Il Tempio della Ninfa

Viviana, la Damigella della Soglia

Articoli / Avalon
Inviato da Alessandro 12 Lug 2013 - 04:48

Nell’assenza di vento che annuncia la tempesta, nelle selve selvagge di Broceliande, alla base di una quercia secolare immensa e cava, Vivien giace ai piedi di Merlin, risoluta ad apprendere un incantesimo da eseguire con passi intrecciati e ondeggiare di braccia per chiudere un uomo fra le quattro pareti di una torre vuota. Là egli giacerà come morto, perduto alla vita e all’utilità, al nome e alla fama, senza mai poter fuggire, senza mai più poter essere trovato da nessuno e senza mai più poter vedere altri che l’artefice dell’incanto, libera di andare e di venire a suo piacimento. Da quando Merlin medesimo le ha rivelato l’esistenza di tale incantesimo, Vivien desidera gettarlo proprio su di lui per ricavarne una gloria tanto grande quanto è grande il prestigio del vecchio saggio.



Di volta in volta con reverenza e con amore, con tenerezza e con dolcezza, con collera, con gaia irriverenza, con seduzione, con furore, con riso o con pianto, con lusinga, con delusione, afflizione, vergogna, indignazione, minaccia, paura, pentimento, Vivien si prodiga per indurre il vecchio a rivelarle il segreto agognato, sempre invano. E quando l’ombra del bosco diventa tenebra all’appressarsi della tempesta, ella afferma di non volere più nulla, assicura di essere sempre stata sincera, chiede che un fulmine la incenerisca se mente. L’attimo successivo una folgore forcuta sfreccia dalle nubi tumultuose a squarciare una quercia gigantesca, che sfolgora bianca nell’oscurità proiettando nembi di schegge nel bosco fosco tutt’intorno. Allora Vivien si getta fra le braccia di Merlin nella quercia cava e lo stringe forte a sé nell’infuriare della bufera ululante. Piangendo, tremante di paura, con gli occhi e il collo che brillano nell’oscurità, mentre un ramo si spezza sopra di loro precipitando nella pioggia fluviale, lo riconosce suo signore, suo veggente, suo bardo, sua stella d’argento della sera, suo Dio, suo Merlin, unico amore appassionato di tutta la sua vita. E quando la tempesta è placata, al ritorno della quiete nel bosco devastato, Merlin ha ormai ceduto, ha rivelato l’incantesimo e si è addormentato.

In un istante, con passi intrecciati e ondeggiare di braccia, Vivien getta l’incantesimo, e nella quercia cava Merlin giace come morto, perduto alla vita e all’utilità, al nome e alla fama. «Ho conquistato la sua gloria!» grida Vivien. «Stolto!» strilla, prima di addentrarsi nella vegetazione folta, che subito si chiude alle sue spalle. E la foresta echeggia: «Stolto»…

Così è raccontata la storia di Viviana e di Merlino in una poesia di Alfred, Lord Tennyson, intitolata Vivien, inclusa nel poema Idylls of the King (1859) e successivamente ristampata con il titolo Merlin and Vivien (1870). Scaltra vi è definita Viviana, piena di odio nei confronti dei cavalieri della Tavola Rotonda e colma di disprezzo nei confronti di re Arthur. Ha una treccia d’oro nei capelli e membra flessuose come salici nel vento luminoso di marzo. Pare una bella stella ferale velata di grigio vapore. Sembra la fanciulla di campagna dal cuore più tenero che mai si sia recata a un segreto incontro d’amore. Tenera è la sua voce, bello è il suo viso, dolcemente sfavillano i suoi occhi dietro le lacrime, come il sole sulla pianura oltre un rovescio di pioggia. Eppure, d’improvviso, s’inalbera come una vipera. Allora è nauseante vedere come dalle labbra rosee di vita e d’amore scaturisca in un lampo il ghigno scheletrico della morte. Le sue guance sbiancano e le sue narici si dilatano in un respiro affannoso di furore assassino.

In un poema strutturato sull’opposizione fra sincerità e falsità, fra verità e menzogna, Viviana personifica la falsità e la menzogna. È un’immagine di bella e spaventosa tentatrice, incarnazione di pericolo e di desiderio, spregevole e ripugnante perché priva persino di una sorta di malvagia dignità. Sebbene conduca inevitabilmente all’annientamento, alla morte senza rinascita, al nulla, ella prende forma dall’incontro del mondo moderno e della sua poesia, rappresentati dal poeta, Tennyson, con la poesia del mondo antico, rappresentata dalla Materia Bretone, ritrovata e rielaborata proprio in quegli anni, e riemersa finalmente tanto nel mondo immaginale quanto nel mondo spirituale.

Molte lettrici e molti lettori hanno incontrato e scoperto gli antichi miti e le antiche leggende del mondo celtico attraverso indimenticabili libri illustrati a cui proprio per questo si ritorna sempre con immutata e inalterabile commozione. In gran parte questi libri sono rielaborazioni delle opere arthuriane dell’età vittoriana, le quali sono a loro volta rielaborazioni della Materia Bretone, come quest’ultima è rielaborazione di una tradizione poetica orale tramandata dalla preistoria. In questa continuità, molte forme e molte figure sono state alterate. Con la visione di Viviana elaborata da Tennyson si completano il pervertimento e il rovesciamento di una figura molto antica, già in parte attuati nella fonte a cui il poeta attinge, cioè Le Morte Darthur (1485), di Thomas Malory, in cui la storia di Viviana e di Merlino è narrata come segue.

«Così avvenne, dopo questa ricerca di sir Gawayne, di sir Tor e di re Pellynore, che Merlyon cadde in un rimbambimento senile, scioccamente infatuato di una damigella che re Pellynore aveva condotto a corte, una delle damigelle della Dama del Lago, chiamata Nenyve. E Merlyon non le lasciava avere alcun riposo, ma sempre voleva essere con lei. E sempre lei incoraggiava Merlyon per apprendere da lui tutte le cose che desiderava, e lui era così infatuato di lei che non poteva stare lontano da lei.» Trascorse così qualche tempo, finché Merlyon si separò dal re, e quando «la damigella del Lago partì, Merlyon andò sempre con lei, ovunque si recasse, e spesso cercò di fare in modo che lei fosse rapita dalle sue arti sottili. Poi la damigella gli fece giurare che non avrebbe mai gettato nessun incantesimo su di lei per imporle la sua volontà, e così lui giurò.
«In seguito lei e Merlyon si recarono a visitare la terra di Benwyke, là dove era sovrano re Ban, che stava combattendo una grande guerra contro re Claudas.» Colà Merlyon incontrò il giovane Launcelot e ne profetizzò le prodezze alla madre, la bella e buona Elayne.
«Dopo qualche tempo la dama e Merlyon partirono. E durante il viaggio lui le mostrò numerosi prodigi, e così giunsero in Cornovaglia. E sempre lui le stava intorno cercando di avere la sua verginità, e lei era sempre estremamente diffidente di lui e intendeva liberarsi di lui, perché aveva paura di lui sapendolo figlio del demonio, eppure non riusciva a sbarazzarsi di lui in nessun modo.
«E così una volta Merlyon le mostrò una roccia in cui era un grande prodigio, compiuto mediante incantesimo, che andava sotto una grande pietra. Così mediante il proprio sottile operare, ella indusse Merlyon ad andare sotto quella pietra per permetterle di scoprire le meraviglie che vi si trovavano, tuttavia operò per fare in modo che lui non potesse mai uscire nonostante le arti che sapeva esercitare, e così lei partì e lasciò Merlyon» (1).

Nel riscrivere il racconto, Tennyson mantiene la contraddizione della sua fonte rovesciandone gli estremi. Non è Viviana a doversi difendere dalla lussuria di Merlino, bensì è Merlino a doversi difendere dalle tentazioni di Viviana. In entrambe le versioni del mito, Viviana è fredda, priva di amore e di desiderio, e trionfa, mentre Merlino, dominato dalle proprie passioni nonostante la propria saggezza, è sconfitto. A differenza del poeta vittoriano, Malory riscrive il racconto con uno stile molto più conciso di quello della sua fonte, di cui mantiene fedelmente gli elementi e la configurazione. Come Tennyson, infatti, Malory attinge a una fonte più antica, ossia la Suite du Roman de Merlin (XIII secolo), dove la narrazione è molto più articolata e prolissa.

Era ospite alla corte di re Arthur la valente e saggia figlia di un re di Bretagna, la quale aveva nome Niviene. Aveva quindici anni, era bellissima, ed era molto saggia per la sua età. Durante il suo soggiorno alla corte del re, Merlino trascorse molto tempo con lei e se ne innamorò. Ella se ne accorse e ne fu molto spaventata, perché temeva che lui intendesse disonorarla mediante un incantesimo, oppure nel sonno. Tuttavia lui non aveva alcuna intenzione di fare alcunché che potesse irritarla.

Per quattro mesi Niviene rimase alla corte di Arthur, e ogni giorno Merlino si recò da lei molto innamorato, e lei gli disse che lo avrebbe amato soltanto se lui le avesse promesso d’insegnarle tutti gli incantesimi di sua conoscenza che lei stessa gli avesse chiesto, nonché di non fare nulla mediante incantesimo che potesse irritarla. Così Merlino promise, e sapendola ancora vergine, attese speranzoso che lei acconsentisse di sua volontà a conoscerlo carnalmente, a donargli la sua verginità, e a permettergli di farle tutto ciò che un uomo faceva a una donna. Intanto lei imparò da lui tutto quello che si poteva apprendere di negromanzia e d’incantamento.

Quando il padre la richiamò in Bretagna, Merlino si offrì di accompagnarla e Niviene non osò rifiutare, sebbene lo detestasse. Eppure la sua compagnia protesse lei e il suo seguito durante l’attraversamento a cavallo della Bretagna, pericolosa a causa della guerra che infuriava tra re Ban e re Claudas. Alla corte di re Ban conobbero la regina, Elaine, e suo figlio, Lancelot. Poi, nel proseguire il viaggio, Merlino mostrò a Niviene il Lago di Diana, un luogo talmente bello che ella decise di rimanere a dimorarvi per tutta la vita senza ritornare dal padre, e il suo seguito decise di rimanere con lei. Per amore suo e dietro sua richiesta, Merlino fece ricostruire il castello di Diana, colei da cui aveva preso nome il lago, quindi lui stesso mediante un incantesimo lo rese invisibile. Potevano vederlo soltanto coloro che vi dimoravano. Tutti gli altri vedevano soltanto il lago. E se per invidia o per odio qualcuno di coloro che conoscevano il segreto avesse mai tentato di rivelarlo, sarebbe subito annegato nelle sue acque.

In attesa perenne che Niviene gli si concedesse, Merlino rimase sempre con lei, e anche se moriva d’amore per lei, non osava sollecitare i suoi favori per timore d’irritarla. Invece lei non avrebbe mai potuto neppure essere tentata di amarlo perché sapeva che era figlio di un demone e non era come gli altri uomini. Per tale ragione, nonché sapendo che lui pensava soltanto a prenderle la verginità, lo detestava e provava per lui un odio mortale. Era più che mai decisa a ucciderlo e cercava di provocarne la morte senza che lui ne fosse consapevole, dato che lo aveva già incantato. Ormai aveva appreso tanti incantamenti da saperne non meno di lui ed era ben protetta da lui per mezzo della negromanzia.

Nell’attraversare la Foresta Perigliosa, Merlino e Niviene, accompagnati dal seguito di lei, si trovarono al cadere della notte in una valle poco profonda, piena di macigni e di rupi, lontana da ogni città, da ogni castello, da ogni presenza umana. La tenebra era così profonda e densa da impedire di proseguire, così bivaccarono. Dopo cena, Merlino disse a Niviene che avrebbe potuto mostrarle una meraviglia nascosta a breve distanza, ossia un piccolo appartamento lussuoso scavato nella roccia e chiuso da una porta in ferro che non poteva essere aperta dall’interno. Era la dimora inaccessibile che il principe Anasten aveva fatto costruire per nascondervi la sua amata quando il re suo padre, contrario al loro amore perché lei era di rango molto inferiore e dunque la considerava indegna del figlio, aveva minacciato di farla uccidere davanti ai suoi occhi. In quelle camere sotterranee i due amanti avevano trascorso felicemente tutta la loro esistenza. Là erano morti alla stessa ora e là erano stati seppelliti nella stessa camera.

Quando Niviene manifestò il desiderio di vedere il luogo in cui era stato vissuto quel grande amore dagli amanti che per godere delle loro gioie avevano abbandonato il mondo, Merlino rispose di avere rinunciato a tutto per lei e poi ve la condusse, camminando nella notte alla luce delle fiaccole. Così visitarono una camera bella e sontuosa, ornata di mosaici d’oro, concepita e costruita da gente gioiosa, che là aveva voluto vivere felice, dilettarsi dei propri giochi amorosi, celebrare le proprie feste e gioire delle proprie voluttà.

Oltre una seconda porta in ferro, una camera degna di un appartamento regale accoglieva un sepolcro in marmo vermiglio, coperta da un drappo di seta vermiglia orlato d’oro, su cui erano abilmente raffigurati animali favolosi. Allora Niviene espresse il desiderio di vedere le salme degli amanti. La lastra del sepolcro era così pesante che dieci uomini avrebbero faticato a smuoverla, eppure Merlino, da solo, più con la sapienza che con la forza, la spostò.

Osservate le salme avvolte nei sudari di seta bianca, Niviene, si dichiarò commossa dalla loro storia e decisa a trascorrere la notte nella camera sepolcrale. Sebbene di umore triste, mentre di solito era allegro e gioioso, Merlino rimase con lei. Così si coricarono ciascuno nel proprio giaciglio, e lui si addormentò subito, già del tutto stregato, smarrite tutta la sapienza e tutta la memoria prima possedute. Allora Niviene, che ne era ben consapevole, si alzò e gettò su di lui altri incantesimi, fino a renderlo del tutto indifeso. Priva del coraggio di ucciderlo lei stessa, come pure di assistere alla sua uccisione, escogitò una vendetta ancora migliore. Ordinò agli uomini del suo seguito di prenderlo per la testa e per i piedi, di gettarlo nella tomba dei due amanti, e di sigillare di nuovo il sepolcro con la lastra. Con i suoi incantesimi e con il potere delle parole, la sigillò affinché mai più nessuno potesse sollevarla, se non lei stessa, la Damigella del Lago, quando fosse ritornata al sepolcro, pregata da Tristano (2).

Questa versione del racconto è la deformazione cristiana di un arcaico mito celtico, analoga all’alterazione subìta nel mito greco dall’«originaria funzione dell’antica figura mitica femminile greca (kore) posta sul limitare dell’aldilà e simboleggiante la morte iniziatica», la quale diventa «donna portatrice di morte», e spesso «donna malefica» (3). La cristianizzazione razionalizza e umanizza il mito. L’aspetto erotico viene esasperato fino a diventare preponderante nella forma più rozza e più meccanica, quella del possesso, e al tempo stesso viene svilito, con il desiderio mostrato come immorale, diabolico, e la castità mostrata come morale. Merlino vuole possedere Niviene e prenderle la verginità, mentre Niviene vuole proteggere ciò che possiede e impossessarsi delle conoscenze di Merlino. Il mito è degradato alla squallida vicenda di un vecchio lubrico che vuole possedere carnalmente una fanciulla, la quale ne approfitta per estorcergli tutto ciò che conosce e poi se ne sbarazza uccidendolo e facendolo scomparire.

Nella cristianizzazione della Suite du Roman de Merlin, l’insistenza malata e misogina sul rapporto erotico proviene anche da un contrasto, riflesso nel Merlino di Tennyson, fra desiderio e repressione, fra abbandono alla libertà del piacere e sottomissione al dominio della morale, il quale si risolve nella perversione o nel trionfo della repressione. Nella Suite il desiderio è diabolico, quindi malefico, perché Merlino è figlio del diavolo. In Tennyson il desiderio, più spettrale che reale, perché in Merlino è soffocato e in Viviana è assente, è rovinoso, tuttavia non è più il figlio del diavolo a essere malefico, bensì la donna, che se ne serve per giungere al possesso e per condurre alla morte. Così si compie e si perfeziona il rovesciamento misogino e patriarcale della Donna Soprannaturale in Donna Malefica.

D’altronde il contrasto fra desiderio e repressione, fra piacere e perversione, e le sue conseguenze, non sono meramente individuali e sociali. Dal punto di vista mitico e simbolico, nonché «sub specie interioritatis», la deformazione cristiana trasforma la bellezza in orrore, una Donna Soprannaturale in una Donna Malefica, il dono di un sonno fatato in un omicidio, l’amore in peccato, l’alleanza sacra in una lotta per il potere, la felicità senza tempo nell’annientamento, e soprattutto la vita dell’anima nella morte dell’anima, la morte quale metamorfosi nella morte quale annullamento assoluto, cancellando l’amore armonioso nell’Oltremondo che interiormente e spiritualmente rappresenta la perpetua metamorfosi di vita, morte e rinascita.

In tal modo è cancellata la visione antica in cui esistono il sonno e il sogno sempre seguiti dal risveglio, la rinascita, e non esiste la morte. Per rovesciare e cancellare tutto questo è necessario che la Donna cessi di essere colei che dispensa Vita e Amore, colei che conduce all’Oltremondo e alla Rinascita, per diventare colei che nega la vita e l’amore, colei che induce un sonno senza sogno e senza risveglio, colei che conduce alla morte come annullamento assoluto, precludendo la rinascita. Così la Donna e l’Amore sono privati di ogni sacralità e il mito è svuotato di tutti i suoi veri significati.
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Tuttavia questa terribile, spaventosa alterazione non è del tutto riuscita, perché il mito è stato tramandato da un racconto antecedente e poi compreso correttamente in epoca moderna. Infatti la Suite du Roman de Merlin riprende e deforma Lestoire de Merlin (circa 1215-1235), la quale si distingue da tutte le altre versioni perché senza dubbio riflette la narrazione più antica.

Nella Foresta di Briosque, presso una sorgente che alimentava un lago limpido e bellissimo, con la sponda di sabbia tanto sfavillante da sembrare finissimo argento, Merlin vide un giorno una fanciulla di dodici anni. Era nata là, perché tutta la foresta, molto dilettevole, buona per la caccia e abbondante di cervi, apparteneva a suo padre, Dyonas, e viveva in un castello bello e ricco alla base di una montagna rotonda al margine della foresta medesima. Era molto bella, sapeva leggere e scrivere e conosceva le sette arti. Il suo nome era Viviane. La madrina di suo padre, Diana, aveva predetto che l’uomo più saggio ed erudito del mondo le avrebbe insegnato gran parte di ciò che sapeva, come pure tutto ciò che lei stessa avrebbe voluto mediante il potere della negromanzia, il quale le avrebbe permesso di imporre persino a lui la propria volontà.

Presso la sorgente, Merlin mostrò alla fanciulla molte delle cose che sapeva fare. Fra l’altro evocò un giardino meraviglioso, la cui illusione perdurò finché lei gentilmente lo intrattenne, e così fu chiamato Rifugio per la Gioia e per la Felicità. Incantata dalle sue capacità, Viviane promise a Merlin amore e amicizia in cambio delle sue conoscenze. Egli le chiese di giurare che il suo amore e lei stessa sarebbero stati suoi, per fare tutto ciò che lui stesso avesse voluto quando avesse voluto. A sua volta ella gli chiese di giurare d’insegnarle tutto ciò che lei stessa gli avrebbe chiesto, affinché potesse imparare a farlo. Allora lui le insegnò a far comparire un fiume ovunque volesse, tale da permanere finché lei avesse voluto, e lei scrisse ogni cosa. Poi per quel giorno Merlin la lasciò. In seguito si incontrarono più volte e lui continuò a insegnarle ciò che sapeva, e lei, che lo amava profondamente e voleva averlo sempre e soltanto tutto per sé, ogni volta ancora apprese e scrisse ogni cosa.

In seguito Merlin si congedò da re Arthur, e lasciandolo sgomento «partì senz’altro dire, piangendo, e viaggiò finché giunse da Blaise, suo maestro, il quale fu molto felice del suo arrivo e gli domandò che cosa avesse fatto da quando lo aveva lasciato. Allora Merlin gli narrò parola per parola, nel loro ordine, tutte le cose accadute a re Arthur in quel frattempo. […] E quando Merlin gli ebbe detto e raccontato tutte queste cose, Blaise le mise per iscritto, l’una dopo l’altra, nel loro ordine, e per questo le sappiamo ancora. Poi Merlin partì, e disse che era per l’ultima volta, perché in seguito avrebbe sempre soggiornato con la sua amica. […] E con un breve viaggio giunse presso la sua amica, la quale ne fu molto felice, come lo fu anche lui, e così dimorarono insieme per gran parte del tempo.» In seguito Merlin le insegnò e le spiegò tutto ciò che sapeva, «e la damigella mise per iscritto tutto ciò che lui le disse. E quando lui le ebbe spiegato tutte queste cose, la damigella ne ebbe grandissima gioia e l’amò ancora di più, e si mostrò con lui molto più affettuosa del solito. Poi soggiornarono insieme per lungo tempo, e così arrivò un giorno in cui, passeggiando mano nella mano nella foresta di Broceliande, trovarono un bell’albero, verde e alto, un biancospino tutto carico di fiori, e sedettero alla sua ombra e Merlin posò il capo in grembo alla damigella, e lei incominciò ad accarezzarlo sino a quando si addormentò. E quando sentì che lui dormiva, la damigella si alzò piano piano, e fece un cerchio con il suo soggolo tutt’intorno all’albero e tutt’intorno a Merlin. Così incominciò i suoi incantesimi e poi sedette di nuovo accanto a lui e si pose in grembo la sua testa e la tenne così fino a quando lui si destò. E lui guardò attorno ed ebbe l’impressione di trovarsi nella torre più bella del mondo, e si trovò coricato nel letto più bello in cui avesse mai giaciuto. Allora disse alla damigella: “Dama, mi avete ingannato se non dimorerete con me, perché nessuno all’infuori di voi ha il potere di disfare tutto ciò”. E lei gli disse: “Caro e bell’amico, io vi sarò sovente, e voi mi terrete fra le vostre braccia, e io voi. Così farete allora e per sempre tutto ciò che è vostro piacere”. E lei lo rese molto felice, perché pochi furono i giorni e le notti in cui non fu con lui, né poi Merlin uscì mai da quella fortezza in cui la sua amica lo aveva messo, mentre lei ne usciva e ne entrava quando voleva. Così il racconto tace in questo luogo di Merlin e della sua amica» (4).

Nella sua riscrittura, Malory rivela una cosa importante, taciuta ovviamente dalla Suite, intenzionata a umanizzare del tutto Niviene, e non esplicitata da Lestoire, perché in essa tutto lo lascia intendere. L’amica di Merlino è una damigella del Lago, una delle damigelle della Dama del Lago. La Dama del Lago è una Donna Soprannaturale che insieme a numerose damigelle dimora nelle profondità di un lago, cioè nell’Oltremondo, a cui si può accedere sia attraverso le colline, sia navigando sino alle isole più remote, sia immergendosi nelle profondità delle acque. L’Oltremondo è sempre in profondità, anche dentro di noi.

La Dama del Lago rapisce Lancelot ancora neonato, lo conduce nella sua dimora in fondo al lago, e là, in quelle profondità, nell’Oltremondo, insieme alle sue damigelle, lo alleva, lo istruisce, lo addestra, e infine gli consegna le armi, come altre Donne Soprannaturali negli antichi miti celtici. Quando lo conduce alla corte di Arthur, è tutta abbigliata di sciamito bianco, come lo sono le sue damigelle e tutto il suo corteo, e porta un soggolo. Il bianco è il colore delle Donne Soprannaturali, in particolare di coloro che sono chiamate Dame Bianche, le quali dimorano sia nelle profondità dei laghi, sia nelle colline, come la Collina delle Dame Bianche in Irlanda. Il bianco e il soggolo sono loro caratteristiche dal profondo significato simbolico. Le Dame Bianche e i loro stuoli di damigelle vivono insieme e si somigliano tutte, come Caer ib Ormaith, figlia di Ethal Anbual di Side Uaman, e le sue centocinquanta damigelle, ciascuna adorna di una collana d’argento e di una catena d’oro brunito, unite a coppie da una catena d’argento, e tutte capaci di assumere forma di cigno. Inoltre Caer è capace di trasformare anche il proprio amato visitato in sogno per amarlo in forma di cigno. Sorelle che dimoravano in un’isola in cui si riunivano compagnie di donne, Fand e Liban erano simili fra loro e accompagnate a stormo dalle loro damigelle, le quali, come loro, assumevano forma di bellissimi uccelli. Il loro canto addormentava i guerrieri quando passavano in volo, unite da una catena di oro rosso, prima di scomparire nelle profondità di un lago. Unite e simili erano le Donne Soprannaturali del Side di Boinn, «cinquanta donne, tutte simili in età, in aspetto e in bellezza, in dolcezza e in leggiadria del volto, in portamento, in simmetria e in statura, tutte ugualmente avvolte nelle vesti delle donne soprannaturali, talché non vi era modo di distinguerle l’una dall’altra, e nessuna appariva diversa, nessuna superava le altre» (5).

Nella foresta in cui è nata e in cui dimora, Viviane vive fra le acque, il lago, il fiume, la fontana che frequenta, le acque sacre della Dama del Lago e delle Dame Bianche. Porta il soggolo, è istruita, è una damigella della Dama del Lago, una damigella del Lago simile a tutte le altre, dunque è una Damigella Bianca, una Fanciulla Soprannaturale. Spesso, negli antichi miti celtici, le Donne Soprannaturali conducono i loro prescelti nell’Oltremondo, per vivere insieme a loro nei luoghi più belli e nella beatitudine fuori del tempo. Spesso li incontrano e li guidano in sogno, entrando nei loro sogni, oppure addormentandoli con musica fatata, canti magici, mele incantate, e durante il sonno, in sogno, li conducono oltre il mare, alle Isole delle Donne e delle Mele, o nelle profondità dei laghi, o nelle profondità delle colline. Così, Viviane conduce Merlino a un Biancospino, confine con l’Oltremondo, albero delle Donne Soprannaturali che possono essere chiamate Dame del Rovo.

Là, sotto il Biancospino, Viviane addormenta Merlino con le proprie carezze, forse con la propria voce, in un canto sussurrato, e quando Merlino è sprofondato nel sonno, traccia con il proprio soggolo, attributo delle Dame Bianche, un cerchio, che forse è una porta oltremondana, oppure un confine al confine del Biancospino, una soglia che in sonno e in sogno può essere varcata, perché l’Oltremondo è sempre contiguo al Mondo, come il sogno è contiguo alla veglia. Nel sonno, Merlino senza dubbio sogna, e sognando varca la soglia, giunge in un Oltremondo in cui, come in sogno, il tempo scorre diversamente, o meglio non esiste, perché è un mondo fuori del tempo. Nel sogno si desta, vede di essere in una torre, e senza dubbio comprende di trovarsi fuori del tempo, perché negli antichi miti celtici la torre è immagine dell’Oltremondo, a cui soltanto una Donna Soprannaturale può condurre, perché l’Oltremondo è la Terra delle Donne, la Terra delle Donne Che Vivono in Eterno.

Forse Merlino continua a dormire e a sognare, forse è passato in questo mondo dal sonno alla morte, continuando a vivere nell’Oltremondo, forse Viviane lo ha trasformato in un uccello e lo tiene in una gabbia che porta sempre con sé. Comunque non è più tornato nel mondo e dimora ancora nell’Oltremondo, e Viviane, Donna Soprannaturale che può varcare le soglie fra i mondi, fra il tempo e l’assenza di tempo, si reca spesso da lui a condividere la beatitudine oltremondana, come ha ben compreso il grande poeta Algernon Charles Swinburne. Dopo l’ingiuriosa alterazione operata da Tennyson con Vivien, Swinburne ha inteso mostrare la Donna Soprannaturale nella sua verità, e con i versi che seguono, tratti dal poema Tristram of Lyonesse, ne ha cantato il mito per permettere a noi, oggi, di riscoprirlo e di comprenderlo nella sua fulgida e risanante verità.

Il poema narra che alla Gioiosa Guardia, gloriosa torre fra il mare selvaggio e le vaste terre selvagge, l’amore guidava e placava Essylt e Drystan, i quali traevano vita come vita divina da ogni vento che soffiava, e riposavano, e trionfavano. Giorno dopo giorno le brughiere possenti e le grigie mura del mare, le fosche e fulgide acque verdi, il cui frangersi cantava un canto alle rocce e ai fiori e agli uccelli in volo, vedevano la gioia e la gloria di cui gli amanti godevano, e come il mondo intero li rendeva felici, e come il loro grande amore si fondeva a tutte le cose grandi, perché la vita è bella e al tempo stesso possente come il fato. E un giorno, nel conversare, Drystan ricordò a Essylt il loro primo bacio, dopo che le loro labbra avevano bevuto la bevanda composta e versata dalle mani fosche del Fato e dell’Amore affinché nessun potere li potesse separare, l’uno e l’altro con una sola volontà, unica come sono per tutti un unico destino la morte stessa e la vita, e come nessuno che guardi il sole può non vedere l’oscurità. Allora Essylt gli rispose con una domanda.

