alla Torre del Ricordo, e cerca di attraversare la via a chiunque si avvicini.
Il principe era rimasto senza parola per lo stupore; continuava a guardare il serpente, e non si decideva a rimettersi in cammino. Ma la ragazza gli fece segno di seguirla:
– Vieni, la torre è vicina.
E corse avanti. Seguendola, il principe osservò che s’era tolta il velo dal viso e che era bellissima. Intento a guardarla, non s’accorse che poco distante da loro, ad oriente, appariva qualche cosa d’insolito. Ma la fanciulla si fermò, e indicò con la mano tesa l’alta Torre del Ricordo: era là, davanti a loro. Sopra una collina, nella luce del sole morente.
Non si capiva bene come e con che materia fosse stata costruita: ora pareva trasparente e irreale, ora sembrava fatta di un lieve intreccio di rami, ora di pietre lucenti. Le fioriva intorno un meraviglioso roseto, e le rose s’arrampicavano sulla torre, su, fino alla cima. Avvicinandosi, si scopriva che tutta la torre era formata da tralci di rose, intrecciati fra loro a migliaia.
Il principe, entrandovi con la sua guida, vide che vi sgorgava dal suolo una fonte, la quale si riversava in un vaso prezioso. Il vaso conteneva una sola rosa: la più bella di tutte. La fanciulla si fermò presso la fonte, e cominciò a raccontare la storia della Torre del Ricordo.
– Vi fu un tempo, nel quale gli uomini vivevano in semplicità d’animo e di costumi, e non conoscevano invidia né discordie. Non v’erano delitti né guerre. Tutte le questioni venivano risolte pacificamente. Ma in queste fortunate condizioni di benessere, gli uomini a poco a poco diventarono ricchi; e allora cominciarono le contese. Scoppiò una guerra, poi un’altra, poi molte altre, finché quasi tutti gli uomini furono uccisi. Vi fu allora una regina che riunì le donne e i bimbi sopravvissuti, e li condusse al sicuro sulle montagne, stabilendo la sua dimora sul monte che ancor oggi ha nome Sass de Dama. Lassù regnò a lungo la pace, e vi fiorirono da per tutto le rose. Ma quando la regina fu morta, ricominciarono le discordie e le guerre. Alla fine le madri riuscirono a far concludere una durevole pace; e decisero di consolidarla mediante una promessa solenne di tutte le donne. Convenute tutte su questa collina, esse giurarono di far sempre quanto fosse in loro potere per il mantenimento della pace. Ognuna aveva portato con sé un tralcio di rose: intrecciandoli insieme fecero sorgere, a memoria dell’impegno assunto, questa torre, che fu detta “del ricordo” perché doveva essere un perpetuo monito di pace. La collina si chiama, da allora, Roseàl.
– Fortunata gente, disse il principe. Dunque fra voi regna un’eterna pace.
– Ahimè, quel bel tempo è passato, rispose la fanciulla. La pace non fu mantenuta. Si è tornati alle lotte e alle guerre, e ormai anche le donne vi prendono parte. Mia sorella è una delle più accanite; avrebbe voluto trascinare anche te nel conflitto, ma non le è riuscito, perché tu non hai sguainato la spada.
– Questa torre meravigliosa, dunque, non serve più a nulla?
– La torre non esiste più, già da lungo tempo, rispose la fanciulla. E poiché il principe la guardava senza comprendere, riprese:
– Ho detto che la torre non esiste, e purtroppo è proprio così: non è più che un ricordo, una parvenza. La si vede soltanto quando il giorno sta per finire; e di tutte le sue rose una sola, quella di questo vaso, è ancora viva. Essa appartiene a me; perché sono la sola che abbia sempre voluto e consigliato la pace. Per questo a me rimane il ricordo, che mi rimarrà anche quando la torre sarà per sempre sparita: il ricordo del tempo nel quale non v’era odio, non v’erano delitti. È l’unica cosa che mi resti: è il mio tesoro.
Così dicendo, prese la rosa dal vaso, e se l’appuntò al petto. Poi disse:
– Ora me ne vado, perché il sole tramonta, e la torre svanisce.
La fanciulla era tanto bella che il principe non poteva staccar gli occhi da lei: così non s’accorse che la torre era sparita. La sera era incantevole. Ad oriente, le vette maestose dei monti, toccate dagli ultimi raggi del sole, splendevano in modo meraviglioso. La fanciulla si mosse per andare; la il principe la trattenne, e le chiese di voler essere la sua sposa.
Così il principe si fidanzò con l’ignota fanciulla, e si mise in cammino con lei per condurla da sua madre, la regina, che viveva solitaria sull’ardua montagna.
Cammin facendo parlarono di quel che possedevano.
Egli aveva, per tutta proprietà, la spada di suo padre; ella una cintura d’oro e la rosa del ricordo. Eran dunque poveri in canna: ma questa constatazione non turbava per nulla la loro felicità.
Giunti ai piedi del monte della regina, incontrarono due nani, i quali felicitarono gli sposi, e chiesero loro un piccolo dono. La fanciulla allora si tolse la splendida cintura d’oro e la donò ai nani. Essi la disfecero e ne ricavarono un lungo filo d’oro col quale circondarono la montagna.
Cominciata la salita del monte, gli sposi incontrarono un terzo nano. Era un giardiniere, il quale, salutandoli, disse melanconicamente che avrebbe voluto preparar un mazzo di fiori per la sposa, ma che su quelle rocce nessuna pianta attecchiva; anzi, la montagna diventava sempre più squallida e nuda. La fanciulla si tolse la rosa dal seno, la diede al nano, e gli consigliò di piantarla sulla vetta più alta, dove avrebbe certamente messo radici e ne sarebbe germogliato un rosaio. Nel vedere la rosa magnifica, il piccolo giardiniere s’illuminò il viso per la gioia.
– Se posso piantar questa, tutto il monte, fra qualche anno, sarò coperto di rose, esclamò esultante.
I fidanzati ripresero la via e, poco sotto la vetta, s’incontrarono con la regina. Il principe le presentò la sposa, dicendole che aveva posseduto una cintura d’oro e una rosa d’impareggiabile bellezza, ma aveva donato l’una e l’altra.
– E che cosa possiedi adesso? Domandò la regina.
La domanda imbarazzò il principe, ma non la sposa, che rispose serenamente:
– Ora possiedo il ricordo.
– Il ricordo di che cosa? Chiede la regina.
– Il ricordo del tempo lontano nel quale non v’era odio, non v’erano delitti, e tutte le cose erano più belle e più buone.
– Tu sei quella che io volevo, disse la regina. E l’abbracciò.

