Il Tempio della Ninfa

LA DAMA DEL LAGO

Articoli / Avalon
Inviato da Violet 08 Apr 2008 - 01:53

Breve introduzione alle Dame del Lago [1]

La Dama del Lago, Bianca Signora delle Acque

Il mio nome riposa, immobile, nelle profondità del lago.
Lo lasciai scivolare verso i preziosi fondali, abbandonando, con esso, le memorie del tempo trascorso.
Sciolti i lunghi capelli, scrutai la superficie acquorea e scoprii l’immagine di un volto che più non possedeva sguardo di donna.
La dolce trappola umana era svanita dagli occhi. Al suo posto, un bagliore smeraldino illuminava debolmente lo specchio d’acqua.


Carezzai il mio amato lago ed esso fu la mia Dimora.
Nell’approssimarsi dell’alba mi donai al suo Spirito
trascinando con me la lunga veste bianca,
discendendo verso i reami lontani…

Nella quiete della sera, la luna chiama ancora la mia Anima ad emergere…

Porgete l’orecchio alle acque…
vi recheranno
le dolci eco
del mio Canto eterno.




Esiste un luogo, oltre la bianca coltre di nebbia, in cui lo Spirito d’Argento vive d’un perenne respiro…
Ornata del sacro Velo, Colei che lo reca in sé si cela agli occhi degli uomini, eppure vive da sempre, osservando segretamente il lento mutare del Tempo.
Ne conserva il Centro luminoso. Il Fuoco che brilla d’oro nelle scure profondità del lago.
Dalle sue dita i fili del Destino si dipanano e, intrecciandosi, disegnano le storie di antichi Cavalieri…

Ella è la Dama del Lago, misteriosa creatura partorita dall’unione della Donna con la Dea delle acque. La sua storia è narrata, o solamente accennata, in diverse opere arturiane, prima fra tutte il Lanzelet di Ulrich von Zatzikhoven, composto in lingua tedesca sul finire del XII secolo.
Tra queste pagine si delineano le vicende del bel Lanzelet (Lancillotto), le sue avventure, la ricerca del Graal, gli amori, nonché il suo misterioso rapimento, in tenera età, da parte della bellissima Dama acquatica.
Il romanzo narra che Re Pant di Genewis, si trovava nel suo castello, circondato dai nemici e gravemente ferito. Il cibo venne a mancare e il Re dovette decidersi a fuggire, insieme alla sua regina, Clarine, e al loro bimbo, di un solo anno d’età.
Per il gran dolore d’aver perduto il castello ed i suoi possedimenti, il re non riusciva a reagire e Clarine, per alleviare un poco la sua sofferenza, gli offrì una coppa riempita dell’acqua che sgorgava da una vicina fonte. Ma non appena il re la bevve, morì, lasciando Clarine e il bambino soli e spaventati nella foresta.
Non lontano da lì, un lago incantato bagnava la terra e la regina si nascose vicino ad esso, tra le radici di un grosso albero. Allora successe che una splendida Donna, simile ad una sirena, emerse dalla nebbia leggera sospinta dal vento, e prese il bimbo dalle braccia della regina, stringendolo teneramente fra le proprie.
A nulla valsero le preghiere disperate della donna… la Dama non proferì parola e portò Lanzelet via con sé, sparendo misteriosamente nel luogo da cui era venuta.

La Dama che proviene dalle acque è qui descritta come una fata molto saggia, una sirena dalla bellezza indicibile a cui nulla può essere negato. È la Regina del Regno delle Fanciulle, un luogo in cui la primavera non lascia mai spazio all’inverno e la dolcezza non è mai sostituita dalla malinconia. Il suo ineffabile castello, interamente dorato tanto da brillare come un’immensa costellazione di stelle, sorge su un monte di puro cristallo ed è circondato dall’acqua e da una muraglia talmente imponente che nessuno avrebbe mai potuto penetrare al di là di essa, se non da un unico cancello oltre un magnifico ponte di diamante.
La Regina vive con ben diecimila dame altrettanto belle e cortesi, nessuna delle quali ha mai veduto un uomo terrestre. Le loro dimore sono tanto grandi e belle da non avere eguali ed esse non hanno mai alcun motivo per essere arrabbiate, oppure tristi o invidiose l’una dell’altra, perché la pienezza e la luminosa felicità le colma costantemente e non le abbandona mai.
Secondo le leggende, chiunque fosse entrato nel Regno della Fanciulle e vi avesse trascorso un intero giorno, non avrebbe patito più alcuna sofferenza e sarebbe vissuto nella gioia perenne sino alla fine dei suoi giorni.
Trascorrendo la sua infanzia in questo regno incantato, Lanzelet viene allevato dalla Regina e dalle altre dame, le quali lo istruiscono su tutte le arti cortesi, come l’amore e la gentilezza da riservare alle donne, le buone maniere, la musica ed il canto. Gli viene insegnato a suonare l’arpa, il violino (“fiddle”, l’antico violino celtico) e diversi strumenti musicali, per allietare l’orecchio e il cuore; poi la Dama assegna al ragazzo altri maestri perché apprenda le arti maschili: il combattimento con la spada, il tiro con l’arco, la corsa, il salto, la falconeria e la caccia. Tuttavia non gli viene insegnato a cavalcare, né egli ha mai visto un’armatura. La Dama desidera, infatti, che egli non lasci il suo regno prima del giusto tempo.
Il giovane cresce molto in fretta e giunge per lui l’età di affrontare il mondo esterno, con le sue sfide e le sua grandi avventure. Inoltre, egli desidera fortemente di conoscere il proprio nome, sino ad allora sconosciuto e per questi motivi chiede gentilmente alla Fata di lasciarlo partire per iniziare la sua vita da cavaliere.

