Il Tempio della Ninfa

Incroci: Visioni nell’acqua e nel fuoco

Articoli / Racconti
Inviato da Alessandro 13 Mar 2009 - 23:23

«Il canto quieto del caprimulgo mi giunge nel dormiveglia. Prima che si oda nuovamente, nell’osservare il pallore azzurrogrigio dell’aurora, scivolo di nuovo nel sonno. Non sono più distesa nel mio letto. Sono in piedi, avvolta in un mantello, all’estremità di un portico. Osservo gli archi, i capitelli, le volte, poi guardo attorno. Fisso le acque verdi nel canale fiancheggiato d’alberi. Volgo le spalle alla corrente e m’incammino senza esitare.»

Al crepuscolo di luna piena, dal bosco, giunse il canto suggestivo del caprimulgo. Solo, nel silenzio di una stanza buia in cui rosseggiavano alcune candele, mentre una gatta bianca, seduta immobile sul davanzale, guardava lontano con occhi verdi, sedevo a fissare i riflessi di fuoco sull’acqua limpida, e fra le sue trasparenze lo sfavillare mutevole delle pietre sul fondo del braciere di rame e d’ottone dai fiochi luccichii. A poco a poco la diafanità sfavillante d’oro rosso, di eliotropio e di berillio, si offuscò e si sciolse nell’immagine di un portico di archi a tutto sesto, con le campate esternamente ornate di lesene e coronate di frontoni triangolari. Là, nell’ombra e nel vento, all’imbrunire, vidi una donna dalla chioma fosca, avvolta in un ampio mantello viola. Indugiò per alcuni istanti a guardare intorno, poi s’incamminò nell’ombra del portico, allontanandosi da un canale orlato d’alberi fruscianti di foglie cadenti nel vento. Risolutamente proseguì fino ad un grande arco a tutto sesto, all’incrocio di due strade.

*
«Sento il canto quieto del caprimulgo all’aurora, mentre scivolo nel sonno e nel sogno. Nella foresta, al crepuscolo, suoni, odori e colori sono inebrianti. Mi scuote qualcosa d’ineffabile e d’incontrollabile. Mi accorgo di essere un altro, folto e morbido di pelliccia, irto di zanne, tagliente d’artigli, membra scattanti e aggraziate, andatura felpata e possente.»

Soltanto le tre note del caprimulgo giungevano dal bosco al tempio silenzioso, nel crepuscolo, mentre le mie compagne danzavano in cerchio a ritmo lento di percussioni e di sonagli, in attesa della luna piena, ed io, seduta, fissavo il fuoco perenne. Poco a poco, nel fluttuare sfolgorante di lingue e di vampe, vidi un giovane camminare in una foresta, all’imbrunire, e diventare felino, osservato da un nume sorridente nell’oscurità frusciante del fogliame. Poi si addentrò fra le ombre della selva e i veli d’argento del plenilunio, sino a un guado.

*
«Arrivo in fondo al portico, sotto un grande arco presso un incrocio. A destra sale una gradinata. A sinistra corre, apparentemente interminabile, la lunghissima teoria d’archi di un loggiato lastricato. Non provo esitazione alcuna, né smarrimento. So, con feroce determinazione, dove andare. Cammino a lungo, fino ad alcuni gradini stretti e ripidi. Anche se il loggiato prosegue ombroso a perdita d’occhio, so di doverlo abbandonare.»

La vidi scendere i gradini del loggiato nel vento silenzioso, presso un crocicchio deserto, screziato da ombre di nubi in fuga nel crepuscolo grigio. Un fosco cancello metallico si dischiuse dinanzi a lei senza una spinta né un tocco. Larghi sentieri ghiaiati salivano a destra, nel verde scuro di un bosco, e a sinistra, sul verde chiaro di un prato a gradoni.

*
«Il fiume può essere attraversato soltanto qui. Sulla sponda opposta, presso una pianta ombrosa e frondosa, forse una quercia, o forse un rovo, numerose ombre nere impediscono il passaggio, armate di bastoni e forse di lame. Quando entro nel guado, un’ombra avanza veloce. Ci scontriamo, immersi nell’acqua verde fino alla coscia, e l’ombra cade, subito rapita dalla corrente venata di quello che potrebbe essere sangue. Un’altra tenta di fermarmi, eppure giungo a riva, dove altre ancora mi assalgono tutte insieme.»

Le ombre sciamarono con suoni attutiti di fioche lame folgoranti, tonfi di passi pesanti e lievi, ansimare e ringhiare nella lotta vorticosa: quasi una danza. La belva dalla lunga chioma sferzante scattava e turbinava fra le ombre dai foschi mantelli sventolanti. Tutt’intorno al mulinare di mani laceranti, dita perforanti, gomiti che schiantavano e ginocchia che stordivano, piedi falcianti, le ombre cupe cadevano come giunchi secchi nel vento impetuoso. Una pioggia fitta cadde sul guado all’alba, prima che una donna di alta statura, dai capelli corvini, abbigliata di grigio, comparisse ad osservare con occhi azzurrogrigi, immobile fra le foglie cadute, marroni, gialle, rossocupe, imperlate di gocce luminose.

