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Il Tempio della Ninfa

La Samblana, principessa del bianco inverno
Sabato, 23 Febbraio 2013 - 01:25 - 20194 Letture
Archetipi Sulla gelida vetta delle montagne più alte, fra le grotte azzurre ricamate di ghiaccio e il luminoso candore della neve, in un bianco reame nel quale governa l’eterno inverno, viveva un tempo una bellissima principessa, ricordata nelle tradizioni dolomitiche come la Samblana.
La sua dimora prediletta era la cima del monte Antelao, ma si dice che in origine la fanciulla vivesse nel bosco Bayon, fra le fitte conifere che crescono sulla parte orientale della montagna.



Note

1. I Bedoyeres erano uno dei popoli di carattere matriarcale che abitavano la valle Pusteria. La parola ladina bedoyeres deriva da bedoia, ovvero betulla, e ha il significato di “Popolo delle Betulle”, e sebbene i boschi che queste genti abitavano siano ora essenzialmente popolati da conifere, è possibile ipotizzare che in un tempo antico vi crescessero molte betulle.
In queste rigogliose foreste i Bedoyeres onoravano regine e principesse, divine e probabilmente mortali, ed è facile dedurre che uno dei loro culti femminili fosse rivolto proprio alla Samblana, signora delle nevi che governava durante il tempo invernale.

2. Citazione da Karl Felix Wolff, Rododendri bianchi delle Dolomiti, pag. 23

3. Ibidem

4. Wolff, op. cit., pagg. 17-25

5. Vedi Leggendiario – La Samblana

6. Quando sopravvenne il cristianesimo la sorgente che era appartenuta alla Samblana venne dedicata alla Madonna e le sue acque vennero ritenute miracolose per sua intercessione. Tuttavia col tempo il suo scorrere rallentò, fino ad esaurirsi. Per quanto riguarda invece il grande faggio, esso era ancora presente nel bosco sacro agli inizi del 1900, quando Karl Felix Wolff andò a visitarlo. Egli affermò che nonostante l’albero fosse morto, “quel luogo non aveva perso nulla della sua particolare bellezza e suggestione.” (Wolff, op. cit., pag. 21)

7. Per approfondire la simbologia e le leggende della stella alpina, vedi Stella alpina, ricerca di Violet per Il Tempio della Ninfa

8. Questo particolare è narrato in una breve fiaba, raccolta da Wolff nel suo prezioso testo:
Un ricco signore aveva un figlio. Questo giovane si ammalò e suo padre fece venire molti medici per curarlo. Il padre credeva nell’arte dei medici, e pensava che essi ne sapessero di più delle vecchie raccoglitrici di erbe. Ma tutto ciò che fecero i medici fu vano. Il figlio allora disse: ‘Datemi da mangiare una cipolla del laghetto del bosco’. I medici non lo permisero e il povero ragazzo morì. Dopo la sua morte, i medici gli aprirono lo stomaco e vi trovarono una massa dura come un sasso. Il padre la prese per avere un ricordo di suo figlio e si fece fare con questa un manico per coltello. Una volta, mentre tagliuzzava una cipolla come quella desiderata dal figlio, all’improvviso il manico del coltello sparì. Allora l’uomo comprese che con la cipolla egli avrebbe potuto salvare il figlio.” (Wolff, op. cit., pag. 19)
Questa storia, oltre a mettere in luce il passaggio che dalle antiche tradizioni medicinali, affidate alle sagge “raccoglitrici di erbe”, portò alla moderna scienza medica – la quale soprattutto all’inizio si rivelò non solo inutile, ma insensata ed estremamente dannosa per coloro che così spesso ne furono vittime – rivela il benefico potere delle cipolle magiche, che fanno “scomparire” certi mali, altrimenti incurabili con qualsivoglia medicina.
Considerando il significato simbolico della fiaba, si potrebbe ipotizzare che le malattie su cui agiscono i doni della principessa non siano quelle comuni, ma quelle che affliggono lo spirito, simbolicamente rappresentate come masse scure, pesanti e soffocanti, che però svaniscono come nebbia al sole se solo vengono toccate dalle influenze benefiche della Natura.

