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Per virtù d'erbe e d'incanti
di Erika Maderna

 

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Il Tempio della Ninfa

Il Ragno della Luna
Mercoledì, 30 Giugno 2021 - 02:09 - 811 Letture
Fiabe Lunari Fiabe Lunari
IL RAGNO DELLA LUNA


In un castello arroccato sulla cima di una montagna tetra e desolata, nella cella polverosa della sua torre più alta, viveva una fanciulla, bella come nessun’altra. Aveva lunghi capelli corvini e la sua pelle era bianca come il latte, ma i suoi occhi erano tristi e la luce che un tempo li illuminava sembrava essersi spenta.
Era stata rinchiusa nella torre dal padrone del maniero, un re tiranno e dispotico che, invaghitosi di lei, l’aveva dapprima corteggiata, e in seguito ai suoi numerosi rifiuti l’aveva rapita e segregata in quella misera prigione, convinto che così le avrebbe presto fatto cambiare idea.

Ogni giorno, al sorgere del sole, un suo servo fidato percorreva la ripida scala a chiocciola che portava in cima alla torre, batteva il pugno sulla porta di ferro, e dopo aver girato la pesante chiave nella serratura arrugginita, entrava e portava la giovane al cospetto del re, che le poneva sempre la stessa domanda.
Sei dunque pronta a diventare la mia regina, e a vivere nel lusso che solo io posso offrirti?
Mai”, rispondeva lei, “piuttosto preferirei morire.
Il sovrano, infuriato, ordinava allora che la fanciulla fosse rinchiusa di nuovo nella sua prigione, e che continuasse a nutrirsi di polvere, con la sola compagnia dei ragni e delle loro ragnatele.
La povera ragazza credeva di impazzire. Chiusa nella minuscola cella, fra quelle quattro mura piene di crepe da cui passavano spifferi gelidi, non aveva alcuna possibilità di fuggire, anche perché l’unica finestrella che illuminava debolmente la stanza era troppo in alto, e lei non poteva raggiungerla. Sapeva che non avrebbe mai ceduto alle pretese di quell’uomo rivoltante, e l’unica alternativa a una vita segregata in quella triste e angusta prigione, sembrava essere la morte. Così, rintanata sulla sua stuoia, la giovane piangeva sommessamente, mentre le lacrime rigavano le sue guance sporche.
Quella sera, però, qualcosa di strano la distolse dal suo pianto, e la spinse a sollevare la testa dal suo ruvido giaciglio.
Alla finestra era appena apparsa la luna piena, e i suoi raggi, penetrando nella stanza, si rifrangevano sulla ragnatela di un piccolo ragno bianco, che immobile al centro della sua rete, brillava come un minuscolo granello lunare.
La fanciulla si alzò, e senza paura si avvicinò a quella tela luminosa e al suo curioso inquilino. La necessità di trovare una distrazione alla sua angoscia ebbe la meglio sui timori che aveva sempre provato per quelle imprevedibili creature. Dopotutto, era l’unico essere vivente che condivideva con lei quel luogo, con la sola differenza che lui non ne era prigioniero, e questo suscitò nella giovane un profondo senso di affetto per lui. Era come se, grazie alla sua discreta presenza, lei fosse un po’ meno sola, e per la prima volta dopo settimane le sue labbra accennarono un sorriso.
Si sedette sotto la ragnatela, che continuava a riflettere la luce della luna, e seguì con lo sguardo i suoi impercettibili movimenti. Osservando il piccolo ragno bianco, comprese che anche lui era una forma di bellezza, e le parve addirittura che irradiasse da sé una sottile emanazione di pace e di armonia, poiché solo a stargli vicino si sentiva meglio.
Siamo solo io e te, in questa torre fredda e solitaria”, gli disse, “e se vuoi, vorrei esserti amica.”
La creatura, che la osservava a sua volta, stette immobile ancora qualche istante, poi ruotò lentamente attorno alla sua tela e lasciò cadere ai piedi della fanciulla un sottilissimo filamento bianco. La giovane, sorpresa, lo raccolse delicatamente, e non appena lo ebbe fra le mani le parve di sentire una vocina sottile che le parlava dentro.
Avvolgilo al tuo dito, e accogli la mia fortuna.
Senza esitare, la ragazza fece ciò che la vocina le aveva sussurrato. Avvolse il prezioso filo attorno al proprio dito, e subito lo vide dissolversi, mentre al suo posto compariva un sottile segno luminoso, che rimase impresso sulla sua pelle come un invisibile anello.
Allora accadde qualcosa di incredibile, poiché ciò che sino a quel momento era stato nascosto ai suoi occhi, le apparve per la prima volta. La sua cella non era più buia e spoglia, ma avvolta da innumerevoli drappeggi di finissime ragnatele luminose, che le davano l’aspetto di una minuscola ma ricchissima reggia. La sua stuoia impolverata era in realtà un candido letto a baldacchino dalle coltri soffici e calde. Il pavimento ruvido e sporco era coperto di pregiati tappeti bianchi, e miriadi di goccioline di rugiada imperlavano le ragnatele, creando splendide collane che pendevano dal soffitto e dalle pareti.
Alle spalle della fanciulla, il piccolo ragno bianco aveva preso a tessere e tessere, veloce come il vento, e quando lei si voltò per ringraziarlo della magia che le aveva mostrato, vide che sulla sua tela era appeso l’abito più bello che avesse mai visto. Era fatto di morbidi veli bianchi, quasi trasparenti, e luccicava come fosse cosparso di stelle.
La fanciulla era incantata davanti a tanta bellezza, e interpretando i movimenti insistenti del ragno come un invito ad accettare il suo dono, si spogliò, prese la morbida veste tra le mani e la mise indosso, sentendola aderire perfettamente al suo corpo come una seconda, leggerissima pelle.
Una grande gioia le riempì il cuore, e non poté fare a meno di cominciare a danzare. Muoveva i piedi sui morbidi tappeti, seguendo una musica che solo lei poteva sentire, e anche il piccolo ragno bianco pareva danzare insieme a lei, correndo lungo i cerchi concentrici della sua ragnatela.
La giovane danzò e danzò, e quando fu stanca si lasciò cadere sui soffici cuscini del letto, abbandonandosi a un sonno profondo come non le succedeva da tempo.
Nel frattempo, la luna aveva iniziato a calare, e quando la sua luce scomparve dalla cella in cima alla torre, anche l’incantesimo si dissolse.
Immobile al centro della sua ragnatela, il piccolo ragno bianco osservò la fanciulla addormentata ancora per qualche istante, poi risalì su per il muro, si rintanò in una delle sue crepe, e si assopì.

