Il Tempio della Ninfa

La Favola di Ziricochel

Articoli / Fiabe Lunari
Inviato da Alessandro 14 Feb 2019 - 00:03

C’era una volta un mercante che aveva tre figlie. Avvenne che il mercante ebbe necessità di recarsi a una fiera e chiese alle figlie di dirgli cosa desideravano prima che partisse, perché voleva lasciarle contente. Le ragazze ci pensarono e gli risposero di volere oro, argento e seta da filare. Il padre portò loro tutto questo, quindi partì, raccomandando loro di comportarsi bene. Occorre sapere che la minore delle tre ragazze, la quale aveva nome Ziricochel, era bellissima, e perciò le sorelle ne avevano un’invidia indicibile.

Così, dopo la partenza del padre, la seta da filare fu assegnata a Ziricochel, la maggiore prese l’oro e la mezzana l’argento. Dopo pranzo ciascuna si accostò a una finestra per filare, e tutti i passanti che guardarono in alto fissarono la minore. All’appressarsi della sera passò la Luna, la quale guardò la finestra e commentò: «Quella che fila l’oro è bella, quella dell’argento è più bella, ma quella della seta le passa tutte, buonanotte, le belle putte».
Nel sentir questo le sorelle creparono di rabbia e decisero di cambiar filo.
Il giorno successivo, dopo pranzo, assegnarono alla minore l’argento, poi si accostarono tutte alle finestre per filare. Ebbene, all’appressarsi della sera passò la Luna, la quale commentò: «Quella dell’oro è bella, quella della seta è più bella, ma quella dell’argento le passa tutte, buonanotte, le belle putte».
Si può bene immaginare come crebbe la rabbia delle sorelle, le quali inflissero tutti gli sgarbi possibili a Ziricochel, che era tanto buona, poverina, da sopportare ogni sopruso e ubbidire a ogni comando.
Il giorno successivo, dopo pranzo, le sorelle maggiori assegnarono l’oro da filare alla minore, quindi le ordinarono di accostarsi a un’altra finestra. Ebbene, la Luna passò ancora una volta e ripeté il consueto commento: «Quella che fila l’argento è bella, quella della seta è più bella, ma quella dell’oro le passa tutte, buonanotte, le belle putte».
Le sorelle non riuscirono più a contenersi. Presero la povera Ziricochel e la chiusero in un camerino nel granaio.
La povera ragazza piangeva allorché arrivò la Luna, la quale la liberò dal camerino e la condusse nella propria dimora.
Il giorno successivo, dopo pranzo, le sorelle si accostarono alle finestre. All’appressarsi della sera, nel passare, la Luna commentò: «Quella che fila l’oro è bella, quella dell’argento è più bella, ma quella ch’è a casa mia le passa tutte, buonanotte, le belle putte».
Nell’udire quelle parole, le sorelle corsero a vedere nel camerino, e scoprirono che infatti Ziricochel era scomparsa. Cosa decisero allora di fare? Mandarono a chiamare una strologa, affinché fornisse loro notizie della sorella minore. Allora la strega dichiarò che la fanciulla era nella casa della Luna e che stava benissimo. «Ma come si può fare per farla morire?» domandarono le sorelle. «Lasciate fare a me», rispose la strologa. «Farò tutto ciò che posso per accontentarvi.»
Così la strega si travestì da merciaia ambulante e cominciò a passare sotto la finestra della Luna, gridando tutto quello che aveva da vendere. Sola in casa, Ziricochel si affacciò alla finestra. Allora la strologa guardò in alto e chiese: «Desidera forse questo bello spillone? Lo vendo per poco». Era proprio quello che piaceva a Ziricochel, la quale aprì la porta alla strologa, comprò uno spillone e se lo infilò nei capelli. Appena lo ebbe infilato, si tramutò in una statua. La strologa scappò e andò a riferire alle sue sorelle com’era andata.
Nel rincasare, la Luna vide la fanciulla diventata statua. «Ah, cattiva!» esordì. «Mi hai disubbidito! Ti avevo ordinato di non aprire a nessuno!» Eppure si mosse a compassione e le cavò lo spillone. Allora Ziricochel tornò com’era prima. La Luna la sgridò e la ragazza le promise che mai più l’avrebbe fatto.
Dopo qualche tempo ecco che le sorelle ebbero voglia di avere notizie di Ziricochel e mandarono a chiamare la solita strologa, la quale consultò i propri libracci e riferì come stava, e di nuovo le sorelle la pregarono di farla morire.
Così la strologa ritornò sotto la finestra di Ziricochel con una cassetta di pettini che erano una bellezza, e cominciò a gridare. La ragazza si affacciò alla finestra, vide quei bei pettini e ne ebbe desiderio, tanto da invitare la strologa a entrare. Ebbene, non appena si fu infilata il pettine fra i capelli divenne una statua, e via fuggì la strologa dalle sorelle.
Ritornata a casa, la Luna entrò, ed ecco, trovò Ziricochel trasformata in una statua. Si può ben credere in qual modo allora s’inquietò la Luna, eppure le voleva tanto bene, che dopo essersi sfogata dichiarò: «Ebbene, ti perdonerò anche per questa volta», sfilò il pettine dai capelli, e la ragazza ritornò in sé. Poi la Luna le intimò che se le avesse disubbidito un’altra volta, l’avrebbe lasciata morta. E così continuarono in pace per qualche tempo.
Intanto, però, alle sorelle venne voglia di sapere come stava Ziricochel. Dunque mandarono a chiamare la strologa, la quale rispose loro che la ragazza era viva e contenta. Allora la pregarono di farla morire un’altra volta.
Così la strologa se ne andò, si vestì da mercante, e passò sotto la finestra della ragazza con le più belle camicie tutte ricamate che si potessero ammirare. Ziricochel si affacciò alla finestra, vide quelle belle camicie e sospirò: «Oh, se potessi averne una!» E la strologa le mostrò le camicie. Così, in breve, Ziricochel invitò la strologa a varcare la soglia, si provò una camicia, e non appena l’ebbe indossata, diventò una statua.
Rincasata, la Luna s’infuriò tanto da non volerne più sapere di resuscitarla. Caricò la statua sul dorso di un somarino e la vendette per tre centesimi a uno spazzacamino.
Costui nel girare in strada incontrò il figlio del re, il quale s’incantò a guardare quella bella statua, la comprò con una gran quantità di denaro e la trasportò al palazzo, dove la colloco sopra un comò nella propria stanza. In breve s’innamorò tanto di quella statua da trascorrere giorni interi a parlarle, e indugiare lungamente ad adorarla. Ogni volta che decideva di uscire chiudeva a chiave l’uscio della stanza perché voleva che nessuno la vedesse.
Le sorelle del re dovevano recarsi a una festa da ballo e desideravano avere una camicia ricamata come quella della statua, così progettarono di far fabbricare una chiave falsa per entrare nella stanza durante l’assenza del fratello. E così fecero, e quando il fratello fu uscito, decisero di copiare il disegno del ricamo, e si avvicinarono dunque alla statua e le sfilarono la camicia. E appena l’ebbero sfilata, Ziricochel tornò in vita. Si può bene immaginare quale fu la paura delle sorelle!
In seguito Ziricochel raccontò ogni cosa, dall’inizio alla fine. Allora le sorelle le raccomandarono di appiattarsi dietro una porta ad aspettare che il re tornasse, e poi di rivelarsi nel momento che lei stessa avesse giudicato più opportuno. E così accadde. Una volta rientrato, il re non vide più la statua e cominciò a disperarsi. Allora Ziricochel, nel vederlo così, apparve e gli narrò ogni cosa. Il re la condusse dai genitori per annunciare: «Questa è la mia sposa», e in poco tempo si celebrarono le nozze, che durarono tre giorni. Le sorelle, informate di tutto questo per mezzo della strologa, morirono entrambe di pena, mentre Ziricochel fu sempre felice. Dunque si vede che chi nuoce presto o tardi la paga.


Postilla

«La fola d’ Ziricochel» («La favola di Ziricochel») fu pubblicata originariamente in Favole bolognesi (Bologna, Monti, 1883), una raccolta di cinquanta fiabe in dialetto bolognese trascritte da Carolina Coronedi Berti «come sono state raccontate, senza togliere né aggiungere nulla; e la maggior parte di esse l’ho ascoltate dalla bocca del volgo e de’ nostri contadini», come afferma l’Autrice nella dedica alla nipotina, Giulietta Coronedi. Molte di queste fiabe (esclusa «Ziricochel») erano già state pubblicate, «seguite ciascuna da Varianti e Riscontri di G. Pitrè», in Novelle popolari bolognesi (Bologna, Tipi Fava e Garagnani, 1874), e prima ancora nel periodico Il Propugnatore, sempre a cura di Coronedi Berti.
Nata a Bologna, Carolina Coronedi Berti (1820-1911) fu studiosa di storia e di tradizioni popolari, erudita, scrittrice, filologa e socia della Commissione per i testi di lingua. Compilò un Vocabolario bolognese-italiano, pubblicato in due volumi, e scrisse numerosi saggi sulle tradizioni popolari bolognesi.
L’unica precedente versione italiana de «La favola di Ziricochel», ossia quella di Italo Calvino, inclusa in Fiabe italiane (Torino, Einaudi, 1956) con il titolo «Giricoccola», è una riscrittura anziché una traduzione.
In dialetto bolognese il nome della fanciulla protagonista della fiaba, «Ziricochel», o «Ziricoquel», è affine al maschile «Ziricucchein», o «Zicucchein», un vezzeggiativo che significa «moina, smorfie, lezi; specie di carezze a fine di farsi benevolo ed acquistare la grazia altrui» (Coronedi Berti, Vocabolario bolognese italiano, Bologna, Monti, 1869-1874, Vol. II, p. 502), o ancora «carezze», o «complimenti», e nell’espressione «far di ziricucchein» significa «fare smorfie, moine», o «accarezzare».
Poiché in Italiano «coccola» significa «carezza, gesto di tenerezza, di affettuosità», e si usa nell’espressione «fare le coccole», il nome della fanciulla nella versione di Calvino, cioè «Giricoccola», corrisponde efficacemente a «Ziricochel».
L’alterazione essenziale della fiaba operata da Calvino si osserva nei passi seguenti: «Venne sera e nel cielo passò la Luna»; «La povera ragazza se ne stava lì a piangere, quando la Luna aperse la finestrella con un raggio, le disse: — Vieni, — la prese per mano e la portò via con sé; «Quando la Luna tornò a casa dopo il suo giro intorno al mondo». Infatti questi passi non trovano alcuna corrispondenza negli originali, che seguono qui, accompagnati da versioni letterali: «Quand al fo vers sira al passò la Lona» («Quando fu verso sera passò la Luna»); «La povra ragazza la zigava quand i arivò la Lona ch’la tols fora es la cundusé a cà sò» («La povera ragazza piangeva quando arrivò la Luna, che la prese fuori e la condusse a casa sua»); «Veins a cà la Lona» («Arrivò a casa la Luna»). Nella fiaba la Luna dimora in una casa con porte e finestre che guardano la pubblica via, dunque è evidente che non si tratta affatto dell’astro notturno, bensì di una donna, la quale ne è in qualche modo la personificazione, forse una fata, come suggerisce la sua conoscenza della magia.
Nella versione di Calvino, colei che aiuta le sorelle a tentare di uccidere Giricoccola è un’«astrologa». Nel testo originale è una «strolga». Questa parola significa sì «astrologa», però significa anche «fattucchiera ambulante», «indovina» e «strega». In questo caso è evidentemente una strega, come conferma un’altra fiaba della medesima raccolta, «La fola dèl Mercant», affatto analoga a «La fola d’Ziricochel», in cui la «strolga» è definita anche «streja», ossia «strega», consulta i suoi «libracci» e si traveste da venditrice ambulante. In Italiano «strologa», aferesi di «astrologa», significa «indovina». Per mantenere la pluralità di significati e una forma corrispondente, si è scelto di tradurre «strolga» con «strologa», anziché con «astrologa».
Nella conclusione della fiaba, il giovane che s’innamora di Ziricochel pietrificata è dapprima il figlio del re e subito dopo il re medesimo. Così è nell’originale. Tale contraddizione avrebbe potuto essere facilmente sciolta, quale che ne sia la ragione, tuttavia si è preferito aderire al testo, a costo di suscitare una piccola perplessità.


Traduzione e postilla a cura di Alessandro Zabini. È vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso del traduttore e senza citare la fonte.




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