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Compendio nato dagli studi del cerchio I Meli di Avalon, dedicato alla Tradizione Avaloniana e a miti, leggende, e fiabe celtiche legate alla simbologia di Avalon.

 

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Il Libro del Mese




Per virtù d'erbe e d'incanti
di Erika Maderna

 

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Il Tempio della Ninfa

Schegge di Luna
Lunedì, 11 Gennaio 2010 - 00:16 - 9221 Letture
Archetipi «[…] la vergine corre come se avesse le ali.
[…] [fila] come una freccia degli Sciti […].
Resa alata dall’impeto dei piedi, porta sandali dorati;
fluttuano i suoi capelli sulle spalle d’avorio, come le bende,
con i bordi ricamati, che fasciano le sue ginocchia;
di rosa è soffuso il candore verginale del suo corpo:
così una tenda di porpora, in un atrio di marmo,
trasmette, come un velo d’ombra, al bianco il suo colore.»

(Ovidio, «Metamorfosi», X, 586-597)

Non occorreva cercare, né invocare, né evocare. Nel tempo remotissimo in cui le foreste gettavano le loro ombre azzurre, verdi e purpuree su tutta la terra che non era folta e frusciante di campi e di prati soleggiati, né svettava rocciosa e spoglia sino alle nubi, né era ammantata di candidi ghiacci e di nevi sfavillanti o di mari che pulsavano profondi in sintonia con la Luna, si avvertiva nel silenzio la sua ineffabile presenza. Con la purezza inaccessibile del divino e del sacro, ella respirava nella luce, trasparente sui prati e sulle cime dei monti, fosca nell’ombra delle selve, opalescente nella bruma delle brughiere, diafana nel ghiaccio e nella neve, sfavillante nella rugiada. Respirava nella limpidezza del vento e della brezza, dei ruscelli, dei fiumi e dei laghi. Talvolta si percepiva in modo vago e fugace come un alito, un passaggio, un indugio. Talvolta, nella luce abbagliante e silenziosa del meriggio, oppure nel crepuscolo grigio o viola accarezzato dalle voci dei caprimulghi, appariva in forma sublime di numi dalle sembianze umane o animali. Poteva capitare allora, a chi percorreva un sentiero nel bosco o fra i prati, d’incontrare nel folto, accanto a un’antica quercia, o al margine di una radura, o presso un macigno verde di muschio, una Ninfa Cacciatrice, reduce dalla corsa della caccia, sudata senza essere trafelata, gli occhi fulgidi come Luna.

A chi sostava presso una fonte in cui si rifletteva la luce d’argento della Luna, e poi vi si curvava a rinfrescarsi, oppure a bere, poteva capitare, se la fonte era deserta, nella quiete del sospiro della brezza e delle fronde, delle erbe e delle acque, ciò che era avvenuto al fanciullo Hylas. Poteva accadere, cioè, che la fonte tacesse, che il tempo nel silenzio cessasse di scorrere, e che le acque si modellassero nelle forme di un volto e di membra bellissimi. Così la Ninfa che ne era la dèa emergeva dalla fonte, scostandosi dalla fronte i capelli gocciolanti, e si pettinava le trecce verdi sino ad asciugarle. Talvolta il viso s’innalzava per baciare, oltre che per sorridere, e le braccia si protendevano per cingere e attirare il prescelto, che sprofondava nelle acque come inabissandosi in se stesso, perché la fonte divina da cui sgorgavano le forme numinose era anche in lui, e al tempo stesso s’immergeva nella Dèa medesima, che era ovunque, passando Altrove.

Non occorreva cercarla, né invocarla, né evocarla. Eppure vi era sempre qualcuno che voleva vederla quando e come Ella non desiderava mostrarsi; qualcuno che pretendeva da Lei che si rivelasse a richiesta per rispondere alle domande, o che a richiesta dispensasse ispirazione; qualcuno che aveva l’arroganza di pretendere di forzarla a concedere i suoi favori, o persino di poterla conoscere, o di concupirla e di poterla avere.