La montagna delle rose rimase per molto tempo un paese felice, regno della pace. Poi vi si scoprirono miniere d’oro, e i suoi abitanti accumularono immense ricchezze. I vicini ne furono invidiosi: e nel regno della pace ricominciò la guerra.”


(Tratto da Karl Felix Wolff, L’anima delle Dolomiti, Cappelli Editore, Bologna, 1971, pp. 147–154)

***


Nota:

Secondo Karl Felix Wolff la zona delle montagne bianche e nere potrebbe essere quella di Allòc, Monciòn e Buffàure, nelle Dolomiti fassane. Qui si trova infatti un’alternarsi di rocce bianche e rocce nere che creano singolari contrasti fra loro.
Anche l’altura che viene chiamata Roseàl fa parte delle Dolomiti fassane, ed è vicina alla valle di Contrìn e posta dinnanzi al monte Vajolòn, che era considerato il leggendario giardino di rose di Re Laurino.

In questo racconto si tramanda l’esistenza, e dunque il prezioso ricordo, di un regno di armonia e pace, che dopo la più antica Età dell’Oro, quando la Natura e gli uomini vivevano in profonda sintonia, venne rinnovato e mantenuto da una sacra alleanza di donne.
Questa sorellanza, simboleggiata dall’intreccio delle rose e unita in un forte sostegno reciproco come i sinuosi tralicci stretti fra loro, giurò di mantenere e custodire tali pace e armonia per sempre. E dai tralci fioriti, legati fra loro, crebbe un’alta e solida torre, la Torre del Ricordo.
Il giuramento, tuttavia, venne infranto, e anche le donne scelsero di combattere.
Le loro rose appassirono. I rosei petali caddero al suolo, e poco a poco la Torre del Ricordo scomparve.
Solo colei che davvero credeva nell’armonia, continuando a incarnarla dentro di sé senza cedere alla sete di potere e ricchezza, non perse la sua rosa, e con essa mantenne la promessa e il Ricordo.

La Torre del Ricordo giace in un luogo segreto e difficile da raggiungere, e compare solo nei momenti liminali, quando i confini fra i mondi sono più labili. La sua visione non dura che un attimo, e presto le sue splendide rose svaniscono nell’ombra del crepuscolo.
Eppure è possibile che essa si nasconda anche nel profondo di ognuno di noi.
Colei, o colui, che la cerca con tutto il cuore, e infine la trova dopo aver superato le prove imposte dal sentiero dell’armonia, può scorgere l’intreccio del sacro roseto, e scegliere una rosa…
Dal propagarsi di quell’unica rosa la perduta armonia potrebbe essere ristabilita, e la Torre del Ricordo potrebbe finalmente risorgere, e svettare alta fra i luminosi raggi di un nuovo giorno.


Fonte

L’anima delle Dolomiti, Karl Felix Wolff, Cappelli Editore, Bologna, 1971


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Re: Le Rose del Ricordo (Punti: 1)
da Danae 01 Giu 2015 - 15:52
(Info utente | Invia il messaggio) http://)
Le tue storie invogliano a essere raccontate per essere tramandate... chissà, a una piccola o una sorella non importa, ciò che conta è Ricordare.
Grazie! <3

Re: Le Rose del Ricordo (Punti: 1)
da fairymoon 13 Ago 2015 - 17:22
(Info utente | Invia il messaggio) http://ladimoradellasignoradelbosco.blogspot.com/)
Questa storia è meravigliosa, non ne ho letto spesso di così belle, sembrava che l'avessi scritta tu Violetta *_* ... Grazie per avercela donate, stasera la leggerò alle mie figlie.



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