9. Citazione da Claudio Cima, Sui sentieri delle leggende, pag. 153. La leggenda narra che ci fu un tempo in cui nell’antico popolo delle betulle nascevano moltissime bambine, e nessun maschio. La regina era molto preoccupata, e avrebbe voluto dare alla luce un erede per suo marito, ma quando partorì una principessa decise che era arrivato il momento di tener consiglio con tutte le altre donne del popolo, per decidere cosa avrebbero potuto fare per assicurare la sopravvivenza della tribù. All’assemblea femminile venne invitata una maga, la quale decretò che tutte le madri con troppe figlie avrebbero dovuto portarle all’ombra del monte Serla in una notte di luna, e avrebbero dovuto lasciarle nel grande prato dove scorreva il gorgogliante ruscello Bruckele.
Così fu fatto, le bambine furono lasciate nel punto predetto, e non appena sorse la Luna la maga le raccolse e le portò via con sé.
Al suo ritorno, le madri vollero sapere che cosa ne era stato delle loro figliolette, e lei rispose che erano state tutte affidate alla buona Samblana, e che avrebbero ben dovuto rallegrarsi, perché da quel giorno al loro popolo era destinata la nascita di molti maschi.
Quella notte la regina e la maga si fermarono a dormire poco distante dal grande prato, nel rudere di un castello abbandonato i cui proprietari si erano estinti per mancanza di eredi. Quando sorse il mattino, le due donne uscirono dalle vecchie mura, e guardando avanti a sé rimasero senza parole… Sul prato erano sbocciati migliaia di bellissimi colchici rosa. La maga, allora, disse che quei magici fiorellini erano le Mirandoles della Samblana, e che in essi vivevano le anime delle figlie del popolo delle betulle.



10. Vedi Adriano Vanin, I popoli delle Dolomiti

11. Queste capacità magiche erano appartenute sin dai tempi più remoti alle sacerdotesse e alle sciamane di tutto il mondo, come dimostrano diversi studi sull’argomento.

12. L’Antelao è un monte ben noto per i suoi tremendi temporali, le sue violente bufere di neve e le molte frane, che più di una volta precipitarono a valle sotterrando un paese intero. Per questo, nella leggenda, l’aiuto delle Yméles è fondamentale per salvaguardare la vita degli uomini e delle greggi.

13. Il grandissimo avvoltoio che compare come “l’ombra” nella leggenda delle Yméles, è il Gypaetus barbatus, ovvero il Gipeto, chiamato anche Avvoltoio barbuto o, appunto, Avvoltoio degli agnelli.
Questo uccello vanta un’apertura alare di quasi tre metri, ha gli occhi rossi e una sorta di barba sotto al becco. La femmina è addirittura più grande e temibile del maschio.
Il suo aspetto è alquanto inquietante, e tenendo in considerazione la sua grandezza non stupisce il fatto che fosse molto temuto. Nonostante questo, la sua alimentazione consiste quasi esclusivamente di animali già morti e soprattutto di ossa. Il suo stomaco produce infatti succhi gastrici talmente potenti da poterle digerire. Non riuscendo però a spezzarle col becco, il gipeto le getta sulle rocce, lasciandole cadere da grandi altezze, così da frantumarle e poterle poi consumare facilmente.



Giunto quasi alla completa estinzione nell’Ottocento, quando moltissimi esemplari vennero uccisi, negli ultimi tempi si sta per fortuna reintegrando, e per la sua protezione i luoghi in cui nidifica vengono tenuti rigorosamente segreti.
Nelle Dolomiti il gipeto rappresentava l’animale totemico dei popoli predatori e aggressivi, e veniva invocato prima di compiere assalti, saccheggi e battaglie. Anche il popolo dei Fanes, in origine pacifico e rappresentato totemicamente dalla mite marmotta, lo assunse come nuovo totem quando divenne più battagliero e violento. (Vedi Adriano Vanin, Il regno dei Fanes- Avvoltoio)

14. Questa particolare cura che le messaggere offrivano a nome della Samblana, nonché il potere magico delle cipolle della principessa, potrebbero suggerire una sua particolare apprensione nei confronti di coloro che venivano minacciati dalle illusioni, ovvero la sua premura di risvegliarli dai malvagi sortilegi che annebbiano i pensieri e fanno perdere la limpida e profonda consapevolezza della realtà.