Un forte colpo metallico svegliò di soprassalto la giovane, che sul subito non capì dove si trovasse, né cosa fosse quel frastuono. Poi sentì la pesante chiave girare nella serratura, e ricordò. Al contrario degli altri giorni, però, non provò alcun timore. La gioia e la pace che aveva vissuto quella notte erano ancora vive dentro di lei, e non lasciavano più spazio alle ombre e all’angoscia.
Scendeva la lunga scala a chiocciola canticchiando le note che avevano accompagnato la sua danza notturna, e quando giunse al cospetto del re, che con arroganza le pose la solita domanda, gli diede in modo sbrigativo la solita risposta. Non vedeva l’ora di tornare nella sua cella, per rivivere il ricordo della notte precedente, e non aveva alcuna intenzione di rimanere davanti a quell’uomo un minuto di più.
Questi, però, notò un cambiamento nella voce e nella fierezza della giovane, e il fugace brillio che era tornato a illuminare i suoi occhi lo indispettì.
Ancora più adirato del solito, ordinò quindi che la recidiva fosse ricondotta nella torre, così che continuasse a nutrirsi di polvere con la sola compagnia dei ragni e delle loro ragnatele, ma nel pronunciare queste parole non poté vedere il sorriso compiaciuto della fanciulla, che si era già voltata e si stava dirigendo da sola verso la propria prigione.
La giornata passò lenta, e quando giunse la sera, la giovane si sedette sul suo giaciglio, e attese. Sperava con tutta se stessa che la magia della notte precedente si ripetesse, e infatti, non appena comparve la luna dalla finestrella in cima alla torre, anche il piccolo ragno bianco uscì dalla sua crepa, raggiunse il centro della tela, e nello stesso istante in cui lo fece la cella si trasformò di nuovo in una piccola reggia incantata, addobbata di luminosi drappeggi bianchi, di soffici cuscini e di preziose collane.
La creatura prese a tessere e tessere, veloce come il vento, e in men che non si dica un abito ancora più bello del primo fu pronto per essere indossato. La fanciulla si spogliò, strinse al petto quella veste scintillante, e non appena la ebbe indosso la gioia che l’aveva pervasa la notte prima si risvegliò in lei più intensa che mai. Così riprese a danzare, con una leggerezza tale che per qualche attimo le parve di volare, mentre il piccolo ragno bianco andava su e giù dalla sua tela, danzando insieme a lei.
Guidata da quella musica soave che solo lei poteva udire, la giovane danzò ancora a lungo, e quando fu stanca si stese sul letto a baldacchino, si avvolse nelle calde coperte e si addormentò, sentendosi più felice e più libera di quanto fosse mai stata nella sua vita.
Pochi istanti dopo la luna calò oltre la montagna, i suoi raggi si ritirarono dalla cella, e di nuovo l’incanto svanì.

La magia si ripeté la notte successiva, e quella dopo ancora, e quando sorgeva il sole, e la giovane veniva condotta al cospetto del re, lungi dall’essere triste e ridotta allo stremo, appariva al contrario ogni giorno più bella e gioiosa. Così la rabbia dell’uomo cresceva, e di pari passo ne crescevano la brama e l’impazienza.
Era stato certo sin dall’inizio che sarebbero bastati pochi giorni di prigionia per far cadere la ragazza nelle sue braccia, ma lei non voleva proprio cedere, e la sua pazienza era arrivata al limite.
Ebbene, sia come lei stessa desidera”, ringhiò fra sé e sé. “Se preferisce la morte, la morte avrà! E sarò io stesso a procurargliela, stanotte.
A quelle parole le mura del castello ebbero un tremito, e una strana inquietudine parve vibrare in ogni suo anfratto.
Anche la fanciulla la sentì, e seppe che qualcosa era cambiato. Il suo tempo in quel posto stava per finire.
Presto giunse la notte, e la luna calante tardò ad arrivare, ma il piccolo ragno bianco, che era uscito presto dalla sua crepa oscura, tesseva e tesseva, più veloce del vento, sebbene la fanciulla non riuscisse a vedere cosa stessero creando le sue veloci zampette.
Quando finalmente i raggi lunari penetrarono nella stanza e ne illuminarono l’interno, la fanciulla vide ciò che la creatura aveva fatto per lei, e il suo cuore mancò di un battito. Una lunga scaletta di tela bianchissima, forte e resistente come una corda, si allungava fino alla finestrella, e invece di ricadere alla base esterna della torre, proseguiva e proseguiva, fino a raggiungere la luna.
Allora, la vocina che aveva sentito la prima notte le parlò ancora.
Sali, amica mia, e sii libera. La madre luna ti accoglierà, e la mia fortuna ti accompagnerà per sempre.
Con gli occhi umidi, la fanciulla ringraziò il piccolo ragno bianco, che aveva risvegliato in lei la gioia e le aveva donato la vera libertà, quella che prescinde da qualsiasi condizione di apparente prigionia. Quindi si aggrappò alla scaletta, e cominciò a salire.
Salì e salì, uscì dalla finestrella e continuò a salire. Si guardò indietro per l’ultima volta, osservando la torre ormai lontana, e ricominciò a salire, fino a quando la luce della luna la avvolse e la trasse a sé, nel suo regno di eterna armonia.
Lo stesso regno dal quale i piccoli ragni bianchi provenivano, e dal quale scendevano per portare la loro fortuna a quelle fanciulle e a quei fanciulli dall’anima bella che qualche volta nascevano ancora sulla terra.

Intanto nel castello, il re armato di pugnale si incamminò lungo la ripida scala a chiocciola. Il pesante rumore dei suoi passi riecheggiò nella torre e quando, giunto in cima, fece girare la chiave nella serratura arrugginita e spalancò la porta con una spinta, rimase ammutolito. La cella era vuota.
L’uomo irruppe al suo interno, il viso distorto da una smorfia d’ira, e in preda alla furia rovistò in ogni angolo. Ma non trovò nulla. La fanciulla era scomparsa.
L’unico essere vivente della stanza sembrava essere un piccolo ragno bianco, che osservava la scena rimanendo immobile al centro della sua ragnatela, e che di lì a poco risalì su per il muro, si rintanò nella sua crepa, e sparì.
Il re non poté sopportare la sconfitta. Ebbe un colpo al cuore e morì nella propria prigione.

Quanto alla fanciulla, si dice che continuò a vivere nei candidi giardini della luna, dove imparò a filare i suoi luminosi raggi e a tesserli in drappeggi candidi e soffici.
E forse un giorno scenderà di nuovo, nella forma di un piccolo ragno bianco, per portare la sua fortuna a quelle fanciulle e a quei fanciulli dall’anima bella che qualche volta nascono ancora sulla terra.




Illustrazione di Arthur Rackham

***


Nota:

Secondo la tradizione italiana, ed emiliana in particolare, il ragno bianco “porta fortuna alla persona cui si trova vicino o addosso”, e vedere un ragno bianco, specialmente di mattina, porta una fortuna altrettanto grande. Per questo i ragni bianchi, o comunque di colore chiaro come il ragno crociato (Epeira diademata), il ragno della vergine (Falangino opilio), e via dicendo, devono essere trattati con ogni riguardo. (Cfr. Paolo Riccardi, Pregiudizi e superstizioni del popolo modenese, Salvatore Landi, Firenze, 1891, pag. 25; Strenna del Pio Istituto Artigianelli in Reggio Emilia, XVII, 1939, pag. 64)


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