Il Tempio della Ninfa

Onenne, la Pretresse de Broceliande

Articoli / Storia
Inviato da Violet 31 Mag 2012 - 02:51

Agli inizi del VII secolo d.C. la Bretagna era un’immensa e selvaggia foresta, nella quale le fitte macchie di alberi si intervallavano ai laghi azzurri, alle paludi nebbiose, alle campagne allietate dal gorgogliare delle limpide sorgenti, e alle radure, in cui talvolta si ergevano antichissimi cerchi di pietre.
Nel cuore della regione sorgeva lo sconfinato bosco di Broceliande, dove vivaci cascatelle e ruscelli argentini correvano fra i grandi sassi primitivi, e sotto le fronde verdi e ombrose, al riparo da occhi indiscreti, venivano tramandati gli antichi culti della natura, dedicati alle divinità boschive e a certe bellissime fate che si diceva abitassero ancora oltre gli specchi d’acqua, fra i muschi e nelle cavità degli alberi.

L’amorevole devozione per la foresta che il popolo celtico coltivava e insegnava, e la consapevolezza della sua intoccabile sacralità, erano però motivo di seria preoccupazione per i missionari cristiani, a quel tempo impegnati nella dura lotta contro l’antica religione. Per soffocare il culto pagano, questi passavano infatti dall’insistente persuasione alla più brutale violenza, e facevano costruire ovunque potessero chiese, monasteri e fredde cappelle.
Ma nonostante tutto, molti dei bretoni rimasti fedeli al culto dei loro antenati, continuarono a onorare gli spiriti silvestri, a portare offerte agli alberi e a pregare le fonti e le sacre pietre.



Fu in quest’epoca di cambiamento, intorno al 604 d.C., che in un ricco castello poco distante dalla foresta nacque Onenne, una giovane principessa di Bretagna che, sebbene ricordata come santa patrona del piccolo villaggio rurale di Tréhorenteuc, è possibile fosse iniziata a qualcosa di diverso, forse al culto femminile della grande Dea antico-europea.
Onenne era figlia di Judhael, Re di Dumnonia, nell’Armorica settentrionale, e della nobildonna d’origine gallese Pritelle. Aveva più di venti fratelli, alcuni dei quali furono grandi condottieri o santi, come la sorella maggiore Sainte Eurielle e i fratelli Saint Josse e Saint Lery, che trascorsero molti anni a vivere da eremiti nelle foreste; ma più noto di tutti fu senza dubbio il maggiore Judicael, che ereditò il regno del padre e fu Re, santo e guerriero. (1)
Dopo la nascita, la piccola Onenne crebbe secondo l’educazione che veniva impartita a quel tempo alle principesse bretoni, e non appena divenne fanciulla decise di votarsi alla povertà e di lasciare la corte. Così depose le ricche vesti regali, indossò abiti umili e semplici e si allontanò in cerca di una dimora più modesta.
Secondo alcuni studiosi la fanciulla volle lasciare il castello per fuggire dal pericoloso e spietato furore di suo fratello Haeloc, che per impadronirsi del potere regale del legittimo erede Judicael aveva fatto uccidere sette dei suoi fratelli e aveva costretto quest’ultimo a farsi monaco nell’abbazia di Saint-Jean de Gael; secondo altri invece Onenne si ritirò nella foresta solamente per seguire la sua ispirata vocazione religiosa, nonché per curare la sua salute delicata nella pace e nel rigoglio dei boschi. (2)
Da uno studio storico approfondito, però, la prima ipotesi risulta improbabile, poiché sebbene i fatti dimostrino l’usurpazione e la crudele tirannia di Haeloc, il suo breve regno durò dal 605 al 610 d.C., e a quell’epoca Onenne non era che una bambina molto piccola.
È invece molto più credibile la seconda possibilità, anche perché la giovane era tanto dedita alla spiritualità da suscitare l’affettuosa devozione delle genti dei villaggi vicini – che successivamente la vollero santa – e probabilmente desiderava una vita serena da poter dedicare solo al suo cammino profondo, lontano dalla politica e dalle violente successioni al trono.
In seguito all’abbandono della corte e del suo ruolo di principessa, Onenne si avvicinò alla foresta di Broceliande e qui, nella località di Masseries poco distante dal piccolo villaggio di Tréhorenteuc, trovò un’antica casa gallo-romana del IV o V secolo d.C., dove si stabilì.
Questa grande dimora, di cui oggi non restano che alcune enormi pietre, sorgeva in cima ad una collina ed era costruita interamente di mattoni, compreso il tetto. Si dice che un tempo fosse appartenuta a un ricco armoricano o a una colonia romana, ed era pertanto molto bella e sfarzosa, anche se quando Onenne la trovò era quasi del tutto ridotta in rovina.
La fanciulla comunque la scelse per sé e ne fece quello che venne definito “un piccolo convento”, nel quale non abitò da sola… Sebbene alcuni autori riferirono che Onenne si fosse ritirata in un eremo nella foresta, dove viveva in solitudine, questo particolare fu infatti riveduto da altri, i quali precisarono che Onenne “aveva anche alcune compagne” e che queste fanciulle “la consideravano come la badessa del piccolo convento”. (3)
Considerando che i conventi e le abbazie femminili in Bretagna non esistevano ancora, poiché la prima abbazia di donne nacque solo nell’XI secolo, è facile dedurre che oltre le mura dell’antica casa si nascondesse qualcosa di diverso e di lontano dall’interpretazione cristiana, ovvero un sacro cerchio di sorelle dedite allo stesso cammino religioso, le quali ritenevano Onenne loro maestra e protettrice spirituale, come accadeva nelle sorellanze pre-cristiane di sacerdotesse guidate dalla fanciulla più saggia e nobile d'animo, e come solo nei secoli successivi sarebbe accaduto in un monastero di donne, condotte e protette da una badessa.
Fu negli anni che trascorse in questa vecchia villa, circondata dall’immenso bosco sacro, che la devota principessa lasciò quelle preziose tracce che potrebbero dimostrare la sua amorevole fedeltà all’antica religione.

