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Le streghe di Levone di Pier Luigi Boggetto
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Il
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Leggende di Selkie |
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Mercoledì, 15 Agosto 2018 - 15:39 - 9362 Letture |
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LEGGENDE DI SELKIE
Raccolte dalle tradizioni popolari di Scozia, Isole Faroe, Irlanda e Islanda
Traduzioni italiane a cura di Laura Violet Rimola
MACCODRUM E LA MOGLIE FOCA
Scozia – South Uist (Ebridi Esterne)
Sebbene il suo nome completo non sia mai stato ricordato, era un giovane uomo del clan dei MacCodrum. Era il giorno dopo una tempesta, ed egli stava perlustrando la spiaggia per raccogliere le alghe preziose e commestibili che erano state trascinate a riva. Ad un tratto, udì delle persone ridere e cantare.
***
TOM MOORE E LA DONNA FOCA
Irlanda
Nel villaggio di Kilshanig, due miglia a nord-est di Castlegregory, viveva un tempo un giovanotto bello e bravo, di nome Tom Moore, che sapeva ballare e cantare in modo eccellente. Spesso lo sentivano cantare di notte fra le rocce e nei campi.
Il padre e la madre di Tom erano morti, e lui era rimasto solo in casa. E aveva bisogno di una moglie. Un mattino, al sorgere del sole, mentre lavorava vicino alla spiaggia, vide la più bella donna che fosse mai comparsa in quelle parti del regno, sdraiata su di uno scoglio e profondamente addormentata. Era bassa marea e l’acqua si era ritirata dagli scogli, e Tom Moore era curioso di sapere chi era la bella donna, e perché si trovasse lì. Così si diresse verso lo scoglio.
“Svegliati!”, gridò Tom alla donna, “Se viene l’alta marea corri il rischio di affogare.”
Lei alzò la testa e si mise a ridere. Tom la lasciò là, ma mentre si allontanava voltava ogni minuto la testa per guardarla. Arrivato là dove lavorava, prese su la vanga, ma non riusciva a far nulla. Doveva guardare la bella donna sullo scoglio.
Infine si alzò la marea e l’acqua arrivò allo scoglio. Tom gettò via la vanga e corse alla spiaggia, ma la donna si lasciò scivolare in mare e scomparve alla vista.
Tom passò la giornata a maledire se stesso perché non aveva strappato la donna dallo scoglio, quando era Dio che gliel’aveva mandata. Per tutto il giorno non poté lavorare. E tornò a casa.
Non poté dormire un minuto per tutta la notte. La mattina dopo si alzò presto e andò allo scoglio. La donna era ancora là. E lui la chiamò.
Nessuna risposta. Tom andò fino allo scoglio. “Potresti venire a casa con me, ora”, le disse. Neanche una parola dalla donna. Tom le tolse la cuffia dalla testa e disse: “E io mi tengo questa.”
Nel momento stesso in cui lo fece lei gridò: “Dammi indietro la mia cuffia, Tom Moore!”
“Neanche per sogno, è Dio che ti ha mandata a me, e adesso che hai parlato sono contento.” La prese per il braccio e la condusse a casa sua. La donna cucinò la colazione e sedettero entrambi a mangiare.
“Ora, in nome di Dio”, disse Tom, “tu e io andremo dal prete e ci sposeremo, perché i vicini qui sono molto pettegoli. Farebbero delle chiacchiere.” Così dopo colazione andarono dal prete e Tom gli chiese di sposarli.
“Dove hai trovato la moglie?”, chiese il prete.
Tom gli raccontò tutta la storia. Quando il prete vide che Tom era così impaziente di sposarsi, gli mise il prezzo di cinque ghinee, e Tom pagò. Poi si portò la moglie a casa, e lei fu la più buona moglie che mai entrasse nella casa di un uomo. Visse con Tom sette anni ed ebbero tre figli e due figlie.
Un giorno Tom stava arando, e qualche parte dell’aratro si ruppe. Pensò che a casa in solaio c’erano dei bulloni, così salì a prenderli. Buttò all’aria sacchi e funi mentre cercava i bulloni, e che cosa gli avvenne di gettar giù per le scale alla fine? La cuffia che aveva preso a sua moglie sette anni prima. Lei la vide mentre cadeva, la prese e la nascose. In quel momento si sentì un gran muggito di foca che veniva dal mare.
“Ah”, disse la moglie di Tom, “questo è mio fratello che mi cerca.”
Quel giorno alcuni uomini che andavano a caccia uccisero tre foche. Tutte le donne del villaggio corsero giù alla spiaggia a vedere le foche, e con loro la moglie di Tom, che cominciò a piangere e a gemere, e chinandosi sulle foche morte disse qualche parola a ciascuna e poi gridò: “Assassini!”
Quando la videro piangere, gli uomini dissero: “Noi non vogliamo più aver niente a che fare con queste foche.” Scavarono una grande fossa, vi posero le tre foche e le coprirono di terra.
Ma alcuni di loro, durante la notte pensarono: “È un gran peccato aver sepolto quelle foche, dopo tutta la fatica che abbiamo fatto per prenderle.” Così andarono con le zappe, scavarono la terra ma non trovarono traccia delle foche.
Per tutto quel tempo la grande foca del mare aveva continuato a muggire.
