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Krampus. Diavoli custodi di Luisa Rainer Chiap
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Il
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Samain. La festa del primo novembre |
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Venerdì, 01 Novembre 2019 - 13:58 - 5912 Letture |
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LA FESTA DEL PRIMO NOVEMBRE
di Marie-Louise Sjoestedt
Traduzione italiana, compendio e commento a cura di Alessandro Zabini
Il giorno in cui la stirpe degli uomini trionfò sulla stirpe degli dèi segnò la fine del periodo mitico in cui il soprannaturale dominava incontrastato la terra, e l’inizio di un nuovo periodo, in cui gli uomini e gli dèi convivono su questa terra. A partire da tale momento si pose un grande problema, il problema religioso per eccellenza: quello del rapporto fra l’uomo e gli dèi. Il mito precisa le circostanze in cui fu stipulato il contratto che regolò definitivamente tali rapporti.
La potenza degli dèi vinti restava tutt’altro che trascurabile: dispensatori della fertilità che da loro dipendeva, essi potevano ridurre gli uomini alla loro mercé negando i prodotti della terra. In tal modo privarono i Figli di Mil delle messi e del latte, costringendo il loro re a trattare. Così fu convenuto di suddividere il paese in due parti uguali. Il poeta Amairgin provvide alla ripartizione: le Tuatha Dé Danann ricevettero la metà inferiore dell’Irlanda, il sottosuolo; i Figli di Mil ricevettero la metà superiore, la superficie. Fu così che gli Dèi, ritornando nelle profondità della terra, presero possesso di quei poggi, tumuli preistorici o colli naturali, in cui i contadini irlandesi riconoscono ancora oggi le dimore delle fate, e che anticamente il Dagda divise fra la propria gente, assegnando una dimora, un Sid, a Lug, e un’altra a Ogma. Non soltanto i colli e le grotte, bensì anche le acque profonde appartengono agli dèi: il Lago dell’Uccello, in Connaught, nasconde un Sid. Un giorno il re Crimthann Cas vide emergere dalle sue acque lo spirito Fiachna, il quale gli chiese di aiutarlo contro un dio sovrano nemico e condusse lui e i suoi guerrieri nel proprio regno, sotto il lago. Le onde marine coprono una provincia di questo mondo occulto, Tir-fo-thuinn, il Paese sotto le Onde. Persino le isole presagite o immaginate nell’oceano, tutte le terrae incognitae su cui regnano Manannan e Tethra, appartengono al territorio della stirpe con la quale gli umani si sono spartiti il mondo. Non soltanto i recessi della terra e le profondità sotterranee e sottomarine, bensì anche i confini misteriosi del mondo, controllati dalla stirpe dei Figli di Mil, e tutto ciò che si stende oltre il piccolo cerchio rischiarato dalla luce piena e rassicurante del focolare umano, appartengono ai vicini invisibili e potenti, alla aes side, la gente del Sid. Così, per il primitivo, il mondo del soprannaturale inizia con la foresta, quasi alle porte del villaggio.
I poeti amavano descrivere questo mondo occulto, spesso con i colori più vivaci e sotto l’aspetto più prestigioso. Nella Terra dei Giovani (Tir na n-Og), nelle Pianure della Voluttà (Mag Mel), opime di fiori e di frutta, uomini e donne eternamente giovani e divinamente belli dimorano in palazzi sfavillanti di pietre e di metalli preziosi, inebriandosi d’idromele dispensato da botti inesauribili, cullati dalla musica d’innumerevoli uccelli o dalla melodia di quei rami di melo dai fiori di cristallo, il cui suono placa il dolore e propizia il sonno. Questa vita idillica non è priva di un aspetto bellicoso. A cosa varrebbero, infatti, i pacifici piaceri, la voluttà, l’ebbrezza, la musica, e persino le corse di carri, se non vi si aggiungesse il passatempo preferito dei Celti, ossia la guerra? Le occasioni di conflitto non mancano fra i capi dei Side propinqui, e più di una volta uno di essi sollecita l’aiuto di qualche re o eroe umano, e se occorre gli offre quale ricompensa per i suoi servigi l’amore di una immortale.