Le donne del villaggio la amavano moltissimo, e spesso si recavano da lei per cercare la guarigione, perché Onenne conosceva i rimedi erboristici che curano certe malattie. In particolare, le giovani che si allietavano nel trascorrere piacevoli notti d’amore in mezzo ai campi fioriti con i loro amanti, visitavano spesso la casa della fanciulla, che grazie alle sue conoscenze faceva in modo che “non crescesse loro il pancione” (4).
Onenne era dunque un’abile guaritrice, una erbaria che conosceva la medicina delle piante e degli arbusti, e si deduce che sapesse cosa bisognava fare per impedire o interrompere una gravidanza indesiderata, o per agevolare e rendere meno doloroso il parto.
La sua affinità con le piante – anche se in questo caso solo simbolica – traspare anche dal significato del suo nome. Onenne deriva infatti dall’antico bretone onn o ounn, ovvero “frassino”, oppure da onn-gwen, dove onn indica sempre il frassino e gwen significa “olmo”, “orniello” o frassino selvatico; la a finale invece indica semplicemente il genere femminile. (5)
Onenne è dunque la donna frassino, oppure la donna orniello, colei che porta in sé lo spirito del frassino e dell’orniello, ad indicare una creatura selvatica e boschiva, figlia degli alberi e delle acque, della foresta e delle sorgenti che scorrono e fluiscono.
La sua vita era dedicata soprattutto alla guarigione delle donne, ma ciò che potrebbe dimostrare la sua appartenenza ai culti perduti delle sacerdotesse celtiche venne scoperto all’interno della sua casa, dove nel 1874 un prete di nome De Brouyssel rinvenne “una statua femminile assai grande, tutta nuda, la quale non poteva essere che una Venere” (6).
Questa statua è probabile che rappresentasse una misteriosa divinità femminile nativa delle terre bretoni, risalente al periodo storico dell’Europa antica e del tutto estranea ai caratteri indo-europei, come suggerisce la sua descrizione e l’accostamento alle Veneri preistoriche. La sua nudità e, si presume, le forme morbide e rotonde, fanno inoltre pensare che incarnasse quegli aspetti delle Dee antico-europee più vicini all’amore, alla bellezza, alla fertilità e all’armonia femminili, e che fosse legata ai misteri delle donne.
Sempre nella dimora di Onenne venne trovata una scure di giadeite verde trasparente, forse adibita a scopi rituali; mentre poco distante, a Moron, si scoprì la Venus des Bois-Delé, un’altra scultura che, evidentemente per le forme belle e sensuali, ricordava anch’essa le Veneri pre-cristiane.
Purtroppo, entrambe le statue scomparvero poco dopo il loro ritrovamento, e certamente questo non avvenne per caso, in quanto è probabile che i religiosi del posto, onde evitare possibili allusioni all’arcaica religione femminile, abbiano preferito far sparire queste scomode e scandalose testimonianze – come del resto era già successo per la splendida Venere di Quinipily. (7)
Eppure, all’epoca, la presenza di simili sculture non era affatto rara, e soprattutto nella grande foresta incantata era ancora assai diffuso il culto delle acque e la devozione verso quelle languide divinità muliebri che spesso assumevano l’aspetto dei più belli ed eleganti uccelli acquatici, come i cigni, le oche, le anatre e gli aironi, e che specialmente in queste sembianze proteggevano le fonti, i laghi e i fiumi, recando guarigione e fertilità.
È dunque facile supporre che Onenne conoscesse molto bene queste tradizioni, e proprio a tal proposito si dice che amasse frequentare una sorgente sacra, o piccolo pozzo, immersa nella campagna a cento metri dalla sua casa.



Questa fonte, quasi nascosta al margine di un campo selvatico a nord di Tréhorenteuc, e conosciuta oggi col nome Fontaine Sainte Onenn – o St. Onenn’s Well – è di origine pre-cristiana e di certo era destinata a pratiche rituali e devozionali legate al culto delle acque.



Il suo aspetto nel corso dei secoli è rimasto quasi invariato: in cima a un piccolo tumulo, attraverso l’apertura lunga e strettissima, si intravedono alcuni scalini che scendono a dieci piedi sotto il livello del suolo, in una piccola camera sotterranea. Questa camera, simile ad una minuscola grotta umida, fresca e quasi buia, ha forma rettangolare e le pareti interne supportate da una muratura di pietra antica. All’interno di una delle pareti, inoltre, è scavata una piccola nicchia che un tempo ospitava una statuetta, ora perduta. (8)



L’acqua scorre gorgogliando e risuonando leggera, nella penombra del pozzo, e forse un tempo una sacra fiammella ardeva nella nicchia, accanto alla misteriosa statuetta, che si può presumere raffigurasse un’altra delle antichissime Dee antico-europee venerate all’epoca in tutta la Gallia, e legate alle acque, alla guarigione e alla cura degli occhi.
Si racconta che Onenne trascorresse molto del suo tempo alla sacra fonte, e si potrebbe credere che vi svolgesse i suoi riti segreti, in solitudine o insieme ad alcune delle sue compagne, al lume della fiamma che veniva mantenuta sempre accesa, proprio come accadeva nelle grotte primitive in cui si praticavano i misteri delle donne.
Ma questo non è l’unico luogo sacro che probabilmente Onenne frequentava. Poco distante dalla dimora della fanciulla, al centro di una radura della foresta, sorge un antichissimo cerchio di pietre risalente al 3000/2500 a.C., che i cristiani chiamarono Jardin aux Moines, ovvero “Giardino dei Monaci”. (9)



Il sito megalitico, appartenuto ai popoli pre-indoeuropei – dunque precedenti anche ai druidi celti – è formato da cinquantatre pietre disposte a ellisse, ed era usato durante l’Età del Bronzo, ma si potrebbe ipotizzare che Onenne, che abitava a poche centinaia di metri da esso, lo avesse visitato, magari insieme alle sue compagne.
E se le fanciulle furono davvero un ordine sacerdotale, ovvero una sacra sorellanza dedita al culto della Grande Madre, si può immaginare che talvolta vi si riunissero per compiere i loro riti misteriosi, o per danzare in cerchio fra le pietre al chiarore della luna, illuminate dal fuoco sacro di cui esse furono sempre le custodi.

Tornando all’antica casa sulla collina, che ora viene chiamata Château de Sainte Onenne, ovvero “Castello di Santa Onenne”, alcuni scavi archeologici ivi avvenuti nel 1927 rivelarono la presenza di una pietra sulla quale era stato inciso un disegno: una piccola corona, sormontata dalle lettere O, V ed E, dove la V è scolpita all’interno della O; e alla sua sinistra una croce, con le braccia della stessa lunghezza e inscritta in un cerchio. (10)
Le lettere OVE potrebbero riferirsi al nome originario di Onenne, forse Ovenne, o Oven – oppure Ouenne od Ouen scritto nella grafia antica – e si potrebbe pensare che fosse stata la fanciulla stessa a incidere nella pietra le sue iniziali, affiancandole alla piccola corona, che ricordava le sue radici regali, e alla croce a braccia uguali, forse simbolo della sua profonda devozione per la religione celtica.

Dopo alcuni anni in cui Onenne visse nella sua casa accanto alla grande foresta, successe qualcosa che la sconvolse profondamente, e che al contempo contribuì a dar vita alla sua leggenda.
Si racconta che un giorno, recatasi insieme ad alcune compagne nella campagna vicina, incontrò un giovane signore che tentò di rapirla per sposarla. Onenne lanciò alte grida e alcune anatre che si trovavano nelle vicinanze iniziarono a starnazzare.” (11) Gli uccelli fecero un tal chiasso che alcuni soldati di passaggio si resero conto di ciò che stava accadendo, e accorsero in aiuto della fanciulla, liberandola del suo aggressore. Secondo altre versioni della storia, furono invece le anatre stesse, o meglio, un gruppetto di bianche oche, a mettere in fuga il malvagio signore, difendendo Onenne e salvandola da un brutale tentativo di violenza.
Ad ogni modo, la fanciulla venne soccorsa dalle anatre che pascolavano poco distante da lei, ma l’aggressione che subì dovette provocarle gravi conseguenze, forse anche dovute alla sua salute già delicata, poiché proprio a seguito di quello sfortunato evento, nel 630 d.C. e all’età di soli venticinque anni, Onenne morì.
Il suo corpo delicato venne deposto, a quanto si dice, in una pesante cassa di piombo e sepolto accanto all’ingresso della chiesetta di Tréhorenteuc, ma questo risulta storicamente inverosimile, in quanto nel VII secolo d.C. la chiesetta non c’era ancora e le casse di piombo non venivano affatto utilizzate, mentre al contrario si usava inumare i defunti nella terra bruna, talvolta sotto un tumulo o in un sacro cerchio di pietre. E infatti, nonostante le ricerche durate molti anni, la pesantissima cassa non fu mai trovata, così come i resti della fanciulla.
Solo negli ultimi decenni, ristrutturando la chiesa e livellando il pavimento nel punto in cui si diceva fosse sepolta Onenne, è stata rinvenuta una testa molto antica, che si presume possa essere la sua. È quindi possibile che la fanciulla fosse stata seppellita nella terra, in un punto della campagna in cui forse sorgeva un piccolo cerchio di pietre e dove nei secoli successivi venne eretta la chiesetta medievale dedicata a lei.

Nel corso dei secoli la casa sulla collina, ormai abbandonata e deserta, decadde sotto al peso del tempo, le nebbie che salivano dai laghi immoti l’avvolsero, le sacre statue femminili scomparvero, i rovi crebbero a nascondere il passato.
Il 18 aprile dell’anno 1927, sul finire delle ricerche fra i suoi ruderi, l’archeologo che si era occupato degli scavi all’antica abitazione fece incidere un’iscrizione su una delle sue grandi pietre, come ultimo gesto in onore della giovane e amata Onenne. L’epigrafe riporta tuttora queste parole:

ICI
FUT
LE CHATEAU DE
SAINTE ONENNE
PRINCESSE DE BRETAGNE
VII SIECLE


QUI
FU
IL CASTELLO DI
SANTA ONENNE
PRINCIPESSA DI BRETAGNA
VII SECOLO (12)

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La leggenda della piccola guardiana d’oche

Accanto alle scarse notizie storiche rimaste della vita di Onenne, col tempo nacquero alcune leggende popolari, cristianizzate e tramandate oralmente, nelle quali si narrava di come la piccola principessa fosse giunta a Tréhorenteuc per la prima volta, e di come vi si fosse stabilita per un certo periodo. Una di queste storie venne raccolta dopo il 1860 da Adolphe Orain, uno scrittore francese raccoglitore degli antichi racconti popolari bretoni.