15. A tal proposito dice Wolff: “Dell’origine antica del racconto è testimone già la “s” finale del plurale ladino che non s’incontra più già da tempo nei dialetti intorno al lago di Garda.” (Wolff, op. cit., pag. 25)

16. Questa breve variazione del mito ricorda la figura della Dama del Lago e quella delle antiche Fate che abitavano sotto le acque di laghi e pozzi, emergendo per offrire i loro consigli agli uomini che li meritavano. Anche Frau Holle, l’antica Dea dell’inverno germanica, che portava la neve sulla terra sbattendo vigorosamente il suo soffice piumone, abitava in un bellissimo regno celato oltre le acque di un pozzo o di un lago.

17. Le Figlie del Sole erano la Soreghina, il cui nome significa “raggino di Sole”, Elba e Donna Chenina. Le loro leggende sono raccolte in Karl Felix Wolff, I monti pallidi, Cappelli Editore.
Nella storia della Soreghina si trova un riferimento alla Samblana molto bello: “Il grande Vernel era avvolto in un così pesante mantello di neve, che avresti potuto crederlo il trono della Samblana, la maestosa regina dell’inverno che abita sulle alte montagne ghiacciate, ogni anno sopra una cima diversa.” (I monti pallidi, op. cit., pag. 167)

18. Wolff, op. cit., pag. 24


Fonti

Rododendri bianchi delle Dolomiti, Karl Felix Wolff, Cappelli Editore, Bologna, 1993
I monti pallidi, Karl Felix Wolff, Cappelli Editore, Bologna, 1987
Sui sentieri delle leggende. Itinerari scelti nei luoghi delle leggende dolomitiche, Claudio Cima, Edizioni Mediterranee, Roma, 1992
Leggende delle Alpi, Maria Savi-Lopez, Editrice Il Punto, Torino, 2007
Entità fatate della Padania, Alberta Dal Bosco e Carla Brughi, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano
Fiabe d’Inverno. Fiabe e leggende delle Alpi, dell’Europa centrale e orientale e del grande Nord. Tradotte, narrate e illustrate da Maria Paola Asson, Edizioni Cierre, Sommacampagna, 2011

Il regno dei Fanes, di Adriano Vanin
L’albero della fiaba, di Maria Paola Asson
Leggendiario

Immagine 1: Snow Queen, di Mairin-Taj Caya
Le foto appartengono ai rispettivi autori.


Ringrazio moltissimo Maria Paola Asson per l’aiuto nella ricerca delle fonti e Adriano Vanin per la bella conversazione, nonché per le sue preziose ricerche.


Ricerca e testo di Violet. Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso scritto dell'autrice e senza citare la fonte.



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Re: La Samblana, principessa del bianco inverno (Punti: 1)
da Danae 11 Mar 2013 - 21:22
(Info utente | Invia il messaggio) http://)
Finalmente mi sono ritagliata il mio spazio per leggere questo articolo a dir poco meraviglioso! Mi tocca nel profondo proprio perché la finestra della mia camera guarda alle alte montagne che sono così vicine tanto da poter udire suoni lontani come bufere di neve scosse da venti impetuosi che creano una leggera coltre di nebbia sulle cime, il grido delle poiane che girano in cerchio pronte a ghermire la preda o semplicemente perché contente di volare insieme mentre gettano le loro ombre sulla coltre brillante, i cervi e i caprioli che ai piedi del mantello della loro Signora sono alla ricerca di muschi e licheni per riempire i loro ventri. E gli aberi spogli che attendono silenziosi il ritorno dell'Altra Signora... splendido!
Grazie Violetta, hai lasciato trasparire tutta la bellezza mutevole dolce e terribile dell'inverno e della sua bianca sposa. :))



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