Il Tempio della Ninfa

Il Processo di Triora

Articoli / Storia
Inviato da Violet 28 Mag 2006 - 05:21

Triora, il Paese delle Streghe, è un piccolo borgo dell’entroterra ligure, aggrappato al ripido versante della montagna e immerso in una rigogliosa vegetazione che cresce libera lungo i pendii e ai margini delle strette e tortuose stradine.
La quiete e il canto dei grilli accompagnano lungo i sentieri che conducono alla parte vecchia del paese, dove, tra le rovine di antiche case medievali, sembra ancora di udire frammenti di parole e voci femminili trasportate dal vento, eco lontane che risvegliano il ricordo di vite vissute fra quelle stesse mura nel lontano anno 1587.

Era il tempo del raccolto sul finire di un’altra rovinosa estate, quando gli abitanti di Triora, stremati dalle carestie, dalle malattie e dalla moria del bestiame che da oltre due anni imperversavano sul loro paese, iniziarono a cercarne la causa in alcune donne del posto, abitanti del quartiere povero e famose per le loro riunioni notturne nei pressi delle sorgenti e della Ca Botina. Quelli che inizialmente erano nati come superstiziosi sospetti si trasformarono presto in un’accusa unanime e il verdetto fu reso pubblico. Quelle donne dovevano essere streghe e la colpa di tutte le disgrazie era senz’altro loro.
Fu così che ebbe inizio la spietata caccia che ancora oggi viene considerata tra le più terribili, paragonabile a quelle perpetrate in epoca successiva a Salem, nel New England, e a Loudon, in Francia.

In seguito alla riunione del Parlamento triorese, che aveva trovato nelle streghe il capro espiatorio di ogni sciagura passata e presente, venne incaricato il forestiero Podestà Stefano Carrega di procedere contro le povere malcapitate. Fu così che nell’ottobre dello stesso anno giunsero nel borgo il vicario dell’Inquisitore di Genova e quello del vescovo di Albenga, Girolamo Del Pozzo, il quale celebrò subito una funzione durante la quale inveì con ferocia contro le terribili e spregevoli nefandezze provocate dalle streghe, e scatenò in tal modo il terrore e le violente reazioni dei fedeli suggestionati, che presto cominciarono a “rivelare” i primi nominativi delle possibili colpevoli.
Circa una ventina di donne vennero imprigionate in alcune delle abitazioni del posto, adibite a carcere per l’occasione – la Ca’ de Baggiure o Casa delle Streghe, e la Ca’ di Spiriti – e successivamente tredici di esse, più quattro ragazzine e un bambino, vennero dichiarati colpevoli.
Le torture subite dalle accusate, che avevano lo scopo non solo di far confessare le colpe ma anche di ottenere ulteriori nominativi, furono terribili.
Prima fra tutte il tormento della corda, una pratica atroce che consisteva nel legare le braccia della sfortunata dietro alla schiena per mezzo di una corda che veniva passata per una carrucola fissata al soffitto. La donna, così legata, veniva sollevata ad una certa altezza e poi lasciata cadere quasi fino al pavimento: la corda veniva infatti improvvisamente trattenuta, provocando violenti e dolorosissimi strappi alle articolazioni. Oltre alla tortura della corda le povere accusate erano sottoposte a quella della veglia, nella quale erano costrette a rimanere sveglie per oltre quarantacinque ore, e a quella del fuoco, che veniva appiccato sotto ai loro piedi e che causò ad alcune di esse ustioni gravissime e l’impossibilità permanente di camminare. Le presunte streghe venivano poi depilate in ogni parte del loro corpo e umiliate in ogni modo possibile. Non sorprende, quindi, il fatto che una delle donne accusate, l’ultrasessantenne Isotta Stella, morì in seguito ai tormenti subiti, e che un’altra delle prigioniere tentò di fuggire da una finestra per sottrarsi ad ulteriori supplizi, cadendo da un’altezza troppo elevata e morendo anche lei dopo poco tempo.
Più che a seguito questi due tristi episodi, il popolo rimase scosso soprattutto per la diffusione di altri nominativi di presunte streghe, che le accusate avevano rivelato in preda al delirio e al dolore delle torture, e che questa volta interessavano anche i ceti borghesi del paese…
Il Consiglio degli Anziani, non potendo accettare un simile scandalo, decise quindi di intervenire inviando una lettera al Doge e ai Governatori della Repubblica di Genova (13 gennaio1588), sia per protestare circa l’operato dei due vicari, giudicati non imparziali – “contra la più parte di esse procedono per nominatione che fanno simili incarcerate, senza darli diffese alcune né copia d’indicij” – sia per richiedere che venissero presi provvedimenti a riguardo, poiché se costoro avessero continuato a dar credito alle denunce senza prima valutarle seriamente, tutti i paesani avrebbero dovuto lasciare le loro case per sfuggire alla persecuzione.
Alla richiesta di spiegazioni immediate da parte del Vescovo di Albenga, il suo vicario Del Pozzo rispose con una lunga lettera dettagliata, nella quale i tentativi di discolparsi e di garantire il suo buon operato e la sua buona fede, nonostante la realtà dei fatti, erano oltremodo enfatizzati, e la morte delle due prigioniere veniva giustificata in modo grottesco quale conseguenza della loro fede nel diavolo. Inoltre il vicario assicurò al Consiglio degli Anziani di Triora che non avrebbe proceduto contro le “matrone” del borgo, e questo bastò non solo a calmare le acque ma anche a far rivalutare tutto l’operato di Del Pozzo, del quale venne persino esaltato il comportamento.
Lo stesso Podestà Stefano Carrega, in data 20 gennaio 1588, scrisse una missiva in cui difendeva i processi contro le streghe e ribadiva: “la volontà di questo populo è sempre statta et è cotali malefiche totalmente si estirpino et si erdadichino da questi paesi e tutti ad alta voce in parlamento congregati hanno acceso animo e gridato e di continuo gridano che si estirpino”.
Ciò nonostante, il popolo di Triora chiedeva ora che la faccenda venisse conclusa al più presto, ma alla fine di gennaio i due vicari abbandonarono il posto senza procedere come avevano promesso e lasciando le prigioniere a patire in carcere, e soltanto ai primi di maggio venne mandato sul posto il Capo Inquisitore ad ascoltare le donne per far luce sulla questione.
Le povere accusate negarono allora tutto ciò che avevano ammesso sotto tortura, ma vennero comunque trattenute, a parte una tredicenne che abiurò in Chiesa e venne liberata. La questione, quindi, non aveva ricevuto nessun tipo di svolta.
Mentre il nuovo Podestà, Gian Battista Lerice, prendeva disposizioni per il trasferimento a Genova delle tredici streghe e del ragazzino, che era previsto per il 27 giugno, il commissario straordinario Giulio Scribani, inviato a Triora dal Governo genovese all’inizio dello stesso mese, iniziò a lavorare per quella che sarebbe dovuta essere una conclusione delle questioni ancora aperte, ma che si rivelò qualcosa di molto diverso.
Scribani, infatti, diede inizio ad una caccia personale ancora più spietata, animata da un’ossessione quasi morbosa verso le presunte streghe, e la estese non più soltanto a Triora ma anche ad altri paesi limitrofi, procurandosi altre presunte colpevoli.
I reati che egli attribuiva loro erano sostanzialmente tre: l’aver rinnegato Dio, la Vergine e i Sacramenti, l’aver avuto rapporti blasfemi e lussuriosi con il diavolo e l’aver ucciso donne e bambini per mezzo delle arti magiche.
Le prime vittime della foga di Scribani furono di nuovo torturate crudelmente e quattro di esse, residenti in Andagna, con o senza tortura confessarono terribili atrocità e delitti compiuti in nome del demonio. Il commissario, pertanto, ne richiese la condanna al rogo, ma il Governo genovese, per nulla convinto, assegnò a Serafino Petrozzi il compito di auditore e consultore della questione. Quest’ultimo si oppose alle proposte di pena dello Scribani perché le prove riportate erano incerte e insufficienti e i Governatori di Genova (1 agosto 1588) invitarono il commissario a fornirne di nuove, verificando che ciò che le donne dicevano sotto tortura non fosse suggerito dagli interlocutori.
Lo Scribani però, rispondendo all’invito una settimana dopo averlo ricevuto, non poté fornire altre prove sui terribili presunti omicidi – non solo di innumerevoli bambini ma anche di adulti e bestiame – confessati dalle donne e dovette rassegnarsi a rivedere i processi. Successivamente richiese di nuovo la condanna a morte non solo per le quattro prigioniere di Andagna ma anche per una ragazzina di tredici anni che avrebbe dovuto essere trasferita in convento, ma a questo punto il Governo genovese si oppose e, dopo aver assegnato la ragazzina ad un curatore, inviò altri due giudici a prendere parte alle indagini.
Mentre altre donne morivano per la prigionia, gli stenti e le torture continuamente subite, i nuovi giudici, contrariamente a quanto previsto, approvarono le sentenze di morte espresse da Scribani per le quattro streghe di Andagna e per altre due di Badalucco e Castelfranco, e la Repubblica accettò che la pena capitale venisse eseguita per cinque di loro. Fu allora che intervenne il Capo Inquisitore a rivendicare il diritto della Santa Inquisizione a occuparsene personalmente.
Nell’ottobre 1588 le cinque streghe vennero trasferite nel carcere di Genova e si unirono alle altre tredici che vi erano rimaste durante i mesi precedenti.
I ritardi nella vicenda non erano però ancora finiti e altre cinque delle diciotto prigioniere morirono in carcere.
Solo nell’aprile 1589 arrivò l’ordine della Santa Inquisizione di concludere definitivamente il processo e di tenere in vita le donne che venivano ora definite Sudditi della Signoria. Successivamente, nell’agosto dello stesso anno, il processo ebbe finalmente termine.