Nei pressi della solitaria località di Neant, Orain incontrò un giorno Jeanne Niobé, una anziana massaia del paese di Canée che, mentre faceva pascolare la sua mucca vicino ad alcuni ruscelletti immersi nella verde campagna, volle raccontargli la storia di Onenne così com’era conosciuta nella tradizione del suo villaggio. Lo scrittore l’ascoltò con attenzione e poco tempo dopo decise di rielaborarla per trasformarla in una fiaba educativa per bambini, pubblicandola in un giornalino edito a quel tempo. In questo modo però la leggenda originaria narrata dalla vecchia Jeanne si perse, e tutto ciò che ne resta è la favola riadattata da Orain, la quale è riassunta come segue:

A Gael dimoravano Judhael, Re dei Dumnoni, meglio conosciuto nelle campagne bretoni col nome di Hoel III, e la sua graziosa moglie Pritelle, figlia di Ausoch. Fra i loro numerosi figli, la prediletta era la piccola Onenne, e quando la principessina non aveva ancora dieci anni fu ospitato dal re un pio eremita, che intrattenendosi a corte per parecchie settimane seppe subito conquistarsi l’affetto della bambina. Nell’ammirare la sua gentilezza, l’eremita spesso mormorava fra sé e sé che il suo vero paese non era di questo mondo e che presto avrebbe lasciato la terra per andare nella sua dolce patria.
Una volta Onenne lo udì mentre rifletteva in questo modo e ne fu talmente impressionata che, dopo avervi a lungo meditato, decise che se la sua permanenza sulla terra fosse stata di breve durata, allora avrebbe dovuto impiegarla religiosamente per potersi meritare di essere accolta in cielo.
Da quel momento non volle far altro che pregare Dio e compiere tutte le buone opere che il suo cuore le suggeriva, e comprese anche che sarebbe stato ben difficile compiere i suoi propositi rimanendo alla corte reale, fra le ricchezze e gli agi di una principessa. Così decise di abbandonare il castello per vivere miseramente in un luogo più modesto.
Un bel giorno, senza dire nulla a nessuno, si mise in viaggio per la campagna, a piedi e in solitudine, e quando per la via incontrò una povera mendicante scambiò con lei i suoi ricchi abiti, indossando i miseri cenci che l’altra portava. Al calar della notte, stanca per aver camminato tutto il giorno, la piccola Onenne si trovò vicina ad un vecchio castello, e poiché aveva paura dei lupi, che nelle foreste bretoni erano molto numerosi, bussò al portone per chiedere ospitalità. Un valletto le aprì, e nel vederla così misera fu tentato di cacciarla via; ma poi, intenerito dalla sua dolce voce e dalle sue lacrime, la accolse nella bella dimora.
Interrogata sul suo conto, Onenne nascose le sue origini regali e dichiarò di essere una semplice e povera bambina, sola e in cerca di un posto in cui guadagnarsi da vivere. Allora le fu concesso di dormire nella stalla e a partire dal giorno seguente avrebbe anche potuto avere cibo e alloggio se avesse accettato di custodire le oche.
Così la piccola Onenne divenne guardiana d’oche e fu tanto vigile, prudente e zelante nel proteggerle dalle volpi e dai rapaci, che si meritò ogni elogio. Le oche impararono a conoscerla bene e a ubbidirle, e ovunque andasse la seguivano docili senza che lei avesse bisogno di minacciarle con la verga.
Ogni pomeriggio, quando ritornava al castello dopo aver accudito le oche, la fanciulla aiutava le altre domestiche nei loro lavori quotidiani, e quando aveva finito trascorreva il resto della giornata pregando la Vergine nella cappelletta in fondo al grande giardino, dal quale coglieva le rose più belle e profumate per offrirle a lei.
Giorno dopo giorno, però, la castellana si accorse della scomparsa delle rose e così iniziò a sorvegliare il giardino. Con sua sorpresa vide la piccola Onenne che recideva le rose senza alcun timore per deporle sull’altare della cappelletta, prima di inginocchiarsi dinanzi alla Vergine.
Mentre pregava, Onenne si illuminò tutta, e poco dopo due angeli scesi dal cielo la presero per le braccia e la sollevarono fino al volto di Maria, che le donò il più dolce dei baci.
Il tutto avvenne così rapidamente che la castellana ebbe l’impressione di aver sognato, eppure Onenne era là, in estasi davanti alla statua della Vergine che sembrava sorriderle ancora.
Quando la fanciulla uscì dalla cappella, la castellana la seguì ancora e le chiese se ciò che aveva visto era reale. Seppur contrariata per essere stata in tal modo sorpresa, Onenne non volle mentire e preferì dire la verità. La voce gentile e il linguaggio accurato della bambina, che certo non facevano pensare ad una semplice contadina, indussero la castellana a interrogarla sulle sue origini, e quando seppe che era la figlia del re la ricondusse al castello del padre.
Il re e la regina erano tanto consumati dal dolore della sua scomparsa che la bambina faticò a riconoscerli, ma il suo ritorno alla corte fu motivo di grande gioia per tutti.
Negli anni seguenti Onenne dedicò ogni istante a curare i malati e a soccorrere gli infelici, diventando molto amata in tutto il paese. Tuttavia la triste predizione dell’eremita si avverò: ammalatasi d’idropisia, la giovane Onenne sopportò sofferenze atroci senza mai lamentarsi e osservando l’avvicinarsi della morte con gioia, ben sapendo che sarebbe stata la fine delle sue pene e che la Vergine l’avrebbe accolta dall’alto dei cieli. Dopo poco tempo la giovane morì.
Così si concluse la vita di santa Onenne, non più conosciuta oggigiorno che dagli abitanti di Tréhorenteuc. (13)