Il giorno dopo, mentre Tom era al lavoro, sua moglie spazzò la casa, mise tutto in ordine, lavò i bambini e li pettinò. Poi li prese vicino a sé e li baciò uno per uno.
Quando uscì, andò fino allo scoglio e dopo essersi messa in testa la cuffia si tuffò. In quel momento la grande foca alzò la testa e mandò un tal muggito che la sentirono a dieci miglia di distanza.
La moglie di Tom si allontanò con la foca, nuotando nell’acqua. Tutti i cinque bambini che lasciava avevano delle membrane fra le dita delle mani e dei piedi.
I discendenti di Tom Moore e della donna foca vivono ancora oggi vicino a Castlegregory, e fra le dita delle mani e dei piedi hanno ancora delle membrane, che però diminuiscono ad ogni generazione.
Note bibliografiche:
Questa leggenda irlandese proviene dalla Contea di Kerry, e venne raccolta e trascritta da Jeremiah Curtin nel 1892.
La versione qui riportata è tratta da Fate e Spiriti d’Irlanda, a cura di Henry Glassie, Franco Muzzio Editore, Roma, 2002, pagg. 203-205.
PELLE DI FOCA
Islanda
Una mattina presto, prima che la gente si fosse alzata, un uomo di Myrdal, nell’Islanda Orientale, stava camminando davanti ad alcune scogliere quando si trovò all’ingresso di una grotta. Poteva sentire chiaramente il suono di allegre feste e danze, che provenivano dall’interno della collina, e accanto all’entrata vide un gran numero di pelli di foca. Così ne raccolse una, la portò a casa e la chiuse nel suo baule.
Qualche ora dopo, tornò all’ingresso della grotta e trovò una bellissima fanciulla seduta lì vicino. Completamente nuda, piangeva amaramente, poiché era la foca a cui apparteneva la pelle rubata.
L’uomo diede dei vestiti alla ragazza, la confortò e la condusse con sé nella sua casa.
Trascorse del tempo, e la fanciulla accettò l’uomo, senza tuttavia riuscire ad andare d’accordo con le altre persone del posto. Preferiva sedere da sola sugli scogli e guardare il mare.
Di lì a poco l’uomo la prese in moglie e insieme vissero serenamente, mettendo al mondo molti figli.
Ma in tutto quel tempo il paesano tenne nascosta la pelle, chiusa al sicuro nel suo baule, e sempre portava con sé la chiave ovunque andasse.
Diversi anni dopo, accadde che egli uscì in barca per pescare e dimenticò la chiave sotto il cuscino. Altri invece dicono che era uscito per la veglia di Natale con i suoi compaesani, e che la moglie, a letto malata, non si era potuta unire a loro. In quell’occasione, non si era ricordato di prendere la chiave dalla tasca degli abiti che indossava ogni giorno per riporla in quella del vestito da festa.
In ogni caso, quella sera, quando l’uomo tornò a casa, il baule era aperto e la donna era sparita con la pelle. Trovata la chiave, aveva aperto il cofano per curiosità e l’aveva ritrovata.
Allora non aveva potuto resistere alla tentazione, e dopo aver detto addio ai suoi figli, aveva indossato la pelle e si era tuffata in mare.
Si dice che prima di saltare fra le onde, la donna disse:
“Questo desidero, eppure non lo desidero.
Sette bambini ho in fondo al mare,
Sette bambini ho anche qui sopra.”
Questo toccò il cuore del paesano. Dopo il ritorno della donna nel mare, accadde più volte che una foca seguisse l’uomo quando usciva a pescare, nuotando a fianco della sua barca, e alcune lacrime parevano scendere dai suoi occhi. E a lui non mancò mai di catturare il pesce, perché la fortuna toccava spesso la sua spiaggia.
La gente del villaggio, inoltre, vide spesso i suoi figli camminare sulla sabbia, mentre una foca li accompagnava, nuotando davanti a loro, e lanciava sulla riva pesciolini colorati e graziose conchiglie.
Ma la madre sulla terra non tornò mai più.
Note bibliografiche:
La leggenda qui riportata è l’islandese Selshamurinn, ovvero Pelle di Foca, tradotta dalla lingua islandese al tedesco da Åge Avenstrup ed Elisabeth Treitel, tradotta dal tedesco all’inglese da D. L. Ashliman, e tradotta dall’inglese all’italiano da Laura Rimola.
Una versione equivalente è contenuta in Icelandic Folktales and Legends, Jacqueline Simpson, The History Press, Stroud, Gloucestershire, 2009, pagg. 114-115.
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Le traduzioni, eccetto dove indicato, sono state realizzate da Laura Violet Rimola. Vietata la riproduzione senza il permesso della traduttrice e senza citare la fonte.
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Re: Leggende di Selkie
(Punti: 1)
da Morgwen_del_Lago 13 Dic 2018 - 13:30 (Info utente | Invia il messaggio)
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Tutte queste storie dimostrano che la natura libera e selvaggia di queste creature fatate non può in alcun modo essere assoggettata alle leggi umane, ma anche che nessuno dovrebbe rinunciare alla sua vera essenza, noi stesse possiamo essere nel nostro profondo creature d'acqua o di terra (pure in senso metaforico) e alla fine quello che siamo veramente si mostrerà con forza, non potremo mai essere quello che non siamo.
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