Giulio Scribani, in seguito al suo operato, venne scomunicato per le ingiustizie inferte alle donne, ma fu presto assolto.
Nonostante non si abbiano notizie certe su ciò che potrebbe essere accaduto alle tredici prigioniere rimaste in vita, si può presumere che siano state liberate e che abbiano potuto riprendere a vivere una vita normale. Per quanto possibile.

***

Di seguito ricordiamo i nomi, tra quelli resi noti, di alcune delle donne e del bambino che furono vittime del Processo di Triora:

Isotta Stella
Franceschina Ciocheto
Gioanina Ricolfa
Catareina del Borigio e sua sorella Luchina
Gioaninetta Guerra e sua figlia Magdalena
Battestina moglie di Giovanni Giauna
Battestina Stella
Battestina Augera
Agostina Carlina
Domeneghina Borella
Maria Matellona
Biagio Verrando
Caterina moglie di Marco Cappone Bosio
Bianchina, Battistina e Antonina Vivaldi-Scarella
Gentile di Castelfranco
Luchina moglie di Paolo Rosso
Pierina Bianchi

Franchetta Borelli


Quest’ultima divenne il simbolo di tutto il processo triorese e tuttora viene ricordata, con ammirazione e affetto, per aver resistito alle torture senza mai confessare e per essere stata infine liberata.

***

…io stringo li denti, e poi diranno che rido.”
Franchetta Borelli

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Alcune foto dell'antico borgo di Triora:












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Per approfondire vedi l'articolo con il resoconto dettagliato delle vicende di Triora: La storia di Triora, dalla prima età moderna al 1815 [1], Andrea Gandolfo


Fonti

Bagiue, le streghe di Triora. Fantasia e realtà. Sandro Oddo. Pro Triora Editore
Streghe di Liguria, Laura Rangoni
Il libro nero della caccia alle streghe, Vanna De Angelis, Piemme, 2004
Le streghe, Vanna de Angelis e Ermanno Gallo, Piemme, 1999
Il processo del 1587, Ippolito Edmondo Ferrario, contenuto nel sito www.triora.org [2]
La storia di Triora, dalla prima età moderna al 1815 [3], Andrea Gandolfo

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