Il Tempio della Ninfa

Dahud e la città d'Ys

Articoli / Racconti
Inviato da Elke 27 Set 2007 - 17:37

All’alba, dalle onde di un mare che si stende su spiagge vergini e va a baciare il cielo glauco, emerge il capo dorato di una Donna. E’ qui per raccontare, a chi sa porgere ascolto con Occhi e Cuore, la fine degli Antichi Tempi.
Il mare è quello che divide la piccola Bretagna – che al tempo della Nostra storia ancora si chiamava Armorica – dalla grande; e il grazioso volto che ne emerge è quello di una sirena. D’oro ha i capelli ed il corallo presta il colore alle sue labbra, il fascino segreto e la sensualità di un’era in cui i peccati ancora non esistevano l’ammantano. Simile a note d’arpa, nell’aria limpida dove si spandono i primi timidi raggi di sole, la sua Voce ci trasporta in un mondo ormai lontano.

L’Impero Romano, il forte, il grande, si era dissolto da poco; i seguaci del Cristo vagavano allora per tutta l’Europa. Per la maggior parte maledicevano gli Antichi Dei e imponevano la legge –unica e sola - dell’acquasantiera.
In quel tempo di grandi cambiamenti, nella Cornovaglia francese regnava Gradlon Meur (il Grande). Egli aveva una figlia della quale accontentava ogni desiderio; sua madre Malgven, una Incantatrice del Nord del mondo, era morta dandola alla luce, dopo che il Re aveva attraversato l’Oceano per giungere a lei e conquistarla. Il nome del frutto del loro amore era Dahud, la “buona magia”.
Era nata sul Mare, il grande conservatore di Misteri,, ed amava le Antiche Armonie, le usanze che per secoli il suo popolo aveva mantenuto. Disdegnava la dottrina dei religiosi di Palestina che chiamavano malvagio il sensuale, empio il femminile e diabolico il retaggio degli Antenati, che predicavano la mortificazione del corpo e il disprezzo del materiale.
Successe che un giorno il Re andò a caccia in un bosco e, alla fine della giornata, non riuscì più a trovare la Via del ritorno da quella selva intricata, dove fino a pochi anni addietro i druidi celebravano i loro rituali. Gradlon ed il su seguito vagarono per quel tempio silenzioso finché non scorsero un lumicino lontano. Quale non fu la loro sorpresa quando scorsero un uomo, il cranio rasato, una lanterna in mano ed un crocifisso al collo che lo rivelavano uno dei quei monaci pii che passavano la vita in isolamento e preghiera. Corentin era il suo nome, lo stesso che sarebbe stato proclamato santo, molti anni dopo.
L’eremita, poiché Gradlon e i suoi accompagnatori erano stanchi ed affamati, offrì loro del cibo: si avvicinò ad una fontana, dove nuotava un pesciolino e, catturatolo, taglio un lembo della sua carne. Subito, come per miracolo, i guerrieri si trovarono davanti ogni sorta di squisitezza.
Visto tale prodigio il sovrano si rivolse al religioso:
Corentin, sant’uomo, in ricompensa di tale dono e poiché tu sicuramente sei un uomo di Dio ti nomino vescovo, il primo della Bretagna. Edifica chiese e cappelle dove più preferisci. D’ora in avanti quest’onere è tuo.

In pochi anni Kemper, la capitale del regno si coprì di chiese e croci. Gli uomini dal cranio rasato e dal saio nero acquistarono sempre più potere e si fecero sempre più intolleranti alle precedenti credenze, arrivando ad abbattere le pietre, bruciare i nemeton e sbriciolare le statue, imponendo in ogni dove la legge della Croce. I Druidi erano scacciati e maledetti, i portatori dell’antica saggezza soffrivano ora l’esilio della dimenticanza. Gradlon lasciava fare, ma Dahud non era certo insensibile a tali profanazioni. Così disse al Re:
Oh padre, padre mio, ti prego! Costruiscimi una città, un palazzo sul mare, dove i portatori della croce e di un solo dio non possano mai entrare. Là gli antichi Dei non saranno mai dimenticati, la Conoscenza dei Saggi non sarà obliata. In quel luogo sempre sarà gioia, allegria e musica; gli Dei che ora sono scacciati troveranno un nuovo santuario. Sarà sull’oceano immenso, le onde canteranno intorno e le conchiglie saranno corona alle sue mura. Te la chiedo padre, prego il tuo amore per me. Laggiù nessun prete mormorante minacce giungerà mai, non si udrà suono di campana ma solo le note dell’arpa. Così ho deciso.
Gradlon che mai aveva scontentato la figlia si apprestò allora a farle costruire una città in una baia, grande e magnifica alla quale Dahud diede il nome di Ys. In quel luogo le antiche feste venivano di nuovo celebrate e gli abitanti ritrovavano la gioia e l’orgoglio di un tempo precedente all’insostenibile pesantezza del peccato.
Un giorno, però, arrivò alla corte del Re un uomo magro e consumato dalle privazioni, con un cilicio alla gamba per avere la certezza del paradiso, e così parlò al suo sovrano:
O Re, non vedi tu la dissolutezza di tua figlia? Non vedi come adora gli idoli malefici? Non conosci forse la sua dissolutezza? Allevi una vipera in seno! E’ Guènolè l’abate che ti parla signore, Corentin è scontento del comportamento della principessa e chiede di poter edificare una chiesa laddove dilaga il peccato, più alta del più elevato palazzo! Solo così, forse, il tuo popolo verrà salvato. La misericordia dell’unico vero Dio non è certo eterna né infinita!
Prete, dov’è allora l’Amore di cui vi riempite la bocca voi religiosi? Dov’è il perdono insegnato dal Nazzareno? Dove la libertà, l’orgoglio e la giustizia di una vita vissuta senza paura di un inferno successivo? Ai miei tempi le donne potevano ancora desiderare un uomo e questi erano liberi di adorare la natura.
Gradlon, non ti accorgi dunque che quel tempo è passato per sempre? La luce accecante di Dio ha scacciato la vostre tenebre, il sole è alla fine arrivato. Questo è il tempo di Dio.
Allora con il volto scavato da mille rughe, come se fosse il più vecchio degli uomini, e con la tristezza di colui che ha visto tramontare tutto ciò in cui credeva, il Re parlò:
Così sia, dunque.