Abbandonando per un attimo il Lanzelet di von Zatzikhoven e proseguendo col Prose Lancelot, leggiamo dell’immensa sofferenza della fata per la richiesta di colui che ama come fosse figlio suo, nonostante la quale ella lo lascia partire. Le calde lacrime rigano le sue guance, eppure sa che l’allontanamento del ragazzo è necessario per il completamento della sua realizzazione personale.
Prima di lasciarlo andare, la Dama gli dona ancora un grande insegnamento riguardante lo spirito della cavalleria e gli spiega accuratamente l’utilità e il significato di tutte le armi, dallo scudo al giaco, dall’elmo alla lancia e alla spada, che è l’arma più nobile. Anche il cavallo ha un suo sacro scopo, poiché esso rappresenta il popolo e come il popolo va rispettato e guidato con onore.
Il novello Cavaliere riceve finalmente e con grande commozione le sue prime armi, tutte, dalla prima all’ultima, candide come la neve e argentate come i raggi della luna. Anche il suo cavallo è del colore del latte, come i suoi splendidi ornamenti.

Tornando al Lanzelet, è la Dama ad assegnare al ragazzo la sua prima avventura: egli dovrà sconfiggere in battaglia il terribile Iweret di Dodona per liberare Mabuz, il giovane figlio della Donna che lo ha allevato (Mabuz, figlio della Dama del Lago potrebbe forse essere una trasposizione del gallese Mabon ap Modron). Soltanto al termine di questa terribile battaglia il cavaliere verrà a conoscenza del proprio nome e del proprio lignaggio e potrà entrare a far parte della corte da eroe, il più grande che sia mai esistito in terra.
Così Lancillotto sorge splendido dalle acque insieme alla Dama e al suo Bianco Corteo, e lo fa come Cavaliere del Lago, figlio delle acque dolci e della Donna/Dea.

L’immagine della Dama del Lago appare molto simile a quella delle bellissime fate delle leggende celtiche, note per la loro abitudine di rubare i bambini alle donne mortali. Ella, infatti, non solo rapisce Lancillotto, ma possiede anche tutte le caratteristiche magiche delle Donne fatate, ovvero di coloro che conoscono ogni tipo d’incantamento, così come il potere delle pietre, delle erbe e della parola, grazie al quale si mantengono belle e giovani oppure si tramutano in orribili vecchie, a seconda del proprio volere.
Il ruolo principale incarnato dalla Dama del Lago, tuttavia, non è quello di Fata incantatrice, seducente, irresistibile ed inesorabilmente fatale (a differenza di Morgana o Viviana/Nimue), ma quello decisamente opposto di affettuosa madre adottiva.
Animata da un amore e da una tenerezza infiniti, ella raccoglie il bimbo tra le braccia, lo accarezza dolcemente, gli imprime piccoli baci sul visino e sugli occhi e, portandolo via con sé, lo salva da un destino di pene e dolori; si occupa di lui come se fosse il tenero frutto del suo stesso grembo e, piano piano, lo istruisce in ogni abilità perché possa divenire un grande Cavaliere al servizio non solo del Re, e quindi degli uomini, ma anche del misterioso luogo nascosto in cui egli ha trovato rifugio.
Questo fascinoso regno è protetto da una potente magia, come affermano diverse versioni della storia. Nel Prose Lancelot il lago bagna le terre ai piedi di una collina, ma non è altro che un’illusione magica. In realtà, dove l’acqua appare più scura e profonda si ergono sontuose dimore e si nasconde una foresta incantata, colma di alberi secolari e di ruscelli serpentini che cantano il dolce gorgoglio della Natura libera e inviolata.
La Morte D’Artur di Malory, invece, disegna il mondo della Dama con le parole di Merlino:
E’ la Dama del Lago; sul fondo di questo specchio d’acqua si trova una caverna che ha l’interno decorato con tale ricchezza da renderlo la residenza più piacevole del mondo”.(1)
Castello, foresta o caverna che sia, la dimora della Dama Bianca non è mai visibile ad occhio mortale. L’illusione dell’acqua la nasconde ai profani e la rende apparentemente inarrivabile, per questo essa ritrae una delle manifestazioni dell’Altromondo. Il lago stesso che la circonda simboleggia i reami sottili, nonché il tramite, il passaggio che permette di raggiungerli.

