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Fra queste pagine sono raccolti consigli, ricette, riti semplici e naturali dedicati al femminile, e speciali ricerche e racconti sull'antica Via delle Donne.

 

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Compendio nato dagli studi del cerchio I Meli di Avalon, dedicato alla Tradizione Avaloniana e a miti, leggende, e fiabe celtiche legate alla simbologia di Avalon.

 

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Per virtù d'erbe e d'incanti
di Erika Maderna

 

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Il Tempio della Ninfa

Il Gomitolo magico della Bianca Signora
Venerdì, 02 Febbraio 2024 - 02:30 - 373 Letture
Racconti Sono molte le leggende europee, e in particolare alpine, nelle quali compare una misteriosa signora, spesso avvolta in una ricca veste bianca, che porge a una donna povera ma laboriosa un dono. Questo dono, talvolta, è rappresentato da un gomitolo, fatto di pura lana, candida come la neve, soffice e calda, oppure di lino sottile e raffinato, talvolta addirittura di filo dorato. Questo gomitolo ha una particolare caratteristica: per quanto venga usato, non si esaurisce mai.

È un gomitolo magico, e colei che lo dona altri non è che la divinità dai molti nomi che presiede alla filatura del destino degli esseri umani, e in particolare, delle donne. Una fata antica, filatrice del fato e della fortuna, che si presenta nelle case, oppure sul ciglio della strada, spesso accanto a una sorgente d’acqua, per mettere alla prova le sue protette e valutare la loro predisposizione alla generosità e all’abbondanza, oppure all’avidità e alla penuria.
Ciò che indica il dono del gomitolo magico è una benedizione da parte delle dimensioni divine, ma non è mai fine a se stesso, e non rappresenta mai un compimento. Al contrario, è la materia prima che dovrà essere utilizzata per creare e manifestare; il materiale necessario per il principio di un alacre lavoro, il cui svolgimento riguarderà solo colei che è chiamata a compierlo.
La bianca signora che offre il gomitolo, mette a disposizione della donna non solo la possibilità di tessere, ma anche e soprattutto “l’iniziazione al filo e all’ordito”, ovvero l’arte di creare la trama della vita, di intrecciare i fili in un disegno armonico. (1)
La tessitura infatti è sempre stata un sapere tradizionale femminile sia pratico che interiore, sia tangibile che impalpabile, in quanto opera in entrambe le dimensioni: quella materiale e quella spirituale. E se in quella materiale permette alla donna di conquistare la propria necessaria indipendenza, e dunque la sua autonomia e libertà, in quella sottile la rende “colei che compone la trama della propria storia e, in parte, anche quella della comunità”. (2)
Perché questo si realizzi, è tuttavia necessario trattare con rispetto il dono ricevuto, altrimenti esso si dissolve insieme alla sua fortuna. A tal proposito, in diverse leggende che narrano dei preziosi doni offerti dalla dea del destino, la donna che li riceve è tenuta a mantenere il segreto sulla loro provenienza, e quindi sull’origine della ricchezza ricevuta, rinunciando alla egoistica propensione alla vanteria. “Il mondo dell’abbondanza femminile”, infatti, “per mantenere tutta la sua energia, deve rimanere tabù”, poiché in caso contrario si ritrae e scompare. (3)
Similmente, il dono della fata non deve essere sottoposto al ragionamento razionale del calcolo, che nasce dal timore che esso si esaurisca. Un atteggiamento freddo, calcolatore e interessato, dettato dalla paura della penuria o da una forma seppur lieve di avidità, spezza la magia, e l’istante magico che poteva durare in eterno, immediatamente svanisce. (4)
La gratitudine e la fiducia nell’invisibile, il confidare nella sua presenza e nella sua protezione, sono ciò che rendono onore alla fata e ai suoi doni. Accoglierli con riconoscenza e senza alcun giudizio, garantisce la loro permanenza e una vita benedetta della loro fortuna.

Le due leggende che seguono, provenienti dalla tradizione dolomitica e tedesca, narrano del dono del gomitolo magico da parte della bianca signora, e in particolare della sua accoglienza positiva e riconoscente da parte di coloro che lo ricevono.