Non esiste allora un luogo dove io possa vivere in pace, dove gli Dei possano ancora essere adorati?!” urlò Dahud, quando vide la chiesa crescere nel suo regno.
Una notte di luna piena, non sopportando più quella situazione, salì su una barca e fece vela verso Ponente, verso uno dei pochi lembi di terra dove non si posava ancora l’ombra della croce. Andò nell’isola dove vivevano le Sènes, le sacerdotesse che ora erano quasi dimenticate degli uomini. Quando arrivò alla grotta dove essere abitavano le trovò vecchie e spente come le braci che impallidivano ai loro piedi; le ricordava come vergini, giovani donne pronte a lottare e a sacrificare ogni cosa per ciò in cui credevano, ma ora…
Sei giunta, alla fine, Dahud. Abbiamo sofferto il freddo dell’abbandono e dell’esilio. Siamo quasi dimenticate, il nostro tempo è trascorso. Non vi è più posto per le nostre nebbie, bambina, i nostri chiaroscuri e i colori sfumati; ora vincono le luci forti che pungono e accecano come lance. E’ il tempo di un solo Dio, figlia mia.
No! No, io rifiuto questo responso, io non posso piegarmi!
Detto ciò scagliò nel fuoco alcuni rami che si trovavano li vicino e versò alcune gocce da una piccola fiala che portava alla cintura. Lentamente e poi sempre più veloci, nella stessa maniera in cui il fuoco riprendeva vita, così le Sènes recuperarono l’aspetto di fanciulle nel fiore degli anni.
Parla dunque, Dahud. Per questa notte ancora, l’ultima, siamo Fanciulle e Sacerdotesse.
E la principessa parlò.
Quello che ci chiedi è molto, ma noi esaudiremo. Però ricorda bambina, gli dei hanno freddo, l’Altromondo si sta allontanando sempre più nelle nebbie. L’uomo plasma con le sue credenze il mondo e qui non c’è più posto per tutto ciò che conoscevamo; il Mare è esigente, la Terra lo è altrettanto. Ricordalo. Gli Dei ora tremano per il freddo. Va ora, figliola, va…

Quando la principessa approdò nuovamente a Ys i suoi desideri erano stati esauditi. Il suo palazzo, più bello che mai, superava in altezza la croce posta in cima alla chiesa e intorno alla città era stato scavato un fossato e costruito un sistema di chiuse che proteggeva la città dalla furia del Mare. La vita riprese a scorrere nella gioia in quella città prodigiosa, uomini e donne si amavano in innocenza e canti e musica risuonavano dalle prime ore del giorno fino a notte tarda. A volte la sovrana di quel luogo di incanti ricordava le ammonizioni ricevute, ma fra le mille bellezze di quei luoghi dimenticava ogni paura. Ys era già allora fra due mondi, quello dove i monaci diffondevano la loro verità e la Tir na nOg, la terra dei giovani e dei viventi.

Un giorno si recò al palazzo della principessa un uomo, e che uomo! Rosso era il suo vestito, come lo erano i capelli e la barba; con lui veniva un nano deforme che portava una borsa al fianco.
Cosa venite a fare nella città di Ys, cavaliere?”, chiese Dahud al loro arrivo.
A compiere il tuo destino, principessa.
Giunsero i festeggiamenti di mezza estate. Nella grande sala, dove era riunito il popolo, il nano aprì la sua borsa e ne estrasse un piccolo strumento musicale; quando iniziò a suonare tutti i presenti presero a ballare vorticosamente, e più era veloce la musica, più rapidi erano i passi di quella folle danza. Solo Dahud e l’Uomo Rosso non ballavano; lui l’aveva presa per mano e l’orgogliosa principessa s’era lasciata condurre come non aveva mai fatto nella sua vita. Nei suoi appartamenti si denudarono con una fretta, un ansia, un desiderio che scuoteva la Donna nel centro del suo essere, e quando, infine, si mossero nella danza più antica di tutti i tempi, ella si aggrappò a lui e, scossa da brividi di piacere, visse un’estasi che avrebbe fatto illividire qualsiasi monaco cristiano.