Altri racconti dipingono questo mondo soprannaturale sotto un aspetto meno propizio, come fortezze di cui gli eroi debbono espugnare gli accessi, difesi da mostri, per affrontarvi, armi alla mano, divinità ostili: tale è il reame dell’Ombra (Scath) ove Cuchulainn compie una razzia. Occorre forse riconoscere in questi due tipi di miti altrettante concezioni distinte del mondo soprannaturale, l’una meravigliosa e l’altra orrenda? Occorre forse opporli l’uno all’altro, e vedere, nelle terre felici dei Giovani, una sorta di Olimpo o di Valhalla celtico, dimora dei numi, e nell’oscuro dominio di Scath, un Ade oppure un Erebo, reame dei morti? Nulla nella tradizione indigena autorizza a ipotizzare un tale dualismo. D’altronde non esiste fra i due tipi di racconto alcuna opposizione irriducibile, e si passa dall’uno all’altro mediante transizioni impercettibili: la violenza che regna nel reame di Scath non è sconosciuta, come si è visto, nel beato Sid, in cui talvolta gli umani irrompono con la forza per saccheggiarlo, come testimoniano i miti di Samain evocati più oltre. Una medesima stirpe popola queste diverse dimore, una stirpe che non è quella degli uomini, né vivi né morti. Se essa è descritta di volta in volta con tratti benevoli o temibili, è perché i rapporti che intrattiene con la specie umana sono altrettanto variabili. Nei racconti in cui l’eroe è invitato e alleato della gente del Sid, il poeta si compiace di descrivere la magnificenza con cui è accolto e quella della dimora in cui è ospitato. Se invece si tratta di raccontare l’impresa di colui che non esita a portare la guerra fra gli avversari sovrumani, sono impiegati i colori più foschi per dipingere i pericoli che egli si arrischia ad affrontare e i terrori che vince. Così una medesima tribù, o un medesimo popolo, appare sotto un aspetto affatto diverso se è accostato come ospite oppure come nemico.
Gli abitanti del Sid conducono una vita molto simile a quella degli uomini, in cui è riflessa in forma idealizzata la vita dell’aristocrazia guerriera celtica, e non differiscono dagli uomini se non per un aspetto: eternamente giovani, essi sono, com’è narrato, immortali. Quantomeno questo è ciò che afferma Cailte, l’eroe ossianico, nel descrivere una donna del Sid: «Io sono mortale, giacché appartengo alla stirpe umana, mentre lei è immortale, poiché appartiene alla stirpe delle Tuatha Dé Danann». Nondimeno apprendiamo dalle narrazioni mitiche che coloro i quali appartengono alle Tuatha possono essere uccisi dagli uomini. Così Finn uccide con un colpo di lancia lo spirito, il cui respiro igneo ha incendiato Tara. Vi è forse in tutto questo una di quelle incoerenze che sono tollerate dal mito celtico? Indubbiamente no: tale apparente contraddizione si risolve allorché si considera la nozione di immortalità alla luce di quello che si potrebbe definire il carattere atemporale del Sid.