La matassa di lana
Leggenda del Catinaccio

Una ragazza della val d’Ega si sarebbe volentieri sposata con il suo Friedl, ma entrambi erano poveri in canna. Un giorno, nell’ora in cui il bestiame tornava dal pascolo, la ragazza aveva finito di falciare il fieno e si era seduta solitaria su un sasso, ammirando il rosseggiare delle cime montuose.
Aveva un tale peso sul cuore che le lacrime cominciarono a scorrerle copiose.
“Ah”, sospirò, “se almeno avessi una piccola casetta e quel tanto che basta per poter sopravvivere in due! Ma la fortuna non è dalla nostra, da quando i francesi ci hanno messo tutto a ferro e a fuoco non ce la passiamo per nulla bene.”
Mentre la ragazza rimuginava sulle sue preoccupazioni, le comparve davanti una signora, alta e regale, oltremodo bella e ricca, che le ordinò di seguirla. L’aspetto della donna era mite, pertanto la ragazza non ebbe paura e la seguì. Salirono sul Catinaccio tutto rosseggiante, senza che la ragazza si sentisse stanca.
Quando già faceva notte raggiunsero la cima ed entrarono in un palazzo regale, pieno di meraviglie e ricchezze: attraverso una parete di cristallo si poteva scorgere un giardino di rose, tutto in fiore. Nel mezzo c’era uno stagno lucente, dove facevano il bagno delle belle ondine che cantavano soavemente. Il castello brulicava di servitù, piccoli ometti dalla lunga barba, che continuavano a correre in giro portando e trascinandosi dietro mille cose. Uno di loro andò a prendere, su ordine della signora, una matassa di lana, che la regina regalò alla meravigliata ragazza, dicendole:
“Prendi questa matassa, se tieni segreta la sua provenienza, non ti lascerà senza lana. Continua a essere così diligente come sei sempre stata e vedrai che la fortuna ti arriverà.”
Detto questo, la congedò.
La ragazza si stabilì da una vecchia zia e cominciò a tessere senza posa, in modo veramente eccellente: la matassa non aveva mai fine e la lana luceva in modo del tutto particolare.
Una volta, in una notte di luna, mentre la ragazza era ancora seduta a tessere, la regina del Catinaccio entrò nella stanza, e contenta per la sua alacrità, le regalò un altro gomitolo. Questa volta il filo era d’oro, e le insegnò a ornare i tappeti intessendovi meravigliosi fiori e altre decorazioni.
I risultati furono eccellenti e di rara bellezza. Il suo amato andò a venderli in terra tedesca e ladina, guadagnando molti soldi. Dopo poco si poterono comprare una casetta e il terreno bastante per vivere e finalmente si poterono sposare.
Se la ragazza ha mantenuto il segreto sull’origine di quel gomitolo, sicuramente ancora oggi non si è esaurito.

La leggenda, che appartiene al gruppo del Catinaccio, è stata liberamente tratta da Ulrike Kindl, Le Dolomiti nella Leggenda, Frasnelli-Keitsch, Bolzano, 1993, pagg. 233-234, e proviene da Johann Adolf Heyl, Volksaggen, Bräuche und Meinungen aus Tirol, Brixen, 1897. Titolo originale Die Dirne mit dem Wollknäuel; traduzione italiana a cura di Ulrike Kindl.


Il gattino con il gomitolo magico
Leggenda tedesca

Una fredda mattina d’inverno, una povera vedova uscì di casa per andare a fare legna e procurarsi così dei rami secchi per accendere la stufa. La donna era molto povera e tutto il peso del lavoro domestico gravava sulle sue spalle.
Faceva molto freddo quel giorno, la terra, ricoperta da una lastra di ghiaccio, scricchiolava sotto i suoi piedi e le bianche lenzuola di Frau Holle, adagiate come un velo su prati e boschi, scintillavano di migliaia di piccoli cristalli lucenti. Ma la donna non aveva tempo di ammirare quel magnifico spettacolo della natura.
La fascina di legna che portava sulla schiena, in cima alla quale aveva legato un grosso mazzo di saggina buono per fabbricare scope, si era fatta pesante. La donna camminava a fatica sotto quel grande peso, trascinando i piedi, e a forza di raccogliere legna aveva la punta delle dita rattrappite dal freddo. Cercò pertanto di riscaldarsi soffiandoci sopra un po’ del suo fiato e fregandosi le mani sotto il grembiule, ma a un tratto le parve di sentire un debole miagolio. Lungo il bordo della strada scorse un piccolo gattino, un bianco batuffolo che giaceva sul ceppo di un albero. Il gattino sollevò la sua zampina color grigio argento, poi fece la gobba, si stiracchiò e incominciò a fare tante di quelle moine che la donna, mossa a compassione, lo accarezzò e gli disse:
“Vieni con me, povero gattino, tu stai gelando, e mi sembri malato. Anche se siamo poveri, a casa ci sarà qualcosa anche per te.”
Così raccolse il piccolo gattino, se lo avvolse nel grembiule e con cura lo portò fino a casa.
A casa le corsero incontro i suoi due figlioletti. Il più piccolo, sollevandosi sulla punta dei piedi, ficcò il nasino nel grembiule blu della mamma per curiosare.
“Mammina, dove hai messo il pane per i conigli?”
La povera donna con un nodo in gola accarezzò il piccolino sui capelli e disse tristemente:
“Non ho pane per i conigli e nemmeno un po’ di carrube per te, ho solo tanta miseria, e vi porto qualcuno che è ancor più misero di noi.”
Ma quando dal grembiule sgusciò fuori il piccolo micetto, candido come un fiocco di neve, i bambini si misero a saltare dalla gioia. Portarono il gattino malato nella stube, gli prepararono una cuccetta al caldo vicino alla stufa e divisero con lui il loro ultimo boccone. L’animaletto pian piano si riprese e guarì. Ogni mattina giocava con i bambini e loro gli si affezionarono un mondo.
Quando si leccava e si puliva le zampette, sapevano che poco dopo sarebbe andato a salutarli; quando la zuppa scottava troppo per il suo musetto affamato, loro soffiavano sul cucchiaio. Insomma, lo coccolavano e lo vezzeggiavano proprio!
E se uno di loro cadeva e si faceva male al ginocchio, e correva piangendo dalla madre, bastava che lei gli cantasse:

Micino, micetto,
guarisci il mio bimbetto,
ché domani il sole arriverá,
e lui le capriole farà!


E il bimbo già si sentiva meglio.
Il gattino amava molto rotolarsi nella cenere della stufa e da bianco che era diventava grigio come la nebbia. Poi scappava via, veloce come il vento, facendosi rincorrere dai suoi due piccoli amici.
Così passarono le lunghe giornate invernali giocando a rincorrersi allegramente.
Quando arrivò la primavera, e il fuoco nella stufa si spense, un mattino al loro risveglio i bambini non trovarono più il micetto candido come la neve ad aspettarli.
Il loro compagno di giochi era sparito, e per quanto lo cercassero dappertutto, non riuscirono a trovarlo.
Il mattino seguente la loro madre dovette andare di nuovo a fare legna nel bosco, e quando passò nel luogo in cui aveva trovato il gattino, quale fu la sua sorpresa quando vide, proprio nello stesso punto, una alta figura di donna tutta vestita di bianco, che la salutava con un lembo del velo che pareva tessuto di aria.
Poi la bianca signora gettò nel grembiule della povera donna una palla bianca e disse:
“Questo è per il gattino!”
Accortasi che si trattava di un gomitolo di lana, la donna alzò la testa per ringraziarla, ma la nivea apparizione era già scomparsa.
Arrivata a casa, la donna mise il dono della dama bianca sul tavolo della cucina. E quale fu la sua sorpresa, quando il mattino dopo, accanto al gomitolo trovò un bel paio di calze bianche e morbide, già belle pronte e confezionate! Nel gomitolo erano infilati dei ferri da calza: erano dei ferri magici, e anche il gomitolo era magico, perché non si esauriva mai.
Da allora, ogni notte mani invisibili confezionavano delle nuove calze, prima per i bambini, poi per la madre.
Alla fine in quella casa c’era una tale abbondanza di calze e calzini, che poterono anche venderne al mercato. e con il ricavato riuscirono a comprare pane, carne e vestiti caldi.
Così finalmente le preoccupazioni della povera madre svanirono per sempre ed ella comprese che la bianca signora altri non era che Frau Holle, che aveva voluto ricompensarla per il bene fatto al gattino.

La fiaba, proveniente dalla Germania, è stata liberamente tratta dalla traduzione italiana, a cura di Maria Paola Asson, di Karl Paetow, Das Katzchen mit dem Wunderknäuel, contenuta in Frau Holle. Volksmärchen und Sagen, Husum Verlag, Husum, 1986. La traduzione italiana è contenuta in Albero della Fiaba
Una versione molto simile, sempre liberamente tradotta da Maria Paola Asson, è contenuta in Maria Paola Asson, Fiabe d’inverno. Fiabe e leggende delle Alpi, dell’Europa centrale e orientale e del grande Nord, Cierre Edizioni, Sommacampagna, 2011, pagg. 192-197.

***


Note:

1. Cfr. Moidi Paregger e Claudio Risé, Donne Selvatiche, pag. 35.
2. Ibidem, pag. 36.
3. Ibidem.
4. Ibidem, pagg. 35-39


Bibliografia

Asson Maria Paola, Fiabe d’inverno. Fiabe e leggende delle Alpi, dell’Europa centrale e orientale e del grande Nord, Cierre Edizioni, Sommacampagna, 2011
Kindl Ulrike, Le Dolomiti nella Leggenda, Frasnelli-Keitsch, Bolzano, 1993
Paregger Moidi, Risé Claudio, Donne Selvatiche. Forza e mistero del femminile, Sperling & Kupfer Editori, 2006, Milano

Illustrazione di Sukiagi

Ricerca e nota introduttiva a cura Laura Violet Rimola. Nessuna parte di questo testo può essere riprodotta o utilizzata in alcun modo e con alcun mezzo senza il permesso scritto dell’autrice e senza citare la fonte.


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