Una divina Fanciulla Cacciatrice che amava vagare per le radure e tendere reti, forte, audace e bellissima, sebbene arrossisse alle lodi per la sua bellezza, un giorno, di ritorno dalla caccia nei boschi, stanca e accaldata nel caldo della tarda mattinata, trovò un fiume silenzioso e privo di gorghi, così placido da sembrare immoto e così limpido che si poteva distinguere e contare ogni sasso sul fondo, con le rive ombreggiate di pioppi e di salici argentei. Dopo essersi immersa sino alle ginocchia, si spogliò completamente, appese i morbidi indumenti a un curvo ramo di salice, si tuffò, e a lungo nuotò e giocò nell’acqua. Nel frattempo fu sorpresa e spiata da un cacciatore di nome Alfeo, il quale, ad un tratto, forse nell’intensità del desiderio, provocò un rumore che la spaventò, inducendola ad uscire dall’acqua per rifugiarsi sulla riva. Poi cercò di avvicinarla per possederla. Tuttavia la fanciulla non desiderava concederglisi, e fuggì, nuda, perché i suoi indumenti erano sulla riva opposta. Inseguita, corse per brughiere, per versanti boscosi, per dirupi, per regioni selvagge senza sentieri, finché, ormai esausta, sentì sulle proprie trecce il fiato di colui che la braccava. Allora per essere salvata invocò Artemide, sua Dèa, la quale spesso le aveva affidato l’arco, i dardi e la faretra.

Così la sua voce giunse alla Signora degli Animali, colei che rischiarava la via e guidava alla salvezza chi le si appellava nel pericolo estremo, la quale scelse una nube densa e nell’oscurità di questa l’avvolse, affinché potesse sfuggire all’inseguitore che voleva stuprarla. Similmente per celare la propria nudità Luna si era tuffata in quella che le era apparsa come un nube impigliata nella cima di un pino, e così, ingannata, era caduta fra le braccia di Pan, che invece di braccarla l’aveva attesa in agguato. Ma il cacciatore si fermò dove le orme lasciate dalla fanciulla cessavano, vide la nube, e indugiò intorno ad essa, chiamando più volte. Assediata, la fanciulla divenne madida di sudore freddo, che presto colò in rivoletti argentei. Infine un ruscello le cadde dalla chioma, e lei stessa si mutò in acqua. Allora, come Luna si era accorta che nella nube si celava Pan, così Alfeo, vedendo colare rivoli argentei dalla nube, la riconobbe, comprese che vi si celava, e a sua volta si trasformò in fiume per potersi mescolare a lei. Di nuovo, però, la fanciulla gli sfuggì, come Luna, liberatasi, era corsa via ed era sfuggita a Pan. Infatti sprofondò nella terra spaccata da Artemide, da cui fu nuovamente guidata, e nella sua fuga fluì nelle caverne sotterranee fino a trovare riposo e rifugio ad Ortygia, l’isola sul mare brumoso di cui divenne fonte sacra e Naiade.

Si narrava che questa Fanciulla Cacciatrice fosse la Ninfa Aretusa, «Acqua Rapida», originariamente una Nereide, poi divenuta, come si è visto, Naiade della fonte, sacra ad Artemide, la sua Dèa, sull’isola di Ortygia, di cui la stessa Signora degli Animali portava il nome, dove era nata da Latona e dove aveva un tempio.

Nondimeno si narrava anche che la Fanciulla Cacciatrice insidiata da Alfeo, che era anche un dio fluviale, fosse la stessa Artemide, la quale, in una versione del mito, corse per sfuggirgli e trovò riposo ad Ortygia, dove lo stesso Alfeo interruppe l’inseguimento. Un’altra versione narrava invece che Artemide non si lasciò persuadere a concedersi, così che Alfeo decise di usarle violenza e si recò a spiarla di notte, mentre era in gioiosa compagnia delle Ninfe, sue ancelle, ma non poté riconoscerla, perché proprio a tale scopo ella aveva imbrattato di fango il proprio viso e quello di ognuna delle Ninfe. Così rinunciò al proprio tentativo e se ne andò (1).

Anche in un verso di Telesilla, «Questa Artemide, o vergini, nel fuggire Alfeo», è Artemide ad essere inseguita da Alfeo. Ispiratasi a questo verso, Renée Vivien ne cantò così la fuga…

«Questa Artemide, nel fuggire il desiderio maschile, o vergini,
Volse alle lontananze del meridione i propri occhi irritati.
E i suoi piedi fuggitivi illuminarono le prode,
Calpestando con disgusto le coppie allacciate.