La Signora del Lago, dunque, vive nell’Altromondo e Lancillotto è proprio nell’Altromondo che viene addestrato. Le sue armi bianche ed argento (nel Lanzelet l’argento è sostituito dall’oro) dimostrano la sua appartenenza a tale dimensione, poiché rivelano i colori dello spirito.
Il bianco, la tinta di ciò che nasconde una origine fatata, soprannaturale, è la purezza della Verità annidata oltre l’illusione, la chiara luce dell’alta conoscenza. L’argento/oro è il colore dell’anima, dell’essenza dotata di un brillio sublime, delle acque che riflettono come in uno specchio la Avalon spirituale.
I due colori uniti sono legati alla Dea lucente, alla Luna, fonte muliebre da cui si attingono perpetue influenze. E se Lancillotto li porta con sé è perché egli è una creatura che, nata da madre umana e istruita da Donna divina, appartiene ai due mondi: porta le effigi di Avalon pur mantenendo la sua sembianza umana, sperimenta le due dimensioni e per esse combatte, sia a livello materiale che sottile.
Bianco ed argento, il suo cuore ama in modi diversi dagli uomini comuni. I suoi affetti non sono oscurati da colpe, poiché nell’Altromondo non esiste alcuna colpa in amore. Per questo la sua devozione amorosa per la regina Ginevra non solo non è ostacolata dalla Dama del Lago, ma è pienamente assecondata ed incoraggiata. I limiti della vita terrena non intaccano lo spirito del Cavaliere, ed egli cavalca libero dentro e fuori le nebbie, mantenendo in sé la loro stessa natura.
Così alcuni lo descrivono come un dono dell’Aldilà per il mondo degli uomini.

Lo spirito della nebbia non vela soltanto il cuore di Lancillotto, ma anche il volto della Dama del Lago. Infatti, sebbene ella esca molto di rado dal suo regno acquatico, le poche volte che lo fa porta un delicato velo bianco sul viso, come leggiamo nel Prose Lancelot:
The Lady lowered her wimple from before her face, when she came before the king” (la Dama depose il suo velo dal volto, quando giunse dinnanzi al re).(2)
Come la nebbia stessa, il velo simboleggia l’occultamento dell’Essenza misteriosa.
Anticamente con “velum” si intendevano i tendaggi che separavano i luoghi sacri da quelli mondani; velate erano le statue che raffiguravano le divinità e le elevate sacerdotesse, per la loro prossimità al Divino. Il velo manteneva il giusto distacco per coloro che non potevano accedere al Mistero che esso proteggeva, un Mistero attingibile solamente trascendendo l’Io personale e varcando le sue pesanti porte per abbracciare la totalità della Natura interiore.
Il desiderio di “svelare”, per abbeverarsi a questa Natura sottile comporta una lenta e delicata Svestizione; un duro percorso in cui è insita la ricerca del Nume silenzioso, attraverso meandri dell’essere terreno.
Colei che porta il velo, perciò, è colei il cui viso, che ha contemplato tale Nume, rivela la sua luce divina. È l’immortale Donna Misteriosa che possiede il potere della rivelazione e conserva tutti i segreti delle lande spirituali.
Distante, lontana, sottilmente impercettibile… la sua figura è circondata da un alone divino che inibisce ogni volontà ed esige la muta contemplazione.
Così è la Dama del Lago, bianco riflesso della Dea. Ella si vela di bruma innanzi agli uomini, svolge i suoi brevi compiti nella realtà comune e poi si ritira nuovamente nell’Altromondo, spogliandosi del velo ed affidandolo alle Custodi del Confine.

Signora del biancore lunare, la dolce Signora acquatica è prodiga di doni che possiedono il suo stesso potere di svelare la realtà. A Lancillotto regala molti oggetti incantati, eppure uno in particolare sembra degno di nota: un anello magicamente intriso della virtù di dissolvere qualsiasi incantamento illusorio. Ne Le Chevalier de la Charrette, di Chrétien de Troyes, al Cavaliere basta posare lo sguardo sulla pietra incastonata nell’anello per sapere se ciò che vede dinnanzi a sé è reale oppure fittizio, e allo stesso modo egli riceve l’aiuto della sua Signora.
L’anello rappresenta per lui il prezioso mezzo per conoscere la Verità nascosta dietro l’apparente inganno. Poiché proviene dall’Altromondo, il luogo per eccellenza in cui ogni verità è dotata di assoluta limpidezza, esso ne conserva la magia e scava in profondità la superficie delle cose per mostrarne l’interno luminoso, oppure il vuoto implacabile e la loro effettiva inesistenza.
Ma l’anello richiama anche il legame perenne che Lancillotto mantiene con il regno del Lago e, quindi, con la natura sottile.
Infilato al suo dito, esso evoca la promessa di fedeltà alla dimensione fatata e alle sue sacre leggi.
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Sebbene egli occupi il primo posto nel cuore della Dama Bianca e delle sue Damigelle, Lancillotto non è comunque l’unico degno destinatario delle loro attenzioni e dei loro doni. Nelle pagine arturiane del Brut di Layamon, antica opera anglo-normanna datata XII-XIII secolo, si scopre un’affascinante versione della nascita di Artù:

Quando il tempo stabilito arrivò, allora nacque Artù.
Appena questi venne sulla terra, le fate lo ricevettero;
fecero un incantesimo sul fanciullo con una potente formula magica:
gli dettero la forza per essere il migliore dei guerrieri;
gli dettero un secondo dono: sarebbe stato un re molto potente;
gliene dettero un terzo: sarebbe vissuto a lungo;
e dettero a lui, fanciullo regale, qualità egregie
per poter essere il più generoso di tutti gli uomini viventi.
Questo le fate gli donarono e così il fanciullo crebbe
.”(3)

Le Fate, così simili alla Dama del Lago e alle sue affettuose ancelle, accolgono Artù neonato, fanno discendere su di lui le virtù più eccelse e tracciano magicamente il suo Destino. Seppure non lo allevino nel loro regno durante la sua infanzia, esse fanno in modo che egli cresca conservando i loro doni e gli offrono l’aiuto del reame magico per sostenere la sua vita da Re.
Il vero e proprio incontro di Artù con la Dama avviene però in un’altra circostanza, come narrano le versioni successive della sua storia.
Giovane, stanco e privo della sua spada in seguito ad un duro combattimento, egli incontra la bellissima Signora e da lei riceve la mitica Excalibur.
Racconta Sir Thomas Malory, nel suo La Morte D’Arthur, che Artù e Merlino “si trovarono sulla riva di un lago vasto e ameno, dal quale videro emergere un braccio rivestito di sciamito bianco: esso terminava in una mano che stringeva una magnifica spada”.(4) In quell’istante una meravigliosa Donna passeggiava leggera sulla superficie delle acque e con grazia si diresse verso Artù, come se fosse a conoscenza dei suoi più reconditi desideri.
Merlino suggerì al giovane Re di chiedere alla Dama la spada e, quando Artù lo fece, ella gli rispose che la spada le apparteneva, ma che gliel’avrebbe donata se egli, a tempo debito, avesse adempiuto ad una sua richiesta.
Artù acconsentì e la bianca Donna lo invitò a salire su una barchetta arenata sulla terraferma e a remare sino a dove emergeva la spada portentosa. Egli scivolò quindi sulla superficie immobile del lago e quando raggiunse il punto della magnifica visione afferrò l’arma, mentre il candido braccio scompariva silenzioso sotto le acque…
Non la spada, tuttavia, possedeva il potere maggiore, ma il suo fodero incantato: sino a che Artù lo avesse tenuto caro e non lo avesse abbandonato, esso l’avrebbe protetto e avrebbe impedito alle sue ferite, persino a quelle più gravi, di versare una sola goccia di sangue.