La gente delle Tuatha può perire per incidente, è vulnerabile alle ferite, ed è soggetta a quella morte violenta che per il primitivo è la più «naturale» delle morti. Essa nondimeno è immortale per essenza, nel senso che ignora la decrepitudine e che su di essa il tempo non ha alcuna presa. Tutto ciò avviene perché essa vive in un mondo che non è sottomesso al tempo. È una legge costante del mondo soprannaturale che chiunque vi entra si sottrae al tempo umano. Così avviene a Bran e ai suoi compagni. Dopo avere vissuto nelle isole felici, allorché sono indotti dalla nostalgia a voler rivedere le rive della patria, le loro ospiti li avvisano di non posare piede a terra. Arrivati a portata di voce dalla costa, essi interrogano gli Irlandesi accorsi nel frattempo, domandando loro se si rammentino di Bran mac Febail. «Non conosciamo nessuno che porti questo nome», rispondono costoro, «tuttavia nei nostri antichi racconti è menzionato un certo Bran». Allora uno dei compagni di Bran non può resistere all’attrazione della terra natale, e appena la tocca, crolla in cenere. Questo episodio è stato utilizzato come argomento per interpretare le Isole come una terra dei morti, e Bran e i suoi compagni come spettri. Tuttavia questi navigatori sono arrivati vivi alle Isole, dove hanno vissuto per secoli, trascorsi per loro come anni. Nel momento in cui uno di loro abbandona il mondo fuori del tempo, tutti i secoli passati si abbattono contemporaneamente su di lui, talché rientrando nel tempo umano egli entra nella morte.
Un’avventura simile, però in senso inverso, è quella di Nera nel mondo soprannaturale. Quando si riunisce ai suoi compagni dopo avere trascorso tre giorni nel Sid, egli li ritrova al medesimo fuoco di bivacco intorno al quale li aveva lasciati, dinanzi alle vivande che non hanno avuto il tempo di cuocere in sua assenza. Estraneo al nostro tempo, il Sid lo è anche al nostro spazio: un’altura accoglie un popolo intero, con le sue dimore e le sue campagne. I due mondi giustapposti, situati su due piani diversi, non si collocano all’interno delle medesime dimensioni.
Le due stirpi, l’una imperitura, se non immortale, l’altra peritura, sono tuttavia considerate eguali in diritti e in dignità: «In Irlanda non esistono che due stirpi di eguali diritti (cudruma), ossia i Figli di Mil e le Tuatha». Essi intrattengono gli uni con gli altri rapporti di vicinato amichevoli oppure ostili. Ciascuno accoglie i transfughi dell’altro, come avviene fra le tribù umane. Allorché il padre rifiuta loro un appannaggio, i tre figli del re d’Irlanda si recano dalle Tuatha e «digiunano contro di loro», secondo la procedura celtica dello «sciopero della fame», la quale risale alla tradizione indoeuropea, poiché la si ritrova nel mondo indiano. Le Tuatha, cedendo a tale pressione, concedono loro mogli e patrimoni nel Sid, dove ormai continueranno a risiedere. Inversamente Finn prende al proprio servizio, nella propria banda guerriera, un transfuga del Sid, scontento della sorte che gli è stata assegnata dalla sua gente.
Fra i due mondi, l’umano e il soprannaturale, i contatti sono dunque frequenti, e gli scambi sono possibili. Al tempo stesso questi mondi rimangono distinti e pressoché impermeabili l’uno all’altro, poiché ciascuna stirpe rispetta il modus vivendi stabilito e si astiene dallo sconfinare nel dominio dell’altra. Eppure esiste un tempo in cui l’invisibile barriera magica da cui sono separati, cede. Allora i due mondi comunicano e i due piani si confondono, come durante il periodo mitico: ciò avviene nella notte di Samain (dal trentun ottobre al primo novembre), notte del Nuovo Anno dei Celti, notte per così dire fuori del tempo, la quale non appartiene né a un anno né all’altro. Sembra che per la fessura rimasta laddove i due anni sono contigui, tutto il soprannaturale si precipita, pronto a invadere il mondo umano.
La festa di Samain è una delle quattro grandi feste dell’anno celtico, uno dei quattro periodi in cui si raccoglie l’attività sociale e religiosa di popoli normalmente dispersi su territori privi di agglomerati, che la festa riunisce per alcuni giorni in un luogo consacrato, una sorta di santuario temporaneo. Samain (primo novembre) la «Pasqua dei pagani», e Cet-shaman, o Beltine (primo maggio), dividono l’anno in due stagioni, la stagione fredda (gallico Giamon-, irlandese heim-red, gallese gaiaf) e la stagione calda (gallico Samon-, irlandese sam-rad, gallese haf). Di tale divisione, comune a tutto il dominio celtico, si trova traccia nel calendario di Coligny, come pure in una attuale usanza gallese (Calan gaiaf, Calan Mai).
