Il Tempio della Ninfa

LE DAME DEL LAGO: Enide

Articoli / Avalon
Inviato da Violet 24 Gen 2008 - 03:51

Breve introduzione alle Dame del Lago [1]

Enide, la Buona Conduttrice

Invero, ella era nata per essere contemplata, ché in lei ci si poteva rimirare come in uno specchio.
Chrétien de Troyes, Erec ed Enide

Luminosa come un raggio di sole, nivea come la luna, Enide è la Dama del Lago che può rappresentare emblematicamente la festa del Solstizio d’Estate, il momento del Ciclo in cui la luce trionfa sulle tenebre.




Come nobile e bellissima sposa, ella appare in due versioni molto simili della stessa vicenda, l’una appartenente alla letteratura gallese dei Mabinogion ed intitolata Gereint ed Enid, l’altra sviluppata più minuziosamente dal poeta francese Chrétien de Troyes e chiamata Erec ed Enide.
Le due opere, redatte fra XII e XIII secolo d.C., derivano indubbiamente da un’unica fonte originaria dai chiari tratti celtici, purtroppo andata perduta, e nonostante sia difficile determinare quale delle due sia nata prima, è probabile che la più antica sia quella gallese, per la presenza di particolari più rudi e vicini alla cultura d’origine.
Secondo la versione narrata da Chrétien, più ricca di dettagli riguardanti la divina Enide, la storia ha inizio alla corte di Artù, nel giorno di Pasqua.
Terminata la riunione con i suoi Cavalieri, il Re annuncia che intende restaurare l’antica tradizione della Caccia al Cervo Bianco, un esemplare che per la grandiosa regalità suole aggirarsi solitario nella foresta, senza mai accompagnarsi ad altri animali. Secondo questa tradizione, colui che riesce a catturare il Cervo e ad ucciderlo, otterrà il bacio della più bella dama della corte, a dispetto di tutte le altre. Ser Galvano, avverte il re che la reintegrazione di questa usanza potrebbe creare malcontenti e gelosie, battaglie addirittura, ma Artù non intende ascoltare consiglio. La sua parola non ammette obiezioni.
La mattina della Caccia, il Re e i Cavalieri partono all’inseguimento del Cervo Bianco e si addentrano nel fitto della foresta. In disparte, la Regina Ginevra cavalca lieta sul suo palafreno, accompagnata da una bella damigella e dal più valente tra i giovani Cavalieri di Artù, Erec figlio di Re Lac d’Estregalles. Durante una breve sosta in una radura, la Regina vede giungere al galoppo un uomo dalla magnifica armatura insieme ad una dama e ad un nano, i quali proseguono per la loro strada. Desiderando conoscerne i nomi, Ginevra invia loro la sua ancella perché glieli chieda. Come risposta, però, il nano colpisce violentemente il volto della fanciulla con la frusta, offendendola gravemente e, con lei, la Regina stessa. A tale vista Erec decide di vendicare l’oltraggio subito dalle donne ma, non avendo portato con sé le sue armi, si appresta ad inseguire silenziosamente la piccola compagnia, attendendo il momento propizio per dichiarare battaglia al misterioso cavaliere.
Guidato dai tre viaggiatori in un borgo, dove si stanno svolgendo grandi festeggiamenti, fiere e banchetti, Erec li osserva prendere alloggio e procede lungo la via per cercare un luogo in cui trascorrere la notte. Un nobile e canuto valvassore acconsente calorosamente ad ospitare il giovane e, facendolo accomodare, gli presenta la sua splendida figlia: Enide è il suo nome e, nonostante gli abiti logori che la severa povertà non le permette di sostituire, ella è bella tanto da non potersi dire. Come narra Chrétien, “i capelli dorati e splendenti di Isotta la Bionda non erano nulla al confronto dei suoi: la fronte e il viso erano più chiari e bianchi del fiore del giglio; la carnagione meravigliosamente esaltata da un fresco colore vermiglio di cui Natura le aveva fatto dono per dar risalto allo splendore del viso. Gli occhi diffondevano tanta luce da sembrare due stelle; mai Dio seppe meglio disegnare un naso, una bocca, degli occhi. (…) Invero, ella era nata per essere contemplata, ché in lei ci si poteva rimirare come in uno specchio.”*
Dinnanzi a tale bellezza, Erec prova subito un dolce colpo al cuore, poiché le fattezze della giovane sono così nobili e gentili che mai egli ne vide di eguali.
L’ospitante spiega quindi al giovane che l’indomani avrà luogo nel borgo una gara, motivo per cui sono in atto festa e baldoria. La più bella fanciulla avrà diritto a ricevere in dono uno Sparviero, ed è proprio per rivendicare tale animale per la sua dama che lo sconosciuto cavaliere è giunto al villaggio.