Questa è dunque la favola di Onenne rielaborata da Adolphe Orain nel XIX secolo e basata sulla prima leggenda popolare. Oltre alla favola, esiste un secondo racconto che narra di come la principessa, dopo avervi trascorso l’infanzia, aveva conservato “un così buon ricordo del suo passaggio a Tréhorenteuc, che vi ritornò per finire i suoi giorni” (14). Secondo questa versione, pare dunque che Onenne non fosse rimasta a lungo nel castello del padre dopo che vi aveva fatto ritorno, ma che avesse preferito tornare al piccolo villaggio nel quale era cresciuta da bambina, per trascorrervi serenamente il tempo che le restava da vivere.
Riunendo le due leggende sembra che fra esse esista una certa continuità e che siano parti consecutive di un’unica storia. Oltre a questo, la loro antichità lascia presumere che si siano sviluppate su una base storica e che quindi potrebbero raccontare alcuni particolari reali della vita di Onenne. Le fonti documentate, infatti, riferiscono della sua nascita e della sua già affermata fanciullezza, mentre la favola racconta della sua educazione di bambina, e proprio a questo proposito non è del tutto escluso che alcuni degli avvenimenti riferiti dalla vecchia Jeanne siano avvenuti durante la sua infanzia.
Secondo alcuni studiosi, la piccola Onenne era stata educata insieme alle sue quattro sorelle da Judicael, il fratello maggiore. Tuttavia all’epoca, nelle terre celtiche e in particolare anche in Bretagna, era ancora in uso la pratica del fosterage, ovvero l’affidamento dei fanciulli di nobili origini ad altre famiglie, che si sarebbero occupate della loro educazione. A questo proposito è importante far notare che gli stessi fratelli della fanciulla erano stati affidati ai parenti per la loro istruzione – Judicael al nonno materno Ausoch, e Haeloc al crudele e ambizioso padrino, Rehwal – e si potrebbe quindi ipotizzare che anche Onenne fosse stata affidata a qualcuno che le avesse insegnato tutto ciò che conosceva.
Se questo fosse vero, allora è possibile che durante la sua infanzia la principessa fosse stata mandata da una misteriosa castellana che viveva accanto alla grande foresta, a Tréhorenteuc, dove aveva badato alle oche e aveva imparato l’uso delle erbe e il culto della antica Madre – sostituita nella leggenda cristiana dalla Vergine Maria. Al termine della sua educazione era poi ritornata al suo castello, ma la sua permanenza a corte era durata solo pochi anni, poiché la fanciulla, remore della sua infanzia felice a Tréhorenteuc, della quale “conservava un così buon ricordo”, vi aveva presto fatto ritorno, stabilendosi nell’antica casa di Masseries e trascorrendovi insieme alle sue compagne tutto il tempo che le restava da vivere.

Questa ricostruzione di certo non è in alcun modo documentata né documentabile, e rimane una semplice ipotesi senza alcuna pretesa, ma il motivo per cui è stata qui proposta nasce dal fatto che le leggende popolari, tramandate attraverso i secoli, spesso conservano frammenti di verità antiche e preziose che non andrebbero sottovalutate.
Ad ognuno rimane comunque la completa libertà di dare o meno credibilità a quanto qui ricostruito.

Il culto di Onenne

L’affettuosa devozione e l’amore che soprattutto le donne di Tréhorenteuc nutrivano per Onenne, diedero vita a un grazioso culto in suo onore, legato alla guarigione e al potere miracoloso che si riteneva avesse la sua sorgente sotterranea.
Le donne presero a recarvisi, in solitudine o insieme ad altre compagne, e inginocchiate nella piccola camera ombrosa si lavavano accuratamente gli occhi, e pregavano il dolce spirito della principessa di guarirli, oppure di non rimanere incinte se non lo desideravano. Le giovani madri invece, vi portavano i bimbi ammalati, ne invocavano la guarigione e bagnavano i loro occhietti infiammati per calmarne il bruciore.
Le buone acque della fonte, infatti, si credeva potessero curare le malattie della vista e anche alleviare certi problemi mestruali – forse legati all’irregolarità del ciclo o alla sua scomparsa…
Per tradizione, Onenne era anche invocata contro l’idropisia, una malattia del fegato che provoca un rigonfiamento del ventre dovuto all’accumulo di liquidi, ma l’associazione fra la fanciulla e questo grave disturbo risulta del tutto incerta. (15)
Durante il 30 aprile di ogni anno, in occasione della festa patronale di Santa Onenne, gli abitanti del villaggio si recano in processione alla sorgente, e la leggenda vuole che anticamente, fino a poco prima della Rivoluzione Francese, un gruppetto di oche, oppure un’anatra con i suoi anatroccoli, “non mancasse mai di precedere devotamente la processione (…)” (16). Dal giorno in cui i signori di Rue-Neuve spararono contro di esse, però, le oche si nascosero in un rifugio segreto e non si fecero vedere mai più. (17)
Ancora oggi, su uno stendardo offerto da Anna di Bretagna, Onenne è rappresentata come una fanciulla dall’aspetto molto semplice, con un velo bianco, o una cuffia, sulla testa, una veste gialla lunga fino alle caviglie e un mantello blu. Intorno a lei figurano un’anatra bianca e tre anatroccoli.

***

Della leggenda e della storia autentica di Onenne non si conosce altro che quanto qui fedelmente raccolto e rinarrato, ma seppur piccoli e dispersi in una manciata di polverosi libri ottocenteschi, i frammenti della sua vita bastano a farla rivivere e ricordare, talvolta in modo così nitido che pare quasi di vederla, la cara fanciulla, mentre si reca alla fonte sacra, mentre coglie le erbe mediche insieme alle sue sorelle, o passeggia vicino a un corso d’acqua dove nuotano alcune anatre o bianche oche.
Ed è proprio grazie a questi pochi cenni che si può forse intuire chi Onenne sia stata realmente: una principessa, che pur abbandonando la veste regale non perse la sua nobiltà semplice e profonda; una guaritrice, che ben conosceva il potere delle erbe e delle radici per curare i “mali” femminili; e una fanciulla legata al culto delle acque e delle divinità acquatiche la cui presenza era “avvertita nei pozzi sacri, nei corsi d’acqua, negli alberi e nelle pietre”, e che all’epoca venivano adorate in forma di donna priva di veli, dalle forme morbide e rotonde, oppure in sembianze d’uccello, fra cui in particolar modo l’anatra… (18)
Spesso Onenne viene definita una guardiana d’oche, talvolta paragonata persino a una Fata-Anatra o a una Fanciulla-Oca, e in effetti lei simboleggia l’Anatra Sacra, la guardiana spirituale che si prende cura delle sue sorelle e veglia su di loro, così come l’anatra madre guida e protegge i suoi anatroccoli. A questo proposito si potrebbe ipotizzare che dietro l’immagine della processione alla fonte sotterranea dell’anatra bianca e dei suoi anatroccoli, si celi un antichissimo rito pre-cristiano, che Onenne e la sua sorellanza svolgevano ogni 30 aprile, vigilia della grande festa di Beltaine. E forse, nel silenzio incantato della notte, illuminate da fiaccole tremolanti e vestite di lunghi abiti bianchi, le fanciulle procedevano in fila, guidate dall’Anatra Sacra verso il loro luogo di culto, per onorare “colei che dispone dell’acqua delle fonti e delle sorgenti”, la Grande Madre nel suo aspetto di Dea Uccello antico-europea. (19)
Ma sebbene questi culti appartengano al passato, ciò che è esistito sopravvive nella memoria delle fonti e delle pietre, e la presenza di Onenne, come una bianca vergine piumata, si aggira ancora fra i muschi e i ruscelli della foresta incantata, per guidare le fanciulle verso la guarigione delle acque.
Nel riflessi delle sorgenti il suo spirito si svela, come un battito d’ali bianche che scostano un velo di nebbia.