C’è un prezzo per il mio amore Dahud. Ora tu devi pagarlo”, disse il Rosso, alla fine.
“Io ti chiedo la chiave delle chiuse che proteggono la città, la chiave che tuo padre porta giorno e notte al collo.”
No, no, io non posso!” poi però, come ipnotizzata dalle parole di quell’essere che ora non era più certa di poter chiamare uomo, si diresse verso le stanze del padre e gli sfilò la pesante chiave nel sonno.
Perdonami padre mio, perdonami.” Sussurrò.
In un istante vide il cavaliere Rosso aprire le chiuse e la furia delle onde dilagare per la città, fino alla sala dove la danza proveniva, sempre più frenetica.
Il mare sommerse ogni cosa: gli splendidi palazzi e le vie lastricate di conchiglie, le genti e il bestiame. Era la fine di Ys e della sua magia.
Guènolè, uscito dalla sua Chiesa, corse dove il Re si trovava e alternando dolcezza a minacce riuscì a farlo salire sul cavallo – un animale che sapeva correre sulle creste di spuma delle onde – da dove essi assistettero agli ultimi istanti di vita di quella città, dove la gioia e gli Dei avevano potuto continuare a regnare per qualche tempo in più; poi Gradlon si sentì tirare la tunica. Era Dahud, sfuggita alla distruzione e implorante. Il Re le tese una mano con una scintilla di tenerezza nello sguardo, ma Guènolè, il cui sguardo era illuminato dall’intolleranza scagliò il pastorale contro la principessa che precipitò fra i flutti di quel mare ce l’aveva vista nascere.
La veste rossa, i capelli dorati e la dolcezza dello sguardo di sua figlia accompagnarono Gradlon fino alla fine dei suoi giorni, che avvenne nell’abbazia retta da Guènolè.

Quanto a Dahud, solo gli ingenui possono pensare che sia morta annegata. Le Donne dell’Altromondo non annegano di certo! Alcuni raccontano che si sia trasformata in sirena e ancora oggi ella possa attirare gli uomini nella sua perduta città; altri dicono che si possano udire le campane della chiesa sommersa e che si possano scorgere, quando il mare è calmo, le cime dei sontuosi palazzi…
La forza indomita di Dahud, il suo rifiuto di piegarsi appartiene ad ogni donna che ricerchi con cuore sincero la Via delle Antiche Armonie; non il rifiuto per il Cristianesimo dev’essere nel suo cuore - poiché ogni fede ha in sé una parte di Verità - ma quello per le idee imposte e prestabilite, per chi nega tutto il resto. La Verità dev’essere trovata da ognuno, e non importa che essa sia diversa per l’uno o per l’altro; essa ha sempre lo stesso cuore perché viene dallo stesso luogo.
In passato, ora e sempre.

Un guizzo, una coda di pesce rossa fra le onde bianche e azzurre e la nostra Cantrice è di nuovo fra i flutti dove ormai i raggi del sole si sdraiano, d’oro e d’arancio; nel mare che l’ha vista nascere e rinascere.

Questo mito con molte varianti è diffuso in gran parte dei paesi celtici, anche se con nomi diversi. Ys ha in sé l’essenza del Sidh irlandese e dell’Avalon gallese; luoghi di gioia e di ristoro, di iniziazione e di cambiamento.
Dahud viene chiamata anche Dahut, Ahès, Marie-Morgan (dal gallico ‘morri-genis’ o bretone ‘mor-gan’ nata dal mare). Essa non è buona né cattiva, nel mondo celtico non esisteva questo dualismo definito; essa è Sé stessa e come tutte le fate e le donne della Terra di Giovinezza ha caratteristiche ambivalenti.
Si dice che, come Artù, tornerà a proteggere la Britannia, così la città di Ys riemergerà ad un nuovo giro della ruota, per riportare ciò che è stato alla luce.
La figura di Dahud come viene descritta nelle agiografie di S. Guènolè e S. Corentin è quella diabolica e dissipata della “Grande Prostituta”, ma nel mito e nel folklore essa riacquista la forza e la bellezza degli antichi Dei.
La storia è stata rivisitata nell’800 da alcuni studiosi: La Villemarqué, Emile Souvestre, Charles Guyot e altri, che l’hanno resa quella che noi oggi conosciamo; ma per quanti rimaneggiamenti possa subire, ciò che appare sotto ad ogni nuovo involucro è la fierezza della principessa, che vive attraverso i secoli.



Fonti
La ville d’Ys, Thierry Jigourell. Keltia Editrice


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