Da amorevole madre adottiva, dunque, la Dama del Lago diventa donatrice della mitica Spada. In entrambi i casi è lei che dona le armi magiche ai Cavalieri che, per la loro nobiltà d’animo, le hanno meritate. Queste armi sono state forgiate nell’Altromondo e ne rivelano, accanto allo spirito acqueo, anche quello fiammeggiante. Excalibur è il fuoco che emerge e si innalza luminoso dalle dolci acque lacustri e nasce dall’unione dei due elementi. La fendente fiamma della spada colpisce e ferisce, la liquida natura del fodero cura e guarisce. Così Artù difende la Terra per mezzo dell’arma, mentre la Dama, che per la Terra materiale e spirituale agisce, protegge lui dal dolore e dalla morte per mezzo del fodero.
Il dono di Excalibur sancisce il legame sacro tra il Re e la Sovranità terrestre, tra l’Uomo e la Divinità, ma esso richiede un compenso, in assenza del quale la Sovranità ritira i propri privilegi insieme al proprio aiuto ed il Re è destinato a soccombere.
Artù promette alla Dama del Lago qualsiasi cosa in cambio di Excalibur, ma il dono che ella giungerà a reclamare, ovvero la testa di una fanciulla portatrice di soli dolori e pene, non le verrà concesso. Al contrario, la Dama verrà meschinamente uccisa dal Cavaliere Balin il Selvaggio, di fronte a tutta la corte regale.
Che sia questa l’origine del lento declino di Artù non è dato sapersi, e Malory non dà modo di intenderlo, ma questo gesto attirerà sul responsabile dell’uccisione gravissime pene e provocherà l’incrinarsi del rapporto armonico tra il Re e i reami spirituali, poiché una sacra promessa mancata non viene certamente dimenticata e non rimane a lungo impunita.

Sebbene la Dama del Lago, resa semplice mortale dall’opera dello scrittore inglese, perda apparentemente la vita, scomparendo dal mondo umano, il suo potere continua a vivere immutato; la sua presenza continua ad aleggiare nella corte di Artù, così come nell’Altromondo, nel quale rimane perpetua Regina di Donne e di Fate.
Ella è completamente distaccata dalla realtà comune, che visita di rado, e la sua incarnazione umana, velata di mistero, appare solo per brevi momenti per poi eclissarsi subito al di là dei confini visibili. Tuttavia, ella conosce tutto ciò che avviene sulla Terra, ascolta le voci degli uomini, accoglie le loro richieste d’aiuto ed invia le sue meravigliose Messaggere a portare la Luce ai cavalieri, laddove l’oscurità è troppo intensa per essere sconfitta.
Abitando nel reame spirituale, la Dama del Lago guida l’eroe lungo le vie della crescita; dona sempre i mezzi per agire nel migliore dei modi, per combattere le battaglie più ardue, per vivere con onore. Ritraendo l’archetipo della Madre generosa e della Maestra di vita, ella è l’unica che conosce il giusto Tempo per ogni cosa.
Lei semina i propri insegnamenti sulla terra arata, pronta ad accoglierli e a farli germogliare, lei dona le armi quando è il momento di combattere, lei offre l’opportunità di conquistare la consapevolezza del Sé ignoto, simbolizzato dal nome e dal lignaggio che il giovane Lancillotto desidera di conoscere.
In queste caratteristiche, la Dama richiama per certi versi la magnifica dea gallese Arianrhod, la ciclica Ruota d’Argento, l’inconoscibile Destino; Colei che, imponendo vincoli e tranelli, non permette al proprio figlio di avere un nome, le armi ed una sposa, sino a che egli non riesce a superare le sue prove e a conquistare i propri desideri.
Come Arianrhod, la Dama del Lago non agisce direttamente nel mondo comune, come invece fanno spesso le altre Dame, ma agisce dall’interno. La sua influenza magica smuove la coscienza delle cose, il puro istinto innato e dimenticato, e dalle immense profondità dell’essere, ella dona l’impulso che fa muovere gli eventi nella realtà.
Tutto è Cambiamento, eppure nella natura stessa del ciclico divenire vi è un Centro immutabile, eterno, costantemente pulsante. Il Centro immobile da cui si genera il movimento.
La Dama nasce e vive in questo Centro numinoso dell’essere, lo governa sin dagli albori dell’esistenza e, come una minuziosa Tessitrice, crea con mani sapienti la rete degli accadimenti, l’intricato percorso del destino individuale.
Dall’interno, la Dama chiama l’Anima a ricongiungersi con il Luogo remoto d’eterna armonia; invita a seguire le sue umide orme verso le rive lucenti.
Per questo sembra assomigliare tanto alle divine Fanciulle delle antiche leggende celtiche, a coloro che, figlie dei candidi cigni, chiamano l’eroe vibrando il sublime tintinnio del Ramo d’Argento che canta le segrete melodie del cuore.
Sotto questa luce, la Dama del Lago è la voce dello Spirito primordiale che chiama a sé; colei che intona il Canto a cui nessun mortale può resistere; la Regina vestita di bianche piume che altro non sono se non il vestimento di quelle acquatiche creature che conducono i defunti tra le proprie ali, sul proprio morbido dorso, verso l’Aldilà. Ponti tra la vita e la morte, i cigni (dal greco ky-kn-os, risuonare, e dal latino cino, cantare, perchè si diceva che il loro canto potesse trasportare nell’Altromondo) sono infatti il sacro veicolo che conduce oltre il velo e richiamano le vie dell’intuizione e della trasformazione, del sacrificio e della purificazione: le Vie che, attraverso l’antico canto, aprono gli occhi.
Come loro, la Dama è Custode degli emblemi di acqua e fuoco, Donna e Dea d’umido amore e di cuore fiammeggiante.