***

Dedica:

La leggenda di Onenne narrata da Adolphe Orain termina con queste parole:
Così si concluse la vita di santa Onenne, non più conosciuta oggigiorno che dagli abitanti di Tréhorenteuc.”
Ebbene, ora la memoria di Onenne, e forse parte della sua vita com’era stata realmente, può essere conosciuta, ricordata e tramandata più di quanto non fosse prima.
Questa ricerca e questo testo, composto in quasi tre anni, sono in tutto e per tutto dedicati a lei.
A Onenne, con immenso affetto e gratitudine.
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Note:

1. Sulla vita storica di Onenne si conosce molto poco, in quanto non sono rimasti che brevi riferimenti all’interno di due genealogie sui Re di Dumnonia e di alcune biografie di altri santi bretoni vissuti nello stesso periodo. La genealogia quasi completa (manca il nome di uno dei fratelli) di Onenne è registrata nella storia della Bretagna così come segue:
Judael e Pritelle ebbero sedici figli e cinque figlie.
I figli erano: Judicael, Eoc, Eumael (Emmael), Judoc (Jadganoc), Doethwal, Worhael, Largael, Riwas, Rival, Judworet, Haeloc (Hailoc, Haelon), Winnoc (Wennoc), Wenian, Wenmael, Judael (nato dopo la morte del padre).
Le figlie erano: Urielle (Eurielle), Onenna, Bredwen, Cléor, Prwst.
(Le Baud Pierre, Le livre des Cronicques des Roys, Ducs et Princes de Bretagne Armoricaine, aultrement nommée la moindre Bretaigne).

2. L’abate Piéderrière, che scrisse una leggenda di Santa Onenne sulla base di un manoscritto del XVIII secolo, sosteneva che Onenne fosse fuggita dalla corte a causa del fratello, mentre Le Claire sosteneva la tesi dell’abbandono spontaneo del castello per propria vocazione religiosa (Abbé Le Claire, Jacques-Marie, Au Pays de Tréhorenteuc: Découverte de ruines gallo-romaines et chrétiennes, p. 70).

3. La citazione completa dice che Onenne “aveva anche alcune compagne ed era considerata come la badessa del piccolo convento” (Le Claire, op. cit. p. 71 n. 2). È invece Ropartz a sostenere che Onenne visse in solitudine, (Ropartz, Sigismond, Pèlerinage archéologique au tombeau de Sainte Onenne, in Revue de Bretagne et de Vendée) ma questa versione non collima con il resto della sua storia.

4. L’abilità di Onenne nella guarigione è riferita da alcuni noti autori moderni di storia e mitologia celtiche, come Jacques Brosse, il quale afferma che “In Bretagna una misteriosa santa Onenne guariva le donne da un’altra forma di escrescenza, che doveva essere l’idropisia, ma anche la conseguenza di un ‘fallo’” (Jacques Brosse, Storie e leggende degli alberi, p. 96) e Jean Markale, che riferisce che Onenne “Aveva poteri di guarigione che poteva esercitare (…)” (Jean Markale, Brocéliande: La forêt de Chevaliers de La Table Ronde)

5. Altre grafie usate sono Ovenn o Oven, le bretoni Onenn, Ounenn, Onenna, Onen, Onngwen o Omgwen, l’irlandese Onuen, e la cornica Onnwen. Onenne viene anche chiamata Gwenn, Nenna o Hwenna.

6. Queste parole vennero riferite da un vecchio fittavolo di nome Mathurin Petremoul, che abitava a Folle-Pensée, Paimpont, e che aveva visto la statua coi suoi occhi. (Le Claire, op. cit. p. 66 n 1). Egli riferì anche che la statua scomparve, e che nessuno sa cosa ne sia stato. Considerando però la fine che fece la bella Venere di Quinipily (vedi nota 7), non è azzardato pensare che, anche in questo caso, i missionari, offesi dalle nude e provocanti beltà della statua, abbiano deciso di distruggerla, magari gettandola in un lago profondo e augurandosi che con essa sprofondasse anche il suo ricordo.