«Ah, dunque», ella disse, «quale parola si ode fra gli uomini
Di Merlino, in qual modo uno strano, temibile destino
È stato gettato di recente su di lui oltremare,
Dolce traditore, nella tua nuziale Bretagna?
Non è forse sigillata dal sonno la sua vita,
Per la stregoneria di lui stesso e dell’amore,
Sino a quando la terra sarà fuoco e ceneri?»
«Senza dubbio», disse l’amante
Di lei, «non come chi sia vivo o morto
Il grande mago buono, beneamato e benevolmente
Predestinato dal cielo che scaccia l’inferno
A guiderdone assai più dolce del fato di tutti gli uomini,
Unico dispensato fra tutti i predestinati,
Coglie il suo strano riposo nel cuore della terra del sonno,
Più profondamente addormentato nella verde Broceliande
Dei dormienti naufragati nel morbido mare verde
Sotto il peso dei flutti vaganti; eppure lui
Quale quei tetti d’acqua, alta sulla sua testa,
Ha sempre tutta la folta vastità dell’estate
O tutto il gemere dell’inverno; oppure le dolci
Tardive foglie tinte di rosso dai passi ardenti dell’autunno,
Oppure appassite dal piangere di lui, pioggia
Intorno al veggente, e non vede, né può ascoltare o udire
La testimonianza dell’inverno: però in primavera
Ode sopra di sé tutti i venti alati in volo
Attraverso l’alba azzurra fra le fulgide fronde
E sugli occhi chiusi e sulla fronte sommersa dal sonno
Sente nell’aria il mutamento avvolgente e il sole rinvigorito,
E sente l’anima che era la sua anima unita
A quella del mondo ardente, e nello spirito della terra
Il suo spirito di vita rinato a nascita più possente
E fuso a cose di vita più antica della nostra;
Con versi di uccelli, e fiammeggianti lampade di fiori,
E voli e canti di venti, e fruttifera luce
Di raggi solari, e il remoto vago respiro della notte,
E flutti e boschi al mattino: e in tutto, morbido
Quale a mezzogiorno il lento fluire e rifluire del mare,
Ode in ispirito un canto che nessuno se non lui
Ode dalla mistica bocca di Nimue,
Effuso come una consacrazione; e il suo cuore,
Nell’udire, è reso in forza dell’amore parte
Di quel remoto cantare, e la sua vita parte
Di quella vita che nutre il mondo con amore:
Sì, il cuore al cuore è fuso, quello di lei e quello di lui,
Nel cuore del mondo e nell’anima, oltre senso
O visione; e il loro respiro che sommuove
Le tenere fonti della vita senza morte e della morte,
Morte che reca la vita, e mutamento che reca il seme
Della vita alla morte e la morte alla vita, in verità,
Come il sangue che scorre di nuovo nelle vene insondate della terra e del cielo con tutte le loro gioie e le loro sofferenze.
Ah, che anche noi, quando l’amore non riderà più né più piangerà,
Anche noi si possa udire quel canto e dormire!» (6)



Note:

1. Malory, Le Morte Darthur, pp. 78, 79; Malory, Works, pp. 76, 77. Sono qui riprodotti fol. 45r e fol. 45v del Winchester MS, a cui corrisponde il Capitolo I del Libro IV dell’Edizione Caxton.

2. La Suite du Roman de Merlin, pp. 313, 315-320, 327-334, 379-388.

3. Jesi, Il simbolismo dell’impiccagione, p. 197.

4. Lestoire de Merlin, pp. 451-452.

5. Tain Bo Fraich, pp. 43-46.

6. Tristram of Lyonesse, pp. 97-99.



Fonti

Ancient Irish Tales, a cura di Tom Pete Cross e Clark Harris Slover, New York, Henry Holt and Company, 1936.

Jesi, Furio, Il simbolismo dell’impiccagione, in Comunità, Anno XXVI, n. 167, Settembre 1972, pp. 195-207.

La Suite du Roman de Merlin, edizione critica di Gilles Roussineau, Geneve, Droz, 2006.

Le Livre de Lancelot del Lac (Part I) , a cura di H. Oskar Sommer, The Vulgate Version of the Arthurian Romances, Vol. II, Washington, The Carnegie Institution of Washington, 1910.

Lestoire de Merlin, a cura di H. Oskar Sommer, The Vulgate Version of the Arthurian Romances, Vol. II, Washington, The Carnegie Institution of Washington, 1908.

Malory, Works, a cura di Eugene Vinaver, Oxford, Oxford University Press, 1991.

Malory, Sir Thomas, Le Morte Darthur, a cura di Stephen H. A. Shepherd, New York and London, W.W. Norton & Company, 2004.

Swinburne, Algernon Charles, Tristram of Lyonesse, London, William Heinemann, 1917.

Tain Bo Fraich, in Heroic Romances of Ireland, a cura di A. H. Lehay, 2 voll., London, David Nutt, 1905, Vol. II, pp. 1-68.

Tennyson, Lord Alfred, Merlin and Vivien, in Poems of Tennyson, 1830-1870, London-NewYork-Toronto, Geoffrey Cumberlege/Oxford University Press, 1946, pp. 589-610.

Immagine: Viviane and Merlin, di Eleanor Fortescue-Brickdale


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