Velata creatrice e conoscitrice degli arcaici disegni del Destino, il suo aspetto è sconosciuto, i suoi lineamenti sono mutevoli come i vapori che l’ammantano e la Bianca Signora è priva di una vera personalità. Ella non possiede un nome proprio che la identifichi con chiarezza e che permetta di ricercarne una primitiva figura originaria (com’è invece possibile fare con Morgana o con altre Dame caratterizzate da un nome preciso) e, nonostante venga spesso sovrapposta a Viviana, la sua figura è indubbiamente molto diversa da quella della fatale Incantatrice, così come sono profondamente diversi e difficilmente conciliabili i loro scopi ed i loro archetipi, distinti ed indipendenti l’uno dall’altro.
Queste particolarità ci suggeriscono che, in realtà, colei che si nasconde dietro all’epiteto di “Dama del Lago”, non sia tanto importante quanto il ruolo che ella principalmente rappresenta proprio in virtù di tale appellativo. “Il mistero di questo nome tenuto segreto sembra investirla di una forza particolare. Nella sua bocca la parola acquista una virtù costrittiva. Il possedere un nome, infatti, delimita ed individua. Il non avere nome può permettere di essere tutto, di incarnare il non-manifestato, il non-individuabile, che sta metafisicamente prima e sopra tutti gli esseri”.(5)
Ella incarna lo Spirito delle Acque, l’altissima Dea terrestre/materna, lunare/acquatica, che non conosce nome eppure è chiamata con infiniti nomi: la Donna che, rinunciando alla semplice vita umana e sposando la Grande Madre, ha sacrificato il proprio Io e ha trasceso l’identificazione per accogliere e manifestare il Divino, in totale abbandono ed in assoluto amore.

La materia bretone è costellata di simili figure femminili, legate le une alle altre dai sacri compiti che svolgono in perfetta sintonia. Allo stesso modo si pensa che non vi sia una sola Dama del Lago nella letteratura arturiana, bensì molte: diverse, eppure tutte simili manifestazioni della dolce Divinità muliebre.
Esse abitano i luoghi sacri immersi nella natura più libera ed incantata, come Avalon; sono le Custodi del Graal, del Sapere storico e mitico, dei Sepolcri intesi come porte tra la vita e la morte. Generano ed allevano gli uomini destinati a diventare Guerrieri e Difensori delle Antiche Tradizioni; presiedono a tutte le Iniziazioni e alle nozze sacre che conferiscono la Sovranità e raccolgono con cura e dedizione le cronache dei regni terreni, facendosi Preservatrici della Memoria universale.
Lo Spirito del Lago le partorisce continuamente ed esse si succedono l’una con l’altra, fungendo da Madri generatrici ed adottive, da Maestre, da Guardiane dei Cavalieri che hanno un caro posto nel loro cuore di fate.
Sollevando per un momento gli occhi dagli antichi testi per cercare una realistica immagine nei tempi trascorsi, potremmo forse vedere in queste figure, così materne e affettuose, nonché predisposte all’insegnamento e alla trasmissione della Conoscenza, una similitudine con quelle delle antiche Sacerdotesse, o delle Alte Sacerdotesse che, per un maggiore grado di esperienza, guidano il sacro ordine religioso e preservano la Sapienza collettiva femminile.
E proprio a queste ultime è assimilabile l’archetipo della Dama Bianca, Regina del Regno delle Fanciulle e depositaria dei segreti del Lago.
Protettrice dei Cavalieri, Madre dagli innumerevoli Nutrimenti, ella è la prima Iniziatrice che reca tra le dita la coppa dal bianco contenuto, il sostanziale latte di Saggezza;
Maestra di tutte le Arti, intese come espressioni degli intimi impulsi dell’Anima, del nucleo dell’Ispirazione attiva, luminosa generatrice d’incantevoli creazioni.
Guardiana delle cose preziose, è legata alla scoperta dell’Essenza nascosta, alle profonde trasformazioni che ne conseguono e alla protezione dei processi del cambiamento.
La sua dimora riecheggia d’amore sotto l’ingannevole superficie in cui i mutevoli raggi lunari si specchiano… Seppur di pallido avorio, essi mandano bagliori accecanti che portano l’occhio che con attenzione silenziosa li contempla in un’irresistibile perdizione nel territorio del Sogno.
Il Sogno che, ritrovato e raccolto consapevolmente, è solo l’inizio della vita piena.
Dell’esistenza svelata dall’illusione e nutrita d’infinita bellezza.


