Il Tempio della Ninfa

Leggende di Selkie

Articoli / Racconti
Inviato da Violet 15 Ago 2018 - 15:39

LEGGENDE DI SELKIE
Raccolte dalle tradizioni popolari di Scozia, Isole Faroe, Irlanda e Islanda

Traduzioni italiane a cura di Laura Violet Rimola

MACCODRUM E LA MOGLIE FOCA
Scozia – South Uist (Ebridi Esterne)

Sebbene il suo nome completo non sia mai stato ricordato, era un giovane uomo del clan dei MacCodrum. Era il giorno dopo una tempesta, ed egli stava perlustrando la spiaggia per raccogliere le alghe preziose e commestibili che erano state trascinate a riva. Ad un tratto, udì delle persone ridere e cantare.



Incuriosito, il giovane si avvicinò di soppiatto, senza volersi intromettere laddove non era stato invitato, ma chiedendosi chi stava facendo festa sulla spiaggia.
Ciò che vide lo fece rimanere di stucco. Diverse foche giungevano dal mare, poi sfilavano le loro pelli, diventando bellissime donne e si univano alle danze.
E fra loro vi era una fanciulla che gli sembrava la più bella di tutte.
L’uomo rimase a guardare cosa sarebbe successo, e vide che le altre foche, una per una, si stancarono della danza e indossarono di nuovo le loro pelli, lasciando la loro forma umana e scivolando fra le onde.
Ma egli pensò che non poteva perdere in questo modo la sua favorita. Così si avvicinò furtivamente al punto dove la fanciulla aveva lasciato la sua pelle, e la nascose.
Quando la bella tornò a cercare la pelle, non riuscì a trovarla, e cominciò a lamentarsi e a piangere. Le altre foche, spaventate, nuotarono via e la lasciarono lì, ma il giovane uomo la prese prontamente fra le braccia e calmò il suo terrore con dolci parole.
La fanciulla sapeva che lui aveva la sua pelliccia, e lo implorò di ridargliela, ma egli ignorò le sue preghiere e la portò a casa con sé. Poi, in un momento in cui lei non lo guardava, nascose la pelle fra le travi del fienile.
Il tempo passò, e la bella fanciulla passò dal piangere e struggersi al sorridere, e alla fine, sembrò diventare completamente umana. Lei e l’uomo, ora, si amavano l’un l’altra, e così si sposarono.
Trascorsero gli anni. I giovani sposi ebbero diversi bambini, e la donna appariva abbastanza contenta.
Ma un giorno accadde che uno dei bambini, giocando nel fienile, trovò la pelle di foca.
“Oh, Madre”, disse quella notte mentre lei lo metteva a letto, “oggi ho trovato una cosa nel fienile.”
“Che cosa?”
“Una pelle di foca, tutta soffice e bellissima.”
La donna seppe allora chi era stata, e chi sarebbe potuta diventare di nuovo.
“Sto per andare via, amore mio. Ma veglierò sempre su di te, e non resterai mai senza pesce.”
La madre non fu mai più vista in forma umana. Ma ancora adesso, una foca giunge fino alla riva, chiama, e lascia del pesce per i bambini. E loro sanno che deve essere la loro madre foca, che veglia su di loro come aveva promesso.

***

La leggenda dice che da allora, ricordando la natura della loro madre, i figli di MacCodrum, e i figli dei loro figli, “furono sempre attenti a non arrecare mai danno o disturbo alle foche. Per questo vennero chiamati Clan Mhic Codruim nan Ròn, il Clan MacCodrum delle Foche, e il loro nome divenne famoso a North Uist e nelle Ebridi Esterne come uno di quelli delle famiglie appartenenti al grande Clan Donald.”. (1)


Note bibliografiche:
1. Vedi Fairy Tales from Scotland, rinarrate da Barbara Ker Wilson, Oxford University Press, Oxford, 1999, pag. 7 – Edizione italiana Elfi e streghe di Scozia, a cura di Lorenzo Carrara, Franco Muzzio Editore, Roma, 2002, pagg. 105.

La storia qui riportata è stata scelta e tradotta da World Folklore for Storytellers: Tales of Wonder, Wisdom, Fools, and Heroes, Josepha Sherman, Routledge, London and New York, 2009, pagg. 14-15. Le fonti da cui è stata raccolta e composta sono Scottish Traditional Tales, edito da Alan Bruford e Donald A. MacDonald, Birlinn Limited, Edinburgh, 2003, e Old-Lore Miscellany of Orkney, Shetland, Caithness and Sutherland, Vol.I, J.A. Pottinger, Leicester, United Kingdom: The Viking Society for Northern Research, 1992.
Traduzione italiana a cura di Laura Rimola.


LA MOGLIE SELKIE
Scozia – Isole Shetland

Si racconta una storia di un abitante di Unst che, camminando sul margine sabbioso di una profonda insenatura, vide un certo numero di tritoni e sirene danzare al chiaro di luna, e diverse pelli di foca sparse accanto a loro sul terreno. Al suo avvicinarsi, tutti corsero a recuperare il loro abito, e trasformandosi in foche si tuffarono immediatamente in mare. Ma non appena lo shetlandese si accorse che una delle pelli giaceva vicino ai suoi piedi, la afferrò, si affrettò a portarla via con sé e la nascose.
Tornando sulla riva, incontrò la più bella fanciulla che fosse mai stata vista da occhi mortali, la quale piangeva il furto a causa del quale era stata esiliata dai suoi compagni marini, ed era diventata una abitante del mondo superiore. Invano la giovane implorò la restituzione della sua pelliccia. L’uomo era ebbro d’amore per lei e si mostrava irremovibile; ma le offrì protezione sotto il suo tetto come sua promessa sposa. La fanciulla del mare, intuendo che era costretta a diventare una abitante della terra, comprese che non poteva fare di meglio che accettare l'offerta.

Questa strana unione resistette per molti anni e la coppia ebbe diversi figli. L’amore che il ragazzo provava per la sua moglie marina era smisurato, ma il suo affetto era solo freddamente ricambiato. La donna spesso si allontanava di nascosto per restare sola sulla spiaggia deserta, e appena lanciava un certo segnale, una grande foca maschio appariva dal mare e intratteneva con lei apprensive conversazioni in una lingua sconosciuta.

Erano trascorsi alcuni anni, quando successe che uno dei bambini, mentre era impegnato nei suoi giochi, trovò nascosta sotto un cumulo di grano la pelle di una foca. Entusiasta per la scoperta, il piccolo la prese e corse dalla madre. Non appena la vide, la donna la riconobbe subito come sua e i suoi occhi scintillarono, poiché quella era il mezzo per attraversare l’oceano e tornare alla sua casa natia. Così si abbandonò a un’estasi di gioia, che si acquietò solo quando vide i figli che stava per lasciare, e dopo averli abbracciati sbrigativamente corse più veloce che poté verso il mare.

Tornato a casa, il marito apprese dell’avvenuto ritrovamento della pelle e corse immediatamente verso la spiaggia nel tentativo di raggiungere la moglie, ma arrivò giusto in tempo per vedere la sua trasformazione completata – per vederla nella forma di una foca, mentre sulla cima di uno scoglio si sporgeva verso il mare. La grande foca maschio, con la quale aveva tenuto le sue conversazioni segrete, apparve immediatamente, e con grande tenerezza si congratulò con lei per la sua fuga.
Ma prima di tuffarsi nei misteriosi fondali, la donna lanciò uno sguardo di addio al triste shetlandese, i cui occhi angosciati suscitarono in cuor suo un fugace senso di commiserazione.

“Addio!”, gli disse, “e possa tutto il bene di questo mondo assisterti. Ti ho voluto bene quando ho abitato sulla terra, ma l’amore per il mio primo compagno è sempre stato più grande.”


Nota bibliografica:

La leggenda è stata tratta e tradotta da Folk-lore and Legends. Scotland, W.W. Gibbings, London, 1889, pagg. 86-88.
Traduzione italiana a cura di Laura Rimola.


LA LEGGENDA DI KOPAKONAN
Isole Fær Øere o Faroe

La leggenda di Kópakonan – “Donna Foca” – è una delle storie del folklore più famose delle Isole Faroe.
Si credeva che le foche erano in origine persone che avevano cercato volontariamente la morte gettandosi nell’oceano, e che una sola volta all’anno, la tredicesima notte, fosse loro permesso di tornare sulla terra, togliere la pelliccia e gioire nel corpo di esseri umani, ballando e divertendosi.

Un giovane contadino che abitava nel villaggio di Mikladalur, nell’isola settentrionale di Kalsoy, chiedendosi se questa storia fosse vera, una tredicesima notte se ne andò sulla spiaggia e si sedette ad aspettare. Guardando verso il mare, vide le foche giungere in grande numero, nuotando verso la riva. Si trascinarono sulla sabbia, si tolsero le pelli e con cura le posarono sulle rocce. Private delle loro pelli, sembravano persone normali.
Il ragazzo rimase rapito da una bellissima fanciulla foca, che adagiò la propria pelliccia vicino al punto in cui lui si nascondeva, e quando iniziò la danza, vi si avvicinò furtivamente e la rubò. La danza e i giochi si protrassero tutta la notte, ma non appena il sole cominciò a fare capolino all’orizzonte, tutte le foche tornarono a recuperare le pelli per tornare al mare. Non riuscendo a trovare la sua pelliccia, nonostante ne sentisse l’odore nell’aria, la fanciulla foca rimase disorientata, e quando l’uomo di Mikladalur apparve dal suo nascondiglio con la pelle in mano, senza volergliela restituire nonostante le sue suppliche disperate, fu costretta a seguirlo nella sua fattoria.

Egli sposò la donna e la tenne con sé per molti anni, ed insieme ebbero molti figli; ma l’uomo doveva sempre assicurarsi che la moglie non avesse accesso alla sua pelle, così la teneva chiusa in un baule del quale solo lui aveva la chiave; una chiave che portava con sé ogni giorno infilata in una catena fissata alla cintura.

Un giorno, mentre il ragazzo era a pescare con i suoi compagni, si rese conto che aveva dimenticato la chiave a casa. Così disse ai suoi compagni: “Oggi perderò mia moglie!” – e spiegò loro cosa era successo. Gli uomini ritirarono le reti e in tutta fretta tornarono a riva, ma quando arrivarono alla fattoria, trovarono i bambini soli e la loro madre scomparsa. L’uomo sapeva che non sarebbe mai tornata, poiché aveva spento il fuoco e ritirato tutti i coltelli, in modo che i figli non potessero farsi del male dopo che lei se ne fosse andata.

E infatti, raggiunta la riva, la donna si era infilata la pelle di foca e si era immersa nell’acqua, dove una grande foca maschio, che per tutti quegli anni non aveva mai smesso di amarla e di aspettarla, comparve subito accanto a lei. Quando, più tardi, i figli che la donna aveva generato con l’uomo di Mikladalur, giunsero sulla spiaggia, una foca emerse e guardò verso la riva; la gente credette che dovesse essere la loro madre. E così gli anni passarono.

Un giorno accadde che gli uomini di Mikladalur decisero di penetrare in profondità una delle caverne lungo la lontana costa, per uccidere le foche che vi vivevano. La notte prima della spedizione, la donna foca apparve in sogno al suo marito terrestre e gli disse che se fosse andato a caccia di foche nella caverna, avrebbe dovuto assicurarsi di non uccidere la grande foca che stava sulla soglia, perché era suo compagno, e nemmeno i due cuccioli che si trovavano nelle profondità dell’antro, perché erano i suoi giovani figli. Così da poterli riconoscere, gli descrisse accuratamente le pelli.
Ma il contadino non volle ascoltare l’onirico messaggio. Si unì agli altri nella caccia e insieme uccisero tutte le foche che videro nella caverna.
Quando tornarono a casa, il bottino venne distribuito, e per aver fatto la sua parte il contadino ottenne la grande foca maschio e le due pinne anteriori e posteriori dei cuccioli.

La sera, quando la testa della grande foca e le membra dei piccoli furono cotte per cena, ci fu un grande frastuono nella stanza da fumo, e la donna foca apparve nelle sembianze di un terrificante troll. Annusò il cibo nei trogoli e urlando lanciò una maledizione:
“Qui giace la testa di mio marito con le sue ampie narici, la mano di Hárek e il piede di Fredrik!
Ora si scatenerà la vendetta, la vendetta sugli uomini di Mikladalur, e se alcuni moriranno in mare, altri cadranno dalla cima delle scogliere, finché i morti saranno talmente tanti da potersi prendere per mano e circondare l’intera isola di Kalsoy!”

Pronunciate queste parole, svanì con un grande rombo di tuono, e non fu mai più vista.
Ma ancora oggi, accade che di tanto in tanto gli uomini del villaggio di Mikladalur anneghino in mare, o precipitino dalle cime delle scogliere; bisogna pertanto temere che il numero di vittime non sia ancora abbastanza grande da permettere a tutti i morti di prendersi per mano e coprire l’intero perimetro dell’isola di Kalsoy.


Nota bibliografica:

La leggenda è stata tratta e tradotta dal portale ufficiale delle Isole Faroe – The Faroe Islands [1]
Traduzione italiana a cura di Laura Rimola

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TOM MOORE E LA DONNA FOCA
Irlanda

Nel villaggio di Kilshanig, due miglia a nord-est di Castlegregory, viveva un tempo un giovanotto bello e bravo, di nome Tom Moore, che sapeva ballare e cantare in modo eccellente. Spesso lo sentivano cantare di notte fra le rocce e nei campi.
Il padre e la madre di Tom erano morti, e lui era rimasto solo in casa. E aveva bisogno di una moglie. Un mattino, al sorgere del sole, mentre lavorava vicino alla spiaggia, vide la più bella donna che fosse mai comparsa in quelle parti del regno, sdraiata su di uno scoglio e profondamente addormentata. Era bassa marea e l’acqua si era ritirata dagli scogli, e Tom Moore era curioso di sapere chi era la bella donna, e perché si trovasse lì. Così si diresse verso lo scoglio.
“Svegliati!”, gridò Tom alla donna, “Se viene l’alta marea corri il rischio di affogare.”
Lei alzò la testa e si mise a ridere. Tom la lasciò là, ma mentre si allontanava voltava ogni minuto la testa per guardarla. Arrivato là dove lavorava, prese su la vanga, ma non riusciva a far nulla. Doveva guardare la bella donna sullo scoglio.
Infine si alzò la marea e l’acqua arrivò allo scoglio. Tom gettò via la vanga e corse alla spiaggia, ma la donna si lasciò scivolare in mare e scomparve alla vista.
Tom passò la giornata a maledire se stesso perché non aveva strappato la donna dallo scoglio, quando era Dio che gliel’aveva mandata. Per tutto il giorno non poté lavorare. E tornò a casa.
Non poté dormire un minuto per tutta la notte. La mattina dopo si alzò presto e andò allo scoglio. La donna era ancora là. E lui la chiamò.
Nessuna risposta. Tom andò fino allo scoglio. “Potresti venire a casa con me, ora”, le disse. Neanche una parola dalla donna. Tom le tolse la cuffia dalla testa e disse: “E io mi tengo questa.”
Nel momento stesso in cui lo fece lei gridò: “Dammi indietro la mia cuffia, Tom Moore!”
“Neanche per sogno, è Dio che ti ha mandata a me, e adesso che hai parlato sono contento.” La prese per il braccio e la condusse a casa sua. La donna cucinò la colazione e sedettero entrambi a mangiare.
“Ora, in nome di Dio”, disse Tom, “tu e io andremo dal prete e ci sposeremo, perché i vicini qui sono molto pettegoli. Farebbero delle chiacchiere.” Così dopo colazione andarono dal prete e Tom gli chiese di sposarli.
“Dove hai trovato la moglie?”, chiese il prete.
Tom gli raccontò tutta la storia. Quando il prete vide che Tom era così impaziente di sposarsi, gli mise il prezzo di cinque ghinee, e Tom pagò. Poi si portò la moglie a casa, e lei fu la più buona moglie che mai entrasse nella casa di un uomo. Visse con Tom sette anni ed ebbero tre figli e due figlie.
Un giorno Tom stava arando, e qualche parte dell’aratro si ruppe. Pensò che a casa in solaio c’erano dei bulloni, così salì a prenderli. Buttò all’aria sacchi e funi mentre cercava i bulloni, e che cosa gli avvenne di gettar giù per le scale alla fine? La cuffia che aveva preso a sua moglie sette anni prima. Lei la vide mentre cadeva, la prese e la nascose. In quel momento si sentì un gran muggito di foca che veniva dal mare.
“Ah”, disse la moglie di Tom, “questo è mio fratello che mi cerca.”
Quel giorno alcuni uomini che andavano a caccia uccisero tre foche. Tutte le donne del villaggio corsero giù alla spiaggia a vedere le foche, e con loro la moglie di Tom, che cominciò a piangere e a gemere, e chinandosi sulle foche morte disse qualche parola a ciascuna e poi gridò: “Assassini!”
Quando la videro piangere, gli uomini dissero: “Noi non vogliamo più aver niente a che fare con queste foche.” Scavarono una grande fossa, vi posero le tre foche e le coprirono di terra.
Ma alcuni di loro, durante la notte pensarono: “È un gran peccato aver sepolto quelle foche, dopo tutta la fatica che abbiamo fatto per prenderle.” Così andarono con le zappe, scavarono la terra ma non trovarono traccia delle foche.
Per tutto quel tempo la grande foca del mare aveva continuato a muggire.
Il giorno dopo, mentre Tom era al lavoro, sua moglie spazzò la casa, mise tutto in ordine, lavò i bambini e li pettinò. Poi li prese vicino a sé e li baciò uno per uno.
Quando uscì, andò fino allo scoglio e dopo essersi messa in testa la cuffia si tuffò. In quel momento la grande foca alzò la testa e mandò un tal muggito che la sentirono a dieci miglia di distanza.
La moglie di Tom si allontanò con la foca, nuotando nell’acqua. Tutti i cinque bambini che lasciava avevano delle membrane fra le dita delle mani e dei piedi.
I discendenti di Tom Moore e della donna foca vivono ancora oggi vicino a Castlegregory, e fra le dita delle mani e dei piedi hanno ancora delle membrane, che però diminuiscono ad ogni generazione.


Note bibliografiche:

Questa leggenda irlandese proviene dalla Contea di Kerry, e venne raccolta e trascritta da Jeremiah Curtin nel 1892.
La versione qui riportata è tratta da Fate e Spiriti d’Irlanda, a cura di Henry Glassie, Franco Muzzio Editore, Roma, 2002, pagg. 203-205.


PELLE DI FOCA
Islanda

Una mattina presto, prima che la gente si fosse alzata, un uomo di Myrdal, nell’Islanda Orientale, stava camminando davanti ad alcune scogliere quando si trovò all’ingresso di una grotta. Poteva sentire chiaramente il suono di allegre feste e danze, che provenivano dall’interno della collina, e accanto all’entrata vide un gran numero di pelli di foca. Così ne raccolse una, la portò a casa e la chiuse nel suo baule.
Qualche ora dopo, tornò all’ingresso della grotta e trovò una bellissima fanciulla seduta lì vicino. Completamente nuda, piangeva amaramente, poiché era la foca a cui apparteneva la pelle rubata.
L’uomo diede dei vestiti alla ragazza, la confortò e la condusse con sé nella sua casa.

Trascorse del tempo, e la fanciulla accettò l’uomo, senza tuttavia riuscire ad andare d’accordo con le altre persone del posto. Preferiva sedere da sola sugli scogli e guardare il mare.
Di lì a poco l’uomo la prese in moglie e insieme vissero serenamente, mettendo al mondo molti figli.
Ma in tutto quel tempo il paesano tenne nascosta la pelle, chiusa al sicuro nel suo baule, e sempre portava con sé la chiave ovunque andasse.

Diversi anni dopo, accadde che egli uscì in barca per pescare e dimenticò la chiave sotto il cuscino. Altri invece dicono che era uscito per la veglia di Natale con i suoi compaesani, e che la moglie, a letto malata, non si era potuta unire a loro. In quell’occasione, non si era ricordato di prendere la chiave dalla tasca degli abiti che indossava ogni giorno per riporla in quella del vestito da festa.
In ogni caso, quella sera, quando l’uomo tornò a casa, il baule era aperto e la donna era sparita con la pelle. Trovata la chiave, aveva aperto il cofano per curiosità e l’aveva ritrovata.
Allora non aveva potuto resistere alla tentazione, e dopo aver detto addio ai suoi figli, aveva indossato la pelle e si era tuffata in mare.
Si dice che prima di saltare fra le onde, la donna disse:

Questo desidero, eppure non lo desidero.
Sette bambini ho in fondo al mare,
Sette bambini ho anche qui sopra.


Questo toccò il cuore del paesano. Dopo il ritorno della donna nel mare, accadde più volte che una foca seguisse l’uomo quando usciva a pescare, nuotando a fianco della sua barca, e alcune lacrime parevano scendere dai suoi occhi. E a lui non mancò mai di catturare il pesce, perché la fortuna toccava spesso la sua spiaggia.
La gente del villaggio, inoltre, vide spesso i suoi figli camminare sulla sabbia, mentre una foca li accompagnava, nuotando davanti a loro, e lanciava sulla riva pesciolini colorati e graziose conchiglie.
Ma la madre sulla terra non tornò mai più.


Note bibliografiche:

La leggenda qui riportata è l’islandese Selshamurinn, ovvero Pelle di Foca, tradotta dalla lingua islandese al tedesco da Åge Avenstrup ed Elisabeth Treitel, tradotta dal tedesco all’inglese da D. L. Ashliman, e tradotta dall’inglese all’italiano da Laura Rimola.
Una versione equivalente è contenuta in Icelandic Folktales and Legends, Jacqueline Simpson, The History Press, Stroud, Gloucestershire, 2009, pagg. 114-115.




***

Le traduzioni, eccetto dove indicato, sono state realizzate da Laura Violet Rimola. Vietata la riproduzione senza il permesso della traduttrice e senza citare la fonte.




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