A sua volta, ciascuna stagione, almeno in Irlanda, è suddivisa in due trimestri dalla festa di Imbolc, il primo febbraio, ora festa di santa Brigid, e dalla festa di Lugnasad, il primo agosto. Come si vede, il calendario celtico non si regola sull’anno solare, sui solstizi e sugli equinozi, bensì sull’anno agrario e pastorale, sull’inizio e sulla fine delle opere di allevamento e di agricoltura. Dunque il mondo mitico dei Celti è dominato dalle dée della terra, e invano vi si cercano divinità solari. La connessione fra questi due aspetti tradisce il medesimo orientamento del pensiero religioso.
La festa di Lugnasad, posta sotto il patrocinio di diverse dèe madri, quella di Imbolc, festa di Brigid, la quale, secondo Cormac il Glossatore, segna l’inizio della lattazione delle pecore, e quella di Beltine, il cui nome deriva dai grandi fuochi fra i quali si fa passare il bestiame per proteggerlo dalle malattie, presentano un marcato carattere agrario. Tale carattere non è affatto assente dalla festa di Samain, giacché tutte le feste tendono a essere totali, tuttavia è respinto sullo sfondo da altre caratteristiche, le quali donano a tale festa la sua specifica atmosfera, cupa e fantastica. Samain non è la festa di alcuna divinità tutelare, bensì è quella di tutto l’intero mondo degli spiriti, la cui intrusione nel mondo umano assume allora un aspetto minaccioso e bellicoso.
Samain è il tempo in cui, alle soglie della stagione sterile, si offrono agli spiriti le decime prelevate dai frutti della stagione feconda che sta finendo. Tali sacrifici non rivestono il carattere di offerte a potenze tutelari, bensì di gravosi tributi imposti all’uomo dalle potenze della distruzione. Così la stirpe di Nemed è costretta a consegnare ai Fomoire «i due terzi del suo latte, del suo grano e dei suoi figli». Analogamente, prima dell’arrivo di Patrick, narrano le Dindshenchas, gli Irlandesi usavano offrire il primo novembre a Crom Cruaich, o Cenn Cruaich (il «Curvo del Poggio» o il «Capo del poggio») «il primo di ogni cucciolata e il primogenito di ogni prole». Il re d’Irlanda, Tigernmas, come pure gli uomini e le donne d’Irlanda, si prosternavano allora dinanzi a lui «in modo tale che la sommità della loro testa, la punta del loro naso e le punte delle loro ginocchia e dei loro gomiti si spezzavano, così che tre quarti degli uomini d’Irlanda perivano in queste prosternazioni». Sebbene fantastica, tale descrizione evoca il ricordo di culti sanguinosi fondati sul terrore.
Tutto un ciclo di miti si connette al tempo di Samain. Sono i miti degli incontri fra i due mondi, sovente bellicosi. In sostanza, la Battaglia di Mag Tured è un mito di Samain, come pure lo è la leggenda di Muircertach mac Erca, il quale, assediato dalla gente del Sid, perì annegato in un tino e arso nell’incendio della propria casa (doppia morte che rammenta riti sacrificali). Lo strano racconto L’ebbrezza degli Ulaid, che ci narra la folle escursione attraverso l’Irlanda degli eroi, storditi dalla notte e dall’ebbrezza, i quali sfuggono soltanto con estrema difficoltà a una morte «in una casa rovente», di carattere senza dubbio sacrificale, è un mito di follia orgiastica, bene inserito nell’atmosfera di questa «notte della confusione».