Volgendo lo sguardo al contesto del Ciclo dell’Anno, non vi è alcuna festa che può ritrarre l’onnicomprensivo spirito della Dama del Lago. Ella le governa tutte ed in tutte è presente, poiché, come Dama del centro perenne, ella sosta nel punto stesso in cui il Ciclo annuale si genera e trova la sua esistenza nella realtà conosciuta.
La Dama del Lago, pertanto, è il nucleo da cui ha origine il Divenire stesso, il Cambiamento e l’illimitato ciclo di Vita Morte Vita.
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APPENDICE
Argante e la Dama del Lago

In riferimento allo studio portato avanti dagli autori di Ladies of the Lake, sul quale si è basata parte delle nostre ricerche concernenti Dame del Lago ed i loro archetipi, ci sentiamo di dissentire sulla scelta di attribuire alla Dama del Lago il nome di Argante. Questa conclusione nasce da diversi motivi venuti alla luce proprio durante la ricerca delle antiche fonti di riferimento, tenendo conto delle quali è abbastanza improbabile che questo nome abbia un seppur minimo legame con l’archetipo sinora trattato.
Il testo in cui appare per la prima ed unica volta il nome Argante è il Brut di Layamon (op. cit.), nelle cui pagine leggiamo le ultime parole di Artù morente, prima del suo viaggio ad Avalon:

Constantin, tu sei il benvenuto, tu che sei figlio di Cador.
Io ti affido il mio regno;
difendi i miei Britanni finché hai vita,
mantieni tutte le loro leggi che sono esistite ai miei giorni
e tutte quelle buone leggi che esistevano al tempo di Uther.
Io andrò ad avalon, dalla più bella delle fanciulle,
dalla regina Argante, fata molto bella,
che guarirà tutte le mie ferite
e mi risanerà con bevande salutari.
E dopo ritornerò nel mio regno
E dimorerò con i britanni in grande gioia.
A queste parole giunse avvicinandosi dal mare
Una piccola barca spinta dalle onde:
vi erano due donne sontuosamente vestite:
prontamente presero Artù, lo sollevarono,
dolcemente lo appoggiarono giù e si allontanarono
.”(6)

In questo magnifico frammento Argante è una bellissima Regina che dimora in Avalon.
Conoscitrice di tutti i rimedi e di tutte le pozioni che possono curare le ferite, anche quelle più gravi, ella accoglie il Re e di lui si prende cura sino a che egli guarirà e potrà tornare di nuovo tra la sua gente, tra i suoi amati Britanni, con cui vivrà in eterna gioia.
L’archetipo di Argante appare qui estremamente simile a quello di Morgen, ovvero alla prima versione di Morgana come compare nel Vita Merlini di Geoffrey of Monmouth. La stessa Morgana dei testi successivi è colei che dimora in Avalon e che guarisce Artù per mezzo della sua immensa conoscenza e dei suoi rimedi naturali.
Soffermandoci sul suo nome, “Argante” (pronuncia Ar-gant-ay) sembra essere il femminile di “Argant” (brillante), un nome proprio maschile noto fra l’800 e il 1100 d.C. Le varie versioni femminili sono Argantan, Arganthael, Argan(t)ken, Argantlowen (Argento Pieno), Argel (Cigno d’Argento), Arranz, Arc’hantael, Argantael (Argento), Argantlon (bretone) e Arganhell (gallese). È tuttavia probabile che esso derivi dalla tradizione celtica, ovvero dal bretone “argant” o dal gallese “ariant”, il cui significato richiama sempre l’argento.
Il legame tra Argante e l’argento fa fiorire una miriade di collegamenti e simbologie che la avvicinano nettamente allo spirito sottile della Dama del Lago e, ancora di più, a quello della Dea Arianrhod. Questi collegamenti ipotetici, tuttavia, non bastano ad unire la Dama Bianca e Argante in un solo archetipo. È invece possibile che Layamon abbia scelto “Argante” per sostituire il nome “Morgen”, mantenendo tuttavia inalterato il ruolo del personaggio. I due nomi sono infatti molto simili tra loro, considerando anche che Morgana in taluni testi viene chiamata Morgan, Morgain, Morganz e Morgant.
Questa misteriosa figura pare dunque essere molto più legata ed assimilabile a Morgana piuttosto che alla Dama del Lago, la quale è totalmente assente nell’opera di Layamon. Oppure si potrebbe trattare di un personaggio simile a Morgana ma a se stante e, comunque, indipendente e diverso da quello della Dama del Lago.
Chiamare, pertanto, la Signora del Lago con questo nome potrebbe dimostrarsi una conclusione azzardata e, soprattutto, basata su prove inconsistenti.