Erec, abbagliato dalla luminosità di Enide, decide di partecipare al Gioco e, l’indomani, omaggia lei dello Sparviero. Tale gesto provoca il risentimento dell’avversario e la battaglia tra i due valent’uomini, ma è Erec ad uscirne vincitore e, col permesso del padre della fanciulla, torna con lei al castello di Artù, poiché desidera farne la sua sposa.
Intanto, a Corte, Artù ha catturato il Cervo Bianco, ma grazie al consiglio di Ginevra, attende il ritorno di Erec per donare il bacio alla più bella. Erec giunge recando con sé la divina Enide e Ginevra la priva amorevolmente delle vesti lise, donandole uno dei suoi abiti più belli. Di fronte al suo splendore, simile solo a quello delle fate dell’Altromondo, tutta la Corte acconsente senza alcuna obiezione a proclamare lei come la più nobile e splendida dama. Così Artù non attende oltre e, cortesemente, bacia la dolce Enide, promettendole amore, rispetto e fedeltà.
Avvenuta la cerimonia della Caccia al Cervo Bianco e del bacio alla dama più nobile, Erec e Enide uniscono le loro mani ed i loro cuori in matrimonio. Il loro amore è tanto grande che presto Erec perde l’interesse per l’avventura, per i tornei e le battaglie, poiché ama intrattenersi soltanto con la sua amata, ma questo suo atteggiamento attira su di lui il malcontento della corte, la quale lo biasima per essere diventato un imbelle. La fanciulla, profondamente colpita dal volgersi degli eventi, trattiene a stento la sua sofferenza e una notte si abbandona alle lacrime, maledicendo se stessa per la sventura capitata al suo dolce sposo. Erec, svegliato dai fievoli lamenti dell’amata, ascolta parte di ciò che ella sussurra, credendo di non essere udita, e, preoccupato, le chiede per quale motivo ella si dolga in quel modo. Enide racconta quindi che cosa si mormori di lui e quanto ella terribilmente ne soffra, e gli dice che occorre che egli prenda svelto una decisione per recuperare l’onore perduto. A tali parole il giovane invita la compagna ad alzarsi immediatamente, ad indossare il suo abito più bello e a partire con lui in cerca di avventure, poiché il suo orgoglio è gravemente offeso da ciò che egli ha dovuto intendere.
Enide, seppur disperata per tema d’essere ripudiata dal suo amore, acconsente di buon grado e accetta ciò che il cavaliere le ordina di fare: d’ora in poi ella viaggerà innanzi a lui, tenendosi bene a debita distanza, e mai dovrà rivolgergli la parola, qualunque cosa possa vedere o sentire, poiché potrà parlare soltanto quando sarà interpellata.
Così inizia il duro viaggio di Enide ed Erec, ma nonostante gli ordini del giovane, la nobile fanciulla mai tace di fronte ai pericoli che vede giungere coi propri occhi, perché il suo amore per il compagno è grande ed ella ne teme la morte.
Durante il viaggio, Enide, per ben due volte, viene oltraggiata da uomini che desiderano prenderla con la forza, uno dei quali, in risposta ai suoi insistenti rifiuti, la colpisce violentemente al volto. La Dama, a tale violenza, urla talmente forte che la terra pare tremare, ed è tale urlo che riporta Erec alla vita, poiché egli, colpito duramente in battaglia, era apparentemente morto.
Immediatamente dopo il suo risveglio, Erec uccide colui che così ingiustamente aveva offeso la Donna e i due amanti si riconciliano teneramente, ritrovando la pace e l’armonia e riprendendo il lungo viaggio.
Giunti in una misteriosa roccaforte di nome Brandigan, Erec deve ora affrontare la sua prova più ardua.
Senza dare ascolto agli ammonimenti del sovrano del castello, Evrain, il cavaliere decide di partecipare al gioco periglioso chiamato Gioia della Corte e viene condotto all’ingresso di un verziere incantato. Questo “non era cinto né da un muro né da uno steccato, ma solo dall’aria, che circondava interamente il giardino per negromanzia, sì che non vi si poteva entrare che per un unico accesso, proprio come se fosse stato cinto da un’inferriata. Vi maturavano fiori e frutti sia d’inverno che d’estate che, per incantesimo, si lasciavano mangiare solo là dentro, e non permettevano che li si portasse fuori. (…) Inoltre, non vi era uccello che voli sotto il cielo e che con il suo canto affascini e diletti e rallegri l’uomo di cui in quel giardino non si potesse udire la melodia; e ve n’erano in gran numero e di diverse specie. E la terra, per tutta la sua estensione, non produce pianta o spezia medicinale tale da guarire qualunque malattia, che non attecchisse in quel verziere, e non vi crescesse in grande quantità.”**
Il perimetro del giardino è delimitato da molti pali conficcati nel terreno, sui quali sono infilzate le teste di coloro che hanno precedentemente fallito la prova. L’ultimo palo, su cui è appeso un grande corno, è vuoto e attende d’essere riempito come gli altri, in questo caso con la testa dello stesso Erec nel qual caso non riuscisse nell’impresa; ma il giovane, per nulla intimorito, vuole ugualmente partecipare al gioco perché “non desidera altro che la Gioia”. Così, con passo sicuro, si incammina oltre la soglia del magico verziere.
Percorrendo uno splendido sentiero verdeggiante, egli giunge al centro del boschetto e vi trova una Dama seduta su un grande letto d’argento. Ella è così bella che Erec le si siede accanto, poiché desidera ammirarla meglio. Nello stesso istante, giunge al galoppo un Cavaliere dalle armi vermiglie, tanto alto e bello da non temere eguali. Questi, rimproverando Erec d’essersi seduto accanto alla sua Dama, lo sfida in una terribile battaglia all’ultimo sangue che, con grande fatica, Erec riesce tuttavia a vincere, concedendo volentieri mercè al valoroso avversario e ascoltando poi la sua storia: Maboagrain, questo è il suo nome, profondamente amato dalla Donna del letto d’argento ed a sua volta innamorato di lei, le promise di realizzare il suo desiderio, ovvero restare nel verziere combattendo per lei sino al momento in cui un uomo più abile di lui fosse riuscito a sconfiggerlo, liberandolo dalla “prigionia”. Quell’uomo è indubbiamente Erec e la sua vittoria è proclamata dal forte suono del corno, che egli stesso impugna e fa vibrare nell’aria con tutta la forza dei suoi polmoni.
Al grido del corno tutta la Corte esulta e viene pervasa dalla più grande Gioia mai esistita sulla Terra, poiché la prigionia del cavaliere è terminata, è giunta la fine del gioco periglioso e tutti trovano riconciliazione ed amore.
Enide, felice per la vittoria del suo amato, raggiunge la Dama del giardino e la consola per il suo profondo dolore, poiché ella crede che ora il suo cavaliere la abbandonerà. Le due donne, discorrendo, scoprono allora di essere cugine e, lasciando svanire ogni rammarico per la gioia d’essersi ritrovate, raccontano l’una all’altra le loro rispettive storie.
Consapevole della fine del suo lungo e pericoloso viaggio, Enide dichiara quindi che il suo signore “è cavaliere tanto valente che non se ne potrebbe trovare uno migliore. Ora non c’è più bisogno di mettere alla prova la sua bontà e il suo coraggio.”***
Al termine dei festeggiamenti, Erec torna alla corte di Artù e qui, dopo qualche tempo, riceve la notizia della morte di suo padre.
Nel passo finale della storia, il giovane cavaliere riceve quindi la sua ricca eredità e viene incoronato Re. Al suo fianco splende la bellissima consorte, ora nelle vesti di grande Regina.
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Il racconto, così narrato da Chrétien de Troyes, appare assai mitigato e raddolcito rispetto alla sua versione gallese, sebbene lo svolgersi delle due vicende sia pressoché identico. Nel Gereint e Enid, infatti, la storia scorre nello stesso modo, ma Enid è trattata in modo peggiore rispetto alla sua controparte francese. Ella, innanzitutto, viene incolpata personalmente per la perdita d’interesse di Gereint per i tornei; viene creduta un’adultera quando lamenta le sorti del suo amato e, prima del suo viaggio con Gereint, viene costretta ad indossare non l’abito più bello ma il più vecchio, logoro e malfatto. Inoltre, sono presenti alcune differenze, tra cui le due più significative si trovano nel premio donato ad Enid al termine della Caccia, che non consiste in un bacio di Artù ma nella testa del Cervo Bianco; e nel misterioso verziere in cui avviene la prova finale di Gereint. Questo è infatti chiamato “Chiuso della Nuvola” ed è avvolto in una densa nebbia. Nel suo centro sono presenti due troni, su uno dei quali siede la splendida Dama del Frutteto. Accanto a lei, il corno della vittoria è appeso ad un melo.
Come il verziere dipinto da Chrétien nei suoi versi, questo magico giardino richiama l’Altromondo, l’Isola delle Mele, Avalon.
I motivi simbolici presenti in queste due storie sono moltissimi ed ognuno di essi richiederebbe uno studio approfondito; tuttavia è sulla Dama Enide che porremo la nostra attenