Il Tempio della Ninfa

La Roccia della Fata Bianca

Articoli / Racconti
Inviato da Violet 20 Dic 2015 - 06:24

Era la sera di Natale, e in una casetta di pietra al margine del bosco una fanciulla filava la lana seduta davanti al caminetto. Le sue dita sottili lasciavano scorrere la soffice fibra, mentre con il piedino spingeva il pedale che faceva girare la ruota del filatoio e riempiva il fuso di morbido e vaporoso filo bianco. Erano passate le undici, e nonostante la filatura la impegnasse, la giovane non faceva altro che pensare a ciò che quel giorno aveva udito raccontare in paese.

Le anziane avevano infatti ricordato che ogni anno, proprio quella notte, fra la mezzanotte e l’una, una bellissima Fata vestita di bianco appariva sulla cima di una alta roccia poco lontana. In quel breve arco di tempo la bella dama filava la lana, e posando un piede su un possente noce e l’altro sulla parete rocciosa, faceva calare giù dalla rupe un piccolo fuso d’argento, che restava appeso a un filo sottile e candido come la neve. Se la notte era limpida e in cielo splendeva la luna, era possibile intravedere il filo che brillava illuminato dai raggi d’avorio, e chiunque fosse riuscita a sfiorarlo avrebbe ricevuto la preziosa Fortuna delle Fate.

La fanciulla pensava e ripensava a quella storia, e più passavano i minuti più cresceva in lei il desiderio di recarsi alla roccia per vederla con i suoi occhi, finché, non potendo più resistere alla curiosità, fermò il filatoio, si infilò in fretta il cappotto e uscì.
Era quasi mezzanotte, l’aria era fredda e pungente, e nel cielo punteggiato di stelle brillava una splendida luna piena. Durante il giorno aveva nevicato molto e ora la valle era tutta coperta da un soffice manto di neve che proteggeva dal gelo la terra assopita.
La giovane imboccò il sentiero che portava alla roccia incantata, e mentre camminava sentì nascere in sé un profondo senso di pace e di gioia. Passo dopo passo, le sembrava di tornare sempre più bambina, e che la natura circostante la accogliesse e la rendesse partecipe della sua calma armonia.
Finalmente raggiunse l’alta rupe, che spiccava ripida e scoscesa fra la neve ancora fresca, e avvicinandosi alla sua parete ruvida la osservò attentamente. In quel momento una grossa nuvola stava passando davanti alla luna, e intorno a lei il buio si infittì. La fanciulla attese, intirizzita dal freddo, e con il trascorrere del tempo l’ora magica volse al termine. Mancavano pochi minuti all’una e la giovane, un po’ triste e delusa, stava quasi per riprendere la via di casa, quando improvvisamente la luna ricomparve nel cielo, più splendente che mai, e un sottilissimo filo luminoso apparve davanti alla roccia.
La giovane non poteva credere ai suoi occhi, il filo bianco era proprio di fronte a lei, e appeso alla sua estremità dondolava un piccolo e raffinato fuso d’argento.
Una voce gentile, proveniente dall’alto della rupe, sussurrò dolcemente “Tocca il filo…”, e la fanciulla, piena di stupore, allungò la mano e sfiorò con le dita il soffice filamento bianco.
Allora una gioiosa risata vibrò intorno a lei, simile al trillare di tanti campanellini, e la stessa voce che aveva sussurrato poco prima aggiunse:
Torna qui fra un anno, e abbi cura della tua Fortuna…”
La fanciulla avrebbe voluto vedere chi avesse parlato, avrebbe voluto chiedere il motivo per cui le era stato chiesto di tornare, ma proprio allora il campanile del paese batté l’una, e immediatamente il filo scomparve.
Le nubi coprirono di nuovo la luna, e di lì a poco candidi fiocchi di neve ricominciarono a cadere, frusciando nell’aria gelida della notte.

La giovane si affrettò a tornare a casa, e ripensando a ciò che era appena successo credette di aver sognato. Eppure le era sembrato tutto così reale, forse ancora più reale della realtà in cui era abituata a vivere…
La neve cadeva fitta e asciutta, e finalmente la fanciulla giunse davanti alla rustica porta di legno della sua casetta e la aprì.
Non appena l’ebbe richiusa dietro le spalle si guardò intorno, e le sembrò subito che la stanza fosse diversa da come l’aveva lasciata. Sebbene lei avesse a cuore di mantenerla pulita e ordinata, non sempre riusciva a portare a termine tutti i lavori, ma in quel momento le parve proprio che mani invisibili avessero spazzato, e lavato, e riordinato tutta la sua piccola dimora. Il filatoio era vuoto, e la cesta della lana era piena di gomitoli perfettamente filati e tanto bianchi e morbidi che la fanciulla non ne aveva mai visti di uguali. Nel caminetto scoppiettava un bel fuoco vivace, e grossi ciocchi di quercia e betulla, che lei non ricordava di aver raccolto, vi erano impilati accanto. Anche la cucina era stata ripulita, e quando la giovane salì la scaletta di legno che portava alla sua stanza da letto, trovò che il suo giaciglio aveva lenzuola di candido lino e alcune pesanti coperte di morbidissima lana bianca, che non rammentava di aver mai avuto prima. Sul piccolo tavolino davanti alla finestra ardeva una bella candela bianca, e nonostante vi danzasse una fiamma alta e luminosa, la cera non ne veniva mai consumata.
La giovane ricordò allora le parole che aveva udito provenire dall’alto della roccia, e piena di commozione riconobbe che quella non poteva essere altro che la preziosa Fortuna delle Fate, che come un delicato fiocco di neve le aveva baciato la fronte.

I giorni trascorsero, e la bella fanciulla si abituò a vivere una vita semplice e ricca allo stesso tempo. La sua casetta era sempre linda e ordinata, la lana e il lino che lei filava alacremente erano i più belli e i più fini di tutto il paese, il burro e la panna che preparava, raschiando la schiuma del latte appena munto, erano oltremodo deliziosi, ma soprattutto percepiva crescere dentro di sé, ogni giorno di più, la forte presenza di una gioia e di un’armonia salde e persistenti.
Imparò a godere di ogni istante delle sue giornate e ad amare tutto ciò che la natura offriva ai suoi occhi, sentendosi sempre leggera e felice, qualsiasi cosa accadesse intorno a lei.
In men che non si dica, trascorse un anno intero. L’inverno arrivò presto, e con esso il gelo pungente. La brina ricamò di ghiaccio i rami spogli degli alberi, e i fiocchi di neve ricominciarono a danzare nell’aria, imbiancando i boschi, le valli e la cima delle rocce.

Giunse di nuovo la sera di Natale, e nella sua casetta di pietra la fanciulla filava la lana seduta davanti al caminetto. Quella sera finì presto il suo lavoro, e non appena si avvicinò la mezzanotte si infilò il cappotto e uscì.
Il cielo era terso e la luna splendeva alta, facendo brillare la neve di mille riflessi lucenti. La giovane camminava svelta per l’emozione e l’impazienza, e non appena raggiunse la roccia della Fata udì provenire dal paese i dodici rintocchi della mezzanotte. Allora una lieve foschia si alzò intorno alla rupe, e pochi istanti dopo la fanciulla intravide il sottilissimo filo luminoso, appeso al quale dondolava il grazioso fuso d’argento.
La stessa voce gentile che aveva udito la prima volta sussurrò dolcemente dall’alto della rupe: “Tocca il filo, e tienilo stretto…”
La giovane fece come le era stato chiesto, toccò il filo e lo tenne stretto fra le mani, e l’istante seguente si sentì sollevare da terra. Cominciò a salire in alto, sempre più in alto, verso la sommità della rupe incantata, e quando giunse alla cima vide proprio sopra di sé una bellissima dama che la stava aspettando, vestita di un ampio abito bianco e avvolta in un lungo mantello ricamato d’argento. La Fata, sorridendo, le stava porgendo la mano, e la fanciulla senza esitare l’afferrò. Allora la donna la trasse dolcemente a sé, e avvolgendola nel suo mantello, l’abbracciò.
Travolta dalla gioia, la giovane si abbandonò fra le sue braccia e si sentì sciogliere in un amore senza inizio e senza fine.
Le sembrava di volare nell’infinito, di fondersi ed espandersi in un biancore luminoso che la avvolgeva e la sosteneva, al quale si affidò completamente.
Pervasa dall’estasi, non ebbe più il senso del tempo e dello spazio… sapeva solo di esistere, di essere viva ed eterna, e che nulla avrebbe mai potuto mutare questa verità.