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«Varcato il cancello, salgo sulla morbidezza cedevole degli aghi rugginosi ammassati al suolo, verso l’ombra densa, umida e fresca di antichi abeti verdescuri, la quale avvolge un’antica porta in legno nel muro di mattoni, alla base del tumulo in cui affondano le radici. Anche questa porta si apre dinanzi a me senza che la tocchi.»

Ammantata di luce d’argento e di fuoco viola, chioma corvina fulgente d’azzurro, sguardo di folgore nera, mormorio di tuono, ondeggiante mantello viola, la donna discese nella tenebra di una galleria dalle pareti lastricate di pietre scolpite a segni spiraliformi.

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«Ferali dardi silenziosi saettano nella brezza purpurea, e dagli accessi sotto gli sparsi arbusti verdecupo, rossi guerrieri seminudi dalle lunghe chiome nere e misteriosi medaglioni scintillanti sul petto, balzano come spettri vagamente profilati nell’aurora purpurea.»

Abbattuto, si rialzò, non rinunciò, continuò a combattere, e così per tutta la notte assaltò le ombre e i guerrieri che gl’impedivano il passaggio, finché, nella luce grigia dell’alba, fu di nuovo in acqua, e di nuovo cadde, circondato. Allora la donna dai capelli corvini, avvolta nel mantello grigio, entrò nel guado sotto un volo di cornacchie roteanti. Dinanzi a lei, le ombre indietreggiarono.

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«Le belve si acquattano e le porte si spalancano al mio passaggio. I guerrieri depongono le armi e s’inchinano mentre mi appresso. Il cupo sovrano del regno ipogeo indietreggia e si allontana, ritirandosi dinanzi a me nell’oscurità più densa. Finalmente abbraccio la fanciulla in attesa, rendendomi conto che non rammenta. Così la prendo per mano. Insieme proseguiamo il cammino, sempre più ripido fra lastre di pietra scolpita, senza tempo.»

Attraverso una siepe alta e scura, la donna e la fanciulla emersero dall’oscurità sotto il cielo greve di un’alba grigia e ventosa, nell’aria umida di pioggia imminente, sulla cima di un poggio coronato di grigie pietre erette, basse, verdi e gialle di muschi e di licheni. Ripresero a camminare verso un trivio ventoso nella brughiera, dove si udivano, lontani, i gabbiani, il vento e la risacca sulle rocce.

*
«Mi fissa con occhi grigioazzurri e mi porge sostegno. Incapace di sostenerne lo sguardo, afferro la mano bellissima e forte. Nell’istante in cui mi aiuta a sollevarmi, le si scopre un braccio tornito in forma tale da rivelarne la natura divina. Le ombre e i guerrieri paiono dissolversi nell’oscurità e sprofondare nella terra da cui sono affiorate, mentre l’alba ingrigisce e lei mi conduce alla riva. Nei velami di pioggia che accarezzano il brugo rosa, purpureo di fiori stillanti, camminiamo fianco a fianco nella brughiera, sotto un volo di cornacchie, sino ad un villaggio di case erbose come alture.»

Là, fra gli abitanti abbigliati di verde, egli scambiò uno sguardo con una fanciulla, scortata da una donna corvina, avvolta in un mantello viola. Poi, imbrattato di sangue, si accostò alla fonte per lavarsi, abbassò gli occhi alla vasca, scrutò la superficie luccicante come specchio. Attraverso veli di fuoco e d’acqua ne vidi il viso. Allora mi guardò e mi vide a sua volta. L’acqua perse trasparenza, l’immagine si dissolse, il fuoco rosseggiò. Le mie compagne cessarono di danzare, mentre il canto quieto del caprimulgo ritornava dal bosco tenebroso, al crepuscolo.

*
«Nella brezza grigioazzura che accarezza il brugo rosa, purpureo di fiori rugiadosi, presso una fonte chioccolante, attraverso una campagna a ridosso dell’oceano, lungo un fiume al confine fra pianura e colli boscosi, torniamo ad un villaggio di case erbose come alture. So che è un ritorno, per lei e per me. Entrambe siamo a casa.»

Là, fra gli abitanti abbigliati di verde del villaggio erboso, un giovane imbrattato di sangue e sudore osservò la fanciulla. Si scambiarono uno sguardo. Poi lui si lavò nell’acqua della fonte e lei sedette presso il fuoco. Accanto a lei rimase la donna dalla chioma corvina, la quale volse gli occhi di folgore nera al fuoco, soffermandosi a scrutarlo. Attraverso veli d’acqua e di fuoco ne vidi il viso. Allora mi guardò e mi vide a sua volta. Il fuoco si spense, l’immagine si dissolse, l’acqua illimpidì. La gatta bianca ruotò lentamente la testa a fissarmi con occhi verdi, mentre il canto quieto del caprimulgo ritornava dal bosco tenebroso, al crepuscolo.

*
«Vedo uno sconosciuto guardarmi da un altrove ignoto, che pure mi pare familiare. D’improvviso mi desto e sento un chiocciare, percepibile soltanto a breve distanza, seguito da una nota risonante, un’altra più fievole, la terza ancora sonora: il canto di quiete del caprimulgo, ripetuto all’alba.»



Frammento scritto da Alessandro Zabini. Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso dell'autore e senza citare la fonte.



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