Fra questi racconti scegliamo di riassumere quello delle Avventure di Nera, che illumina i rapporti fra gli uomini e la gente del Sid in questo tempo eccezionale. Nella notte di Samain, Nera, guerriero di Ailill, re del Connaught, si addentra perigliosamente nella foresta per corrervi un’avventura fantastica che qui non raccontiamo. Nel tornare verso casa, trova in fiamme la residenza del re, Raith Cruachain, mentre un esercito nemico ammucchia le teste mozzate. Allora segue tale esercito e così penetra nella Caverna di Cruachu, uno dei Sid d’Irlanda, antro da cui escono talvolta torme di animali fantastici. Là diviene marito di una donna del Sid, la quale gli rivela che l’incendio di Raith Cruachain è una illusione, eppure si avvererà se il Sid non sarà distrutto durante la successiva notte di Samain. Allora Nera ritorna dai propri compagni, che ritrova tranquillamente raccolti intorno al fuoco. Ai guerrieri non resta altro da fare che attendere la successiva notte di Samain, la notte «in cui tutti i Sid d’Iranda sono aperti», per passare all’offensiva. Giunto il tempo fatidico, essi attaccano in effetti il Sid, lo saccheggiano e se ne vanno con il bottino. Soltanto Nera resta nel Sid per continuare a vivere con la moglie sino al giorno del giudizio.
Mentre l’incendio di Raith Cruachain è soltanto un’illusione, non è affatto tale l’incendio di Tara, di cui narra un altro mito. Ogni notte di Samain, Aillen mac Midhna, appartenente alle Tuatha De Danann, esce dal proprio Sid e scatena contro Tara un fiume di fuoco che la incendia. Tutto ciò si ripete per ventitré anni, sino al giorno in cui Finn, giunto all’età di dieci anni e ottenuto il proprio posto nell’assemblea di Tara, uccide Aillen, e tale impresa gli vale il comando generale dei Fiana, bande guerriere d’Irlanda.
Il tema di tutti questi miti è il medesimo: un attacco condotto dalle truppe del mondo soprannaturale contro le dimore degli uomini, talvolta seguito da un contrattacco vittorioso. Il «tema del fuoco» e il «tema dell’acqua», talvolta associati, vi compaiono sotto diverse forme: dimore incendiate, «casa di ferro» arroventata, annegamento in un tino, che evocano certe forme di sacrificio umano attestate presso i Celti continentali. Come sappiamo dallo Scoliasta di Lucano, si onorava Teutates annegando le vittime in un tino, e si onorava Taranis bruciandole in un recipiente ligneo. Tali riti atroci s’inquadrano nell’atmosfera religiosa di questo periodo in cui lo scatenamento del soprannaturale rivestiva il carattere più minaccioso.
In verità, in altri miti di Samain l’incontro fra i due mondi assume un altro aspetto, come nella leggenda della malattia di Cuchulainn, la quale narra la visita dell’eroe al Sid, dove egli gioisce dell’amore della fata Fann. In questo mito l’elemento bellicoso, che pure non è assente, è posto in secondo piano dall’elemento erotico. A tale proposito vi si può paragonare l’episodio, ugualmente collocato nel tempo di Samain, del convegno amoroso fra il Dagda e la Morrigan. Ciò che caratterizza questo tempo non è affatto la forma assunta dall’incontro fra i due mondi, bensì l’accadere medesimo di tale incontro. Durante questa notte di caos si ricreano le condizioni del periodo mitico, in cui si apre un mondo normalmente chiuso all’uomo, come a Roma, nelle date in cui si solleva la pietra che chiude l’accesso al dominio sotterraneo, mundus patet.
La chiesa, attenta ad annettersi le tradizioni anteriori ardue da sradicare, ha trasformato questa festa di tutti gli spiriti nella festa di tutti i santi, la nostra Ognissanti. Osserviamo solamente che nella concezione cristiana si è cancellato il carattere specifico della concezione celtica: la reciprocità che regge i rapporti fra il visibile e l’invisibile e che permette all’uomo, invaso dal popolo degli spiriti, di gettarsi a propria volta all’assalto delle dimore misteriose, per una notte finalmente accessibili e spalancate.
Marie-Louise Sjoestedt
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