Quando la fanciulla aprì di nuovo gli occhi, sentì di essere tornata nel suo corpo, e si stupì di trovarsi sotto le calde coperte della sua stanzetta. I raggi del sole mattutino giocavano fra le sue ciglia, e la valle innevata era pervasa dal canto vivace degli uccellini.
Gioendo di quella bellezza, si rese conto che la percezione dell’amore al quale si era abbandonata quella notte non l’aveva lasciata, ma che al contrario era forte e costante dentro di lei.
Risvegliata a se stessa e alla vita, ricongiunta all’anima naturale di tutte le cose, seppe allora che la Fortuna delle Fate si era compiuta, e che avrebbe benedetto la sua vita per sempre.

Da quel giorno passarono molti anni, e nonostante il trascorrere del tempo la fanciulla non invecchiò mai. Ogni anno, la sera di Natale, si recava alla roccia della Fata bianca, dove riviveva la meravigliosa estasi del suo amorevole abbraccio, e forse tante altre esperienze che non è possibile descrivere a parole.
Una notte d’inverno uscì di casa, chiuse bene la rustica porta di legno, e non tornò più.
Le anziane del paese raccontarono che probabilmente era stata rapita dalle Fate, e alcune fra le più vecchie pensarono che forse sarebbe stato possibile rivederla sulla cima della roccia incantata, mentre filava la lana e calava giù dalla sua parete ripida e scoscesa un grazioso fuso d’argento. Perché si sa che chi frequenta a lungo le Fate, è facile che diventi una di loro.
E forse questo è proprio ciò che accadde alla bella e fortunata fanciulla.
Quel che è certo è che il ricordo della leggenda della roccia della Fata bianca rimase vivo nella memoria delle genti del paese, e ancora oggi c’è chi non l’ha mai dimenticato.

***

È la sera di Natale, e in una casetta di cemento e mattoni una fanciulla fila la lana seduta davanti al caminetto… o forse scrive, legge, disegna, suona, ricama, cucina, canta.
Mentre dà forma ai suoi sogni, non fa altro che pensare a ciò che quel giorno ha udito raccontare in paese, dove un’anziana nonnina ricordava ancora la storia di una bellissima Fata vestita di bianco, che ogni anno, proprio quella notte, fra la mezzanotte e l’una, si diceva apparisse sulla cima di una roccia poco lontana da lì.
La giovane pensa e ripensa a quella storia, e più passano i minuti più cresce in lei il desiderio di recarsi alla roccia per vederla con i suoi occhi, finché, non potendo più resistere alla curiosità, si infila in fretta il cappotto ed esce.
È quasi mezzanotte, e l’aria è fredda e pungente.
Nel cielo limpido e punteggiato di stelle, brilla una splendida luna piena.


***

Nota:

La fiaba qui narrata è stata ispirata dalla leggenda piemontese della Roccha d’la Fantina – ovvero “della Fata” – o Roccha Filera, che si trova ad Angrogna, verso la cima del monte Servin e sopra i paesini di Torre Pellice e Luserna San Giovanni.
Proprio in queste zone, ancora oggi si racconta la storia della bellissima Fata bianca, che la notte di Natale, fra la mezzanotte e l’una, fila la lana seduta sulla cima della roccia e cala giù fino al margine della strada il suo fuso, perché chi riesce a vederne il filo illuminato dai raggi lunari possa toccarlo e ricevere la sua fortuna.
Una storia molto simile è legata alla Roccha del Vengé – un sinuoso torrentello che confluisce nella Val d’Angrogna – dove però si dice che la notte di San Giovanni, dunque in piena estate, appaia una vecchia contadina “completamente nuda, magra e scarna, con i capelli grigi tutti scarmigliati” e l’aspetto inquietante (Cfr. Marie Bonnet, Tradizioni orali delle valli valdesi del Piemonte, p. 113). Anche in questo racconto la donna cala giù dalla rupe il suo fuso, e chi riesce a vederne il filo e a toccarlo riceverà una grande fortuna.
Queste leggende, come molte altre dell’Italia settentrionale, sono basate proprio sul motivo della particolare fortuna delle fate – o delle dée filatrici – e testimoniano la preziosa reminiscenza sul territorio valdese delle antiche tradizioni femminili, che emergevano nelle sacre arti delle donne ed erano incentrate sull’armonioso culto della Grande Madre.

***




Fonti

Tradizioni orali delle valli valdesi del Piemonte, Marie Bonnet, Editrice Claudiana,Torino, 1994
Valdesina – Roccha d’la Fantina [1]


Testo di Laura (Violet) R. Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso scritto dell'autrice e senza citare la fonte.




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