Note:

1. Cfr. Storia di Re Artù e dei suoi cavalieri, Sir Thomas Malory, a cura di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini, Oscar Classici Mondadori, Milano, 1985, Vol. I, p. 40
2. Cfr. Sir Lancelot of the Lake: A French Prose Romance of the Thirteenth Century (Translated frrom MS. in the Bibliothèque Nationale [Fonds francais, 344] with an Introduction and Notes by Lucy Allen Paton, M.A. Ph.D.), New York, Harcourt, Brace and Company, 1929, p. 108.
3. Cfr. Lanzelet, Ulrich von Zatzikhoven, traduzione di Thomas Kerth, con note aggiuntive di Kenneth G.T. Webster e Roger Sherman Loomis, New York, Columbia University Press, 2005, Vv. 382-390, p. 73
4. Cfr. Storia di Re Artù e dei suoi cavalieri, Sir Thomas Malory, a cura di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini, Oscar Classici Mondadori, Milano, 1985, Vol. I, p. 40
5. Cfr. La Via dello sciamanesimo boreale, Davide Melzi, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 1996, p.139
6. Cfr. Lanzelet, Ulrich von Zatzikhoven, traduzione di Thomas Kerth, con note aggiuntive di Kenneth G.T. Webster e Roger Sherman Loomis, New York, Columbia University Press, 2005, Vv. 5547-5557, pp. 397-398



Fonti

Lanzelet, Ulrich von Zatzikhoven, traduzione di Thomas Kerth, con note aggiuntive di Kenneth G.T. Webster e Roger Sherman Loomis, New York, Columbia University Press, 2005
Sir Lancelot of the Lake: A French Prose Romance of the Thirteenth Century (Translated frrom MS. in the Bibliothèque Nationale [Fonds francais, 344] with an Introduction and Notes by Lucy Allen Paton, M.A. Ph.D.), New York, Harcourt, Brace and Company, 1929
Le gesta di Artù, Lazamon, a cura di Gloria Corsi Mercadanti. Luni Editrice – Milano, Trento, 1998
Storia di Re Artù e dei suoi cavalieri, Sir Thomas Malory, a cura di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini, Oscar Classici Mondadori, Milano, 1985
Lancillotto o Le Chevalier de la Charrette, Chrétien de Troyes, a cura di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini. Oscar Classici Mondadori, Milano, 1983
Ladies of the Lake, Caitlin e John Matthews, Thorsons, London, 1992
I romanzi della Tavola Rotonda, Jacques Boulenger, a cura di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini, Edizione Mondolibri, Milano, 1981
Study of the Fairy Mythology of Arthurian Romance, Lucy Allen Paton, (Second Edition; enlarged by a Survey of Scholarship on the Fairy Mythology since 1903 and a Bibliography, by Roger Sherman Loomis), New York, Burt Franklin, 1970
La follia del Mago Merlino (Vita Merlini) , Geoffrey of Monmouth, a cura di Alberto Magnani, Sellerio Editore Palermo, 1993
Le figlie delle acque, Michel Bulteau, ECIG, Genova, 1993
L'Arpa Celtica. Un viaggio tra passato e presente, incanto e realtà. alla fine del certo, all'inizio del sogno, Hal Belson. Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 1992
La Via dello sciamanesimo boreale. E l'uso del tamburo come strumento di magia e conoscenza, Davide Melzi, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 1996
Donne che corrono coi lupi, Clarissa Pinkola Estés, Frassinelli, Milano, 1993
http://www.tartanplace.com/faery/goddess/argante.html [2]
http://www.timelessmyths.com/arthurian/women.html [3]
http://faculty.smu.edu/bwheeler/ARTHUR/layamon.html [4]
Dizionario etimologico Ottorino Pianigiani: http://www.etimo.it [5]
L’Isola Incantata delle Figlie della Luna: http://freeforumzone.leonardo.it/forum.aspx?c=59706&f=59706 [6]
Immagine1: Lady of Avalon, Wendy Andrews

Un ringraziamento speciale ad Alessandro per l'aiuto nella ricerca delle fonti, per l'immenso materiale che mi ha procurato, per la pazienza dimostratami e per l'infinito appoggio che mi ha regalato. Grazie di tutto cuore.


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  [2] http://www.tartanplace.com/faery/goddess/argante.html
  [3] http://www.timelessmyths.com/arthurian/women.html
  [4] http://faculty.smu.edu/bwheeler/ARTHUR/layamon.html
  [5] http://www.etimo.it
  [6] http://freeforumzone.leonardo.it/forum.aspx?c=59706&f=59706