7. La splendida Venere di Quinipily era un tempo una statua, raffigurante una donna nuda dall’aspetto dolce e florido, che apparteneva all’antico culto della grande Madre pre-cristiana. Non si hanno notizie precise sulla sua provenienza, probabilmente era gallica, ma è anche possibile che avesse origini romane o addirittura egiziane. Gli antichi che veneravano Colei che la statua raffigurava, la toccavano per ricevere benedizione e per essere guariti, le portavano doni perché propiziasse la fertilità, e talvolta gli amanti si congiungevano dinnanzi ad essa, perché concedesse loro di avere dei figli.
Questo culto si protrasse per molto tempo dopo l’avvento del cristianesimo, e gli ecclesiastici che assistevano a tali riti liberi e naturali ne erano sconcertati e sconvolti, e ritenevano la statua pericolosa e demoniaca. Per far cessare queste oscenità, questi provarono molte volte a distruggerla, senza però riuscirci mai, finché nel periodo che va dal 1661 al 1690, la gettarono nelle acque scure del Fiume Blavet. Allora si dice che gli antichi devoti la cercarono a lungo e infine la trovarono, traendola fuori dal lago e rinnovando l’antico culto dedicato ad essa.
La statua venne infine portata a Quinipily nel 1701, da due proprietari terrieri del posto – Lannion e Rohan – che desideravano di averla, e venne “restaurata” da Lannion, che la “vestì” con una stola per coprire le parti intime originariamente scoperte.
A tal proposito, però, in molti sostengono che la statua antica non venne mai recuperata dal fiume, poiché era stata definitivamente distrutta, e che quella odierna non sia altro che una riproduzione di Lannion basata sull’originale ma “adattata” alle esigenze dell’epoca. Purtroppo questa è la versione più attendibile, pertanto la Venere di Quinipily, ora esposta nel giardino di Baud, nel Morbihan – la stessa area geografica delle altre Veneri qui citate, e di Onenne – risale solo al 1701, e per quanto possa ricordarla non è l’originale.

8. Cfr. la descrizione de La Fontane Sainte Onenne sulla pagina: http://www.megalithic.co.uk/article.php?sid=28318 [1]

9. La leggenda cristiana narra che questi grandi massi in origine fossero dei monaci, i quali, per via della loro vita dissoluta e lontana dal rispetto dei voti monastici, furono rimproverati duramente da Saint Meen (540 – 617 d.C.), che li intimò di ravvedersi e di pentirsi per loro vizi sconvenienti. Essi però non vollero ascoltarlo, e un giorno, mentre danzavano gioiosi nella brughiera, furono tramutati in pietra. (Brocéliande – The Church of the Holy Grail in Tréhorenteuc [2])
Il racconto chiaramente non ha alcun fondo di verità, perchè se da un lato le pietre certo non furono monaci, dall’altro né il cristianesimo, né tanto meno Saint Meen, esistevano quando il cerchio di pietre fu eretto. Tuttavia il riferimento ad un gruppo di religiosi, che danzavano nella brughiera e conducevano una vita lontana dai precetti cristiani, potrebbe far pensare che il luogo fosse ancora frequentato nel VII secolo d.C. da coloro che praticavano le usanze pagane, e forse addirittura da un ordine di druidi che ivi si riunivano per onorare le feste stagionali con danze e celebrazioni gioiose.

10. Le Claire, op. cit. p. 70

11. Ibidem, p. 72

12. Ibidem, p. 70

13. Racconto di Jeanne Niobe, raccolto da Adolphe Orain in Sainte Onenne: Légende, pp. 94-102; riassunto da Alessandro Zabini e Violet.

14. Le Claire, op. cit. p. 72

15. La leggenda popolare afferma che Onenne morì a causa dell’idropisia, e apparentemente per questo motivo, nella storia dei santi e nella fede dei bretoni cristiani, la giovane donna era associata all’idropisia e invocata perché proteggesse dal venirne affetti. La statua di legno che nel XVIII secolo venne scolpita e posta sulla tomba della fanciulla, nella chiesetta di Tréhorenteuc, la raffigurava sdraiata, con le mani giunte e un ventre accentuato, come a voler intendere, al pari della leggenda, che Onenne fosse malata d’idropisia e per tale motivo fosse morta.
Tuttavia i documenti storici relativi alla fanciulla non accennano mai a questa malattia, e a questo proposito lo studioso Ropartz afferma che lei ne fosse stata associata solamente perché era divenuta seconda patrona di Tréhorenteuc, il cui primo patrono, Sainte Eutrope, per tradizione guariva proprio l’idropisia.
Eutrope e Onenne venivano inoltre festeggiati lo stesso giorno, il 30 aprile, ed è possibile che fra i due, nella coscienza degli abitanti del villaggio, fosse avvenuta una sorta di sovrapposizione di attributi, e che il legame con l’idropisia, da sempre appartenuto a Eutrope, fosse stato assegnato del tutto arbitrariamente anche a Onenne.
È anche importante notare che nei primi secoli del cristianesimo ai santi spesso veniva attribuito un potere terapeutico non tanto per le relative guarigioni che si pensava avessero compiuto in vita, ma in base alla somiglianza fra il loro nome e quello di certe malattie. Per esempio, San Meen era invocato contro una forma particolarmente virulenta di scabbia che colpiva soprattutto le mani, e questo suo potere derivava dall’assonanza fra “les mains” e “Meen”. E lo stesso San Eutrope veniva invocato contro l’idropisia per la similitudine fra Eutrope e “hydrope”, ovvero appunto “idropisia” (Cfr. Lobineau, Guy-Alexis, Les Vies des Saints de Bretagne)
È dunque probabile che nella tradizione popolare, nonché nella sua agiografia, Onenne fosse stata associata a tale malattia semplicemente perché da questa guariva il primo patrono di Tréhorenteuc, ma che lei non vi avesse nulla a che fare.
In alternativa, si potrebbe anche pensare che questo attributo fosse stato assegnato a Onenne per nascondere e camuffare le sue abilità erbarie, dato che sarebbe stato assolutamente inammissibile che una donna – o addirittura una santa – sapesse prevenire una gravidanza, o provocare un aborto. Per questo forse si preferì affermare che i “ventri rigonfi” che la fanciulla sapeva guarire erano quelli provocati dall’idropisia, e non certo da altre disdicevoli ragioni.
Al di là della leggenda, dai documenti storici non si conosce la causa della morte di Onenne, e tutto ciò che è riportato è che questa le giunse poco tempo dopo l’aggressione subita.
Riteniamo pertanto molto più credibile che Onenne non avesse mai avuto nulla a che vedere con l’idropisia, e che il suo culto più puro e antico riguardasse solamente il potere delle acque e la guarigione degli occhi, dei bimbi e delle donne.