«I suoi lunghi raggi acuminati trafiggono l’ombra delle rive
E dardeggiano i livori, i terrori e i mali,
Sugli uomini in fregola e sulle femmine passive,
Che lottano e si mescolano come gli animali.

«Poiché il suo orgoglio si diletta dei giochi casti e rudi
Della corsa attraverso la forra e il prato;
Ella cerca il timore delle vaste solitudini
Dove nessun soffio mortale ne turba l’aria sacra (2).»

Per Vivien, donna che difendeva la propria assoluta autonomia artistica e sessuale dall’uomo, Artemide con la fuga da Alfeo, come Luna in fuga da Pan, non soltanto protesse il mistero muliebre dalla profanazione, bensì si sottrasse alla privazione della libertà, perché lo stupro, come il matrimonio, sottomette la donna, imponendole il dominio e il possesso da parte dell’uomo. E poiché nel mito lo stupro riflette il passaggio dalla società matrifocale a quella patriarcale, nei versi di Vivien è forse possibile leggere il riflesso dell’avvento degli invasori, i «nemici della Luna» (3). Infatti, coloro che spiano e insidiano la fanciulla cacciatrice sono cacciatori che non rispettano i confini, ovvero invasori, come coloro che arrivarono a distruggere l’Armonia dei tempi arcaici, a violare il mistero muliebre, e ad imporre il patriarcato.

La verginità che Aretusa difende con l’aiuto di Artemide sfuggendo Alfeo, e rifugiandosi nella foresta per non essere vista né toccata da occhi e mani maschili, è dunque la sua libertà, la sua assoluta autonomia dal principio maschile, che è anche autonomia nell’iniziativa sessuale, come appare evidente in un’altra Fanciulla Cacciatrice, la quale, come lei, è manifestazione della stessa Artemide, ovvero «la figlia dell’inclito sovrano Scheneo, simile alle dee nell’aspetto, la divina Atalanta dai piedi veloci […], disdegnava frequentare gli uomini, con l’intento di sfuggire alle nozze degli uomini che si nutron del pane. […] la fanciulla dalle sottili caviglie […]» (4). Con le sue frecce, Atalanta uccise due Centauri che l’avevano assalita, e a tutti i suoi pretendenti impose una gara di corsa: si sarebbe concessa a colui che, partendo con un vantaggio, l’avesse preceduta al traguardo, altrimenti lo avrebbe trafitto a morte con i suoi dardi. E sebbene nessuno avesse possibilità di vincerla nella corsa, nessuno resistette alla tentazione, perché lei si presentò sempre nuda alla gara.

Che sia Artemide, o Aretusa, oppure Atalanta, la Fanciulla Cacciatrice dall’arco maneggevole in spalla, cinta di faretra e abbigliata di pelli, la chioma sciolta al vento, nude le ginocchia delle bellissime gambe, velocissima nel correre all’inseguimento delle prede nelle selve, è anche la vergine in fuga dai nemici. Dunque è lunare, perché vergine e spesso in corsa, insidiata e in fuga, come Luna, e la sua corsa è simile a quella di Luna in cielo.

«Il mito spieghi chi può!
Abbandonando tutto il resto, conservo — come di un
rudere soltanto un monolito — questo verso di cinque
parole, ciascuna una cosa di cui essere grati: Arcadia,
notte, una nube, Pan, e la luna (5).»

Così, con concisione oracolare, Robert Browning riassunse l’oscuro mito molto antico del tentato ratto di Luna da parte di Pan, già rievocato in pochi versi da Virgilio:

«Con un dono di lana così nivea, se si deve credere,
Pan, dio d’Arcadia, ti ha ingannata e sedotta, o Luna,
chiamandoti negli alti boschi; né tu spregiasti il richiamo (6)».

Sembra dunque che Luna, dopo la fuga, ritorni e si conceda a Pan, in una grotta sacra, come quella in cui Artemide si lava, accaldata e stanca come Aretusa dopo la caccia, in compagnia delle Ninfe come Persefone quando Ade la rapisce, immersa in una fonte come Aretusa è fonte, simile a quella in cui Hylas si specchia alla luce lunare.

Con Selene e con Artemide, i cui occhi erano detti stellati perché in essi ardeva o si rifletteva la luce di Luna, era identificata la Titanessa Febe, figlia di Urano e di Gea, madre sia di Leto (Latona, dèa lunare o Luna stessa), a sua volta madre della stessa Artemide; sia di Asteria, madre di Ecate, la quale, con la sua fiaccola, appariva «come la dea Luna stessa» (7). Spesso i poeti indicavano la luna con il suo nome, Febe, perché esso significava appunto la dèa Luna, o più esattamente «Pura», Purificatrice», nonché «colei che atterrisce», e dunque resta «intangibile» (8).

Vergine, unica insieme ad Artemide, che è Luna, ad essere designata «aidos», sacra e pura come gli elementi immacolati della Natura, identificata con Luna al pari di Iside e come Luna rapita, è Persefone, come Kore prima di essere violata da Ade. Mentre Artemide è colei che si allontana, colei che si ritrae, Luna che scende a celarsi nelle profondità ipogee, Persefone è colei che ritorna, Luna che ascende a palesarsi dalle profondità ctonie. Sono due volti della Dèa più antica, Luna, la Signora del Labirinto a cui si offriva miele, Luna vaso di miele, Dèa Natura. Entrambe sono fanciulle, l’una in fuga per non essere violata e per serbare la propria autonomia; l’altra di ritorno, dopo essere stata violata, per riconquistare la propria autonomia e riaffermare la propria supremazia.

Lo stesso poeta che ricordò la fuga di Luna da Pan, e il suo ritorno a Pan, cantò in pochi altri versi, molto più famosi e variamente interpretati nel corso dei secoli, un’arcaica Dèa che, come Luna e come Persefone, si allontana e poi ritorna:

«È giunta l’ultima età dell’oracolo cumano:
nasce di novo il grande ordine dei secoli.
Già torna la Vergine, e torna il regno di Saturno,
già la novella prole discende dall’alto del cielo.
Tu, casta Lucina, proteggi il bambino nascituro
con cui cesserà la generazione del ferro e in tutto il mondo
sorgerà quella dell’oro: già regna il tuo Apollo (9).»

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Re: Schegge di Luna (Punti: 1)
da Elke 11 Gen 2010 - 00:59
(Info utente | Invia il messaggio) http://danzanelbosco.splinder.com)
Stai superando te stesso con questi tuo articoli, che non sono più un insieme di notizie e intuizioni, ma una fitta tela di poesia, segreti sussurrati e accenni a meravigliose verità dimenticate. E tutto sembra molto più spontaneo..
Complimenti, davvero, e grazie per questo intreccio di canti e visioni :)

Re: Schegge di Luna (Punti: 1)
da Danae 12 Gen 2010 - 21:43
(Info utente | Invia il messaggio)
Quando gni donna cercherà dentro di sè il riflesso della Luna e l'uomo ne riconoscerà il mistero, davvero sarà Futuro Arcaico.. avverà una rinascita in un'età splendente?! Finchè vivono uomini come te ancora c'è speranza. Sai donare col cuore, grazie :))

Re: Schegge di Luna (Punti: 1)
da Violet 16 Gen 2010 - 04:59
(Info utente | Invia il messaggio) http://www.tempiodellaninfa.net)
Una corsa verso la libertà, una corsa per mantenere, custodire e proteggere la libertà... una corsa lunare e vergine, germogliante e leggera come l'aria... una corsa Divina che le Donne dallo spirito antico ripetono vita dopo vita, cercando di calcare le stesse impronte lasciate dalle loro Antenate. E l'impeto della bellezza che si libera dai pesi e, nonostante tutto, rifulge sempre, più nascosta, più segreta, eppur sempre raggiante. Tutto questo mi ha trasmesso il tuo splendido testo. Tutto questo ed ancora molto altro.
Grazie davvero... :)

Re: Schegge di Luna (Punti: 1)
da Eilan 17 Gen 2010 - 23:39
(Info utente | Invia il messaggio) http://)
Ma perchè così pochi uomini hanno la tua sensibilità?
Sarebbe così bello vivere nel rispetto reciproco, dell'altrui divinità...

Uno splendido regalo: grazie :-*

Re: Schegge di Luna (Punti: 1)
da fairymoon 26 Gen 2010 - 09:46
(Info utente | Invia il messaggio) http://ladimoradellasignoradelbosco.blogspot.com/)
grazie, grazie di cuore, un lavoro splendido, vi riecheggia la purezza e la forza delle vergini arcaiche e lo struggente desiderio che torni ovunque a dilagare il sogno della Grande Madre.
Grazie!



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