Il Tempio della Ninfa

Pastiera Napoletana

Articoli / Cucina
Inviato da Danae 12 Apr 2012 - 00:15

La leggenda narra che la Sirena Partenope, incantata dalla bellezza del golfo tra Posillipo e Vesuvio, avesse scelto lì la sua dimora. Ogni primavera ella emergeva dalle acque cristalline per salutare le genti del luogo, allietandole con canti d'amore.
Gli abitanti delle spiagge e dei dintorni erano affascinati dalla sua bellezza ultraterrena e dal suo canto limpido.

Un giorno, per ringraziare lei e il regno marino che concedeva pesca fruttuosa, decisero di offrirle quanto avevano di più prezioso.
Sette fra le più belle fanciulle dei villaggi officiarono il rito e consegnarono i doni alla bella messaggera del “mondo di sotto”: la farina, forza e ricchezza delle campagne; la ricotta, omaggio dei pastori; le uova, simbolo della vita che sempre si rinnova; il grano bollito nel latte, nutrimento dell'anima; l’essenza di fiori d’arancio in ricordo dei profumi terreni; la cannella afrodisiaca, in rappresentanza dei popoli lontani; e lo zucchero, per esprimere l'ineffabile dolcezza profusa dal canto di Partenope che sa attraversare i veli sottili tra i reami invisibili e il tempo umano.
La sirena sorridente s’inabissò e depose le offerte ai piedi degli Dei. Questi, commossi dall'amore di lei per le creature mortali, mescolarono con arte divina gli ingredienti, trasformandoli nella prima Pastiera.
Si dice persino che questa superò in dolcezza il canto della Sirena...

Da allora la Pastiera fu il dolce che simboleggiò il ritorno della Primavera. Le donne impastavano con amore i frutti copiosi che la Grande Madre donava loro dopo il lungo sonno invernale, levando le voci inebriate dai tanti profumi, in ricordo di Partenope. Mentre le sacerdotesse di Cerere portavano in processione l'uovo, simbolo di vita nascente.



Più tardi al posto del grano si usò il farro, usanza derivata dal pane di farro tipico delle nozze romane dette “confarratio”. Un’altra ipotesi la fa risalire alle focacce rituali che si diffusero all'epoca dell'imperatore Costantino, derivate dall’offerta di latte e miele, che i catecumeni ricevevano nella notte di Pasqua.
La versione recente narra che fu inventata da una monaca di un convento napoletano, la quale unì alla ricotta una manciata di grano che, sepolto nella bruna terra, germoglia e risorge splendente come il sole. Ella aggiunse le uova, simbolo di nuova vita, l’acqua di fiori d’arancio odorosa come la primavera, il cedro e le aromatiche spezie venute dall'Asia.
Le suore del convento di San Gregorio Armeno erano reputate maestre nel confezionare il dolce tipico e nel periodo pasquale ne impastavano per le mense delle dimore patrizie e borghesi.
Ogni massaia napoletana che si rispetti si ritiene detentrice dell'autentica ricetta della pastiera. La più antica scuola di cucina insegna a mescolare alla ricotta semplici uova sbattute, la seconda raccomanda di mescolarvi una densa crema pasticciera e diversi canditi.

Si racconta che Maria Teresa D'Austria, consorte del re Ferdinando II di Borbone, soprannominata dai soldati “la Regina che non sorride mai”, cedendo alle insistenze del marito ghiottone, assaggiò una fetta di Pastiera e non poté fare a meno di sorridere, compiaciuta alla bonaria canzonatura del Re!

La storia di Maria Teresa in rima napoletana:

A Napule regnava Ferdinando
Ca passava e’ jurnate zompettiando;
Mentr’ invece a’ mugliera, ‘Onna Teresa,
Steva sempe arraggiata. A’ faccia appesa
O’ musso luongo, nun redeva maje,
Comm’avess passate tanta guaje.
Nù bellu juorno Amelia, a’ cammeriera
Le dicette: “Maestà, chest’è a’ Pastiera.
Piace e’ femmene, all’uommene e e’creature:
Uova, ricotta, grano, e acqua re ciure,
‘Mpastata insieme o’ zucchero e a’ farina
A può purtà nnanz o’Rre: e pur’ a Rigina”.
Maria Teresa facett a’ faccia brutta:
Mastecanno, riceva: “È o’Paraviso!"
E le scappava pure o’ pizz’a riso.
Allora o’ Rre dicette: “E che marina!
Pe fa ridere a tte, ce vò a Pastiera?
Moglie mia, vien’accà, damme n’abbraccio!
Chistu dolce te piace? E mò c’o saccio
Ordino al cuoco che, a partir d’adesso,
Stà Pastiera la faccia un po’ più spesso.
Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno;
pe te fà ridere adda passà n’at’ anno!”

Traduzione in italiano:

A Napoli regnava Ferdinando,
il quale passava le giornate zompettiando*
mentre invece la moglie, Donna Teresa,
era sempre arrabbiata. Faccia triste (“senza espressione”, “appesa” appunto),
muso lungo, non rideva mai,
come se avesse passato tanti guai.
Un bel giorno Amelia, la cameriera
le disse: “Maestà, questa è la Pastiera,
piace alle donne, agli uomini e a tutte le creature,
uova, ricotta, grano e acqua di fiori,
impastata insieme allo zucchero e farina
la puoi portare davanti al Re: e pure alla Regina”.
Maria Teresa rispose con una brutta faccia (non convinta):
masticando diceva: “È il Paradiso!”.
E le scappò un mezzo sorriso.
Allora il re disse: “E che marina!
Per farti ridere ci vuole la Pastiera?
Moglie mia, vieni qua, abbracciami!
Questo dolce ti piace? Adesso che lo so
ordino al cuoco che, d’ora in poi,
faccia un po’ più spesso questa Pastiera.
Non solo a Pasqua, altrimenti è un danno;
per farti ridere deve passare un altro anno!”.

* per “zompettiando” non c'è una traduzione adatta, mi sembra sia inteso come “zompettare” nel senso di “dilettarsi”.

La storia delle suore e dei re potrebbe essere una reminescenza dei tempi passati: la Primavera rigogliosa festeggiata di villaggio in villaggio e cantata da libere donne in gioiosi rituali.
I monasteri hanno sempre tenuto per sé antichi segreti di cucina, di arte e di medicina. Molti libri venivano bruciati, ma molti anche nascosti. Le monache, così come i frati, hanno forse in qualche modo mantenuto saperi e conoscenze ben più remote, appannaggio di antichi ordini sacerdotali femminili. Così è giunta fino a noi la leggenda della Pastiera.

***

Il nome Pastiera deriva dall’abitudine di usare al posto del grano cotto la pasta cotta, in tempi relativamente recenti. In realtà il termine “pastiera” ben si addice agli ingredienti base, spontaneamente uniti insieme in “paste”, come soleva dire mia nonna.

Quella qui ricostruita cerca di essere la ricetta più vicina all'antica tradizione, senza canditi o qualsivoglia pasticcio culinario, semplice e naturale, come usava fare la mia vecchia nonnina... Anche lei vantava la sua ricetta! Non riporto quasi mai le quantità perché relative, indicativamente consultare un buon libro di cucina.

Ingredienti per il ripieno:

* essenza di fiori d'arancio
* burro (o strutto)
* grano cotto (preparato in barattoli o fatto in casa)
* cannella
* due limoni non trattati
* latte
* ricotta di mucca
* uova
* vanillina
* zucchero bianco
* sale

Ingredienti per la pasta frolla:

* burro (o strutto)
* farina 00
* uova
* zucchero
* vanillina
* sale

Nota: latte e derivati rigorosamente freschi! E bio se possibile.

Preparazione:

Versare in una pentola capiente un po’ di latte, un pezzetto di burro e grattarvi la buccia di un limone. Mescolare a fuoco lento per far sciogliere i grumi, finché diventi una crema.
Frullare a parte tanta ricotta e un poco di zucchero, cinque uova intere e due tuorli, una bustina di vaniglia, l'estratto di fiori d’arancio, una spolverata di cannella e un pizzico di sale. Lavorare il composto fino a renderlo omogeneo e liscio. Aggiungere la buccia grattugiata dell’altro limone e il grano cotto, mescolando bene.
Lasciar riposare in modo che i profumi e i sapori si intreccino.
Intanto, preparare la pastafrolla con farina, tre uova, zucchero e burro. Formare due impasti senza lavorarli troppo, uno grande e uno piccolo. Distendere quello grande con il mattarello e rivestire con questo una teglia precedentemente imburrata e infarinata, badando a far uscire un pochino il perimetro della pasta. Distribuire quindi il composto di ricotta e grano in maniera uniforme e aggiustare il cerchio di pastafrolla in maniera che il ripieno non fuoriesca.
Infornare a bassa temperatura per fare rapprendere la torta (il forno deve essere già caldo) per una decina di minuti. Sfornare e con la pastafrolla rimasta formare tante piccole strisce: deporle a griglia sopra il dolce. Rimettere in forno a temperatura moderata per un’ora, fino a quando la vostra pastiera si colorerà d’ambra.
Spegnere il forno e lasciarla raffreddare lì, con un piccolo spiraglio aperto. La casetta si inonderà di un profumino delizioso e invitante. Servire con una spolverata di zucchero a velo per i più golosi e gustare a temperatura ambiente.
Ma ricordare che il troppo zucchero toglie gusto al tenero grano e a quello sfizioso della ricotta!

La torta è uno dei tanti dolci primaverili da preparare e assaporare in compagnia, in ricordo di Partenope, degli Dei, delle Donne e degli Uomini che insieme hanno creato la dolce Pastiera.
Può sostituire un pasto completo, poiché ricca dei tipici sapori mediterranei, ed essere gustata sola o insieme a una fumante tazza di infuso di spezie o tè.

Tra le fonti:

http://ricette.giallozafferano.it/Pastiera-napoletana.html [1]
http://www.pastiera.it/ricetta.htm [2]

Testo liberamente ispirato alle ricette e ai racconti della mia nonnina napoletana, scritto in suo ricordo.




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