16. Cfr. Ropartz, Sigismond, Pèlerinage archéologique au tombeau de Sainte Onenne, in Revue de Bretagne et de Vendée, Cinquième Année, X, 1861, p. 212

17. Dichiarazione della signora Math. Petremoul di Folle Pensée, Paimpont (Le Claire, op. cit. p. 68 n. 1)

18. Marija Gimbutas, Le dee viventi, p. 253.
Nello stesso capitolo da cui è tratta la citazione, si descrivono la religione e le divinità più antiche dei celti, in base ai reperti ritrovati nelle aree interessate, fra cui molti raffigurano uccelli acquatici, in particolare l’anatra.

19. Ibidem.


Fonti

Brosse, Jacques, Storie e leggende degli alberi, Pordenone, Studio Tesi, 1989

Cassard, Jean-Christophe, La femme bretonne au haut Moyen-Age, in Annales de Bretagne et des pays de l’Ouest, Tome 93, n. 2, 1986

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Du Rusquec, Henri, Noveau dictionnaire pratique et etymologique du dialecte de Léon, Paris, Leroux, 1895.

Du Taya, Aime Marie Rodolphe, Broceliande, ses Chevaliers et quelques legendes, Rennes, Vatar, 1839.

Fawtier, Robert, Ingomar, historien breton, in Mélanges d’histoire du Moyen Agen offerts à M. Ferdinand Lot, Paris, 1925.

Gaidoz, Henri, Sainte Onenne: Etude d’hagiographie bretonne, Zeitschrift für celtische Philologie, V, 1, janvier, 1905.

Gimbutas, Marija, Le dee viventi, Milano, Medusa, 2005

Grange, Isabelle, Métamorphoses chrétiennes des femmes-cygnes: Du folklore à l’hagiographie, in Ethnologie francaise, n. 2, avril-juin, 1983, pp. 139-150

Le Baud, Pierre, Le livre des Cronicques des Roys, Ducs et Princes de Bretagne Armoricaine, aultrement nommée la moindre Bretaigne, Prima Redazione, Rennes, Simon, 1910; Seconda Redazione, Paris, Alliot, 1638.

Le Claire, Jacques-Marie, Au Pays de Tréhorenteuc: Découverte de ruines gallo-romaines et chrétiennes, in Association Bretonne: Archéologie-Agriculture, Comptes-rendus, procès-verbaux, Mémoires, XXXIX, Saint-Brieuc, Prud’homme, 1928.

Le Gonidec, Jean Francois, Dictionnaire Celto-Breton, Angouleme, Tremeau, 1821.

Levot, Prosper-Jean, Biographie Bretonne, I, Vannes, Cauderan, 1852.

Lobineau, Gui Alexis, Histoire de Bretagne, II, Paris, Muguet, 1707.

Lobineau, Guy-Alexis, Les Vies des Saints de Bretagne, II, Paris, Méquignon Junior, 1836.

Loth, Joseph, Les noms des saints bretons, Paris, Champion, 1910.

Markale, Jean, Histoire de la France secrète, Vol. II Les grandes énigmes, Pygmalion, 2000

Markale, Jean, Brocéliande: La forêt de Chevaliers de La Table Ronde, fotografie di Yves Guépin, Paris, Berger-Levrault, 1984.

Morice, Hyacinthe, Memoires pour servir de preuves a l’histoire ecclesiastique et civile de Bretagne, I, Paris, Osmont, 1742.

Ogée, Dictionnaire historique et géographique de la province de Bretagne, II, Rennes, Deniel, 1853.

Orain, Adolphe, Sainte Onenna: récit de la gardeuse de vaches, in Revue de Bretagne et de Vendée IV, 8, Nantes, 1875.

Plaine, Francois, Vie inédite de saint Malo, évéque d’Aleth, écrite au IX siècle par Bili, évéque de Vannes, in Bulletin et Mémoires de la Société Archéologique du Département d’Ille-et-ilaine, XVI, Rennes, Catel, 1883.

Ropartz, Sigismond, Pèlerinage archéologique au tombeau de Sainte Onenne, in Revue de Bretagne et de Vendée, Cinquième Année, X, 1861.

Trépos, Pierre, Les saints bretons dans la toponymie, in Annales de Bretagne, LXI, 2, 1954.

Troude, Amable Emmanuel, Noveau dictionnaire pratique Breton-Francais du dialecte de Léon, Brest, J.B. & A. Lefournier, 1876.

Walter, Philippe, Brocéliande ou le génie du lieu : archéologie, histoire, mythologie, littérature, Presses universitaires de Grenoble, 2002

Siti web :
Jardin aux Moines [3]
Brocéliande – The Church of the Holy Grail in Tréhorenteuc [4]
Venere di Quinipily [5]

Innagine 1: La Foresta di Broceliande
Immagini 2, 3 e 4: La Fontaine Sainte Onenne, presso Tréhorenteuc, nel Morbihan (Bretagna Nord-occidentale)
Immagine 4: Bassorilievo che raffigura Onenne come Guardiana d'Oche, Tréhorenteuc


Testo di Violet sulla base delle ricerche e delle traduzioni svolte da Alessandro Zabini e Violet. Bibliografia a cura di Alessandro Zabini. È severamente vietata la riproduzione del testo, anche parziale, senza il permesso scritto dell’autrice e senza citare la fonte.




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  [5] http://www.bretagne-tours.com/en/index.php/110-venus-of-quinipily-pagan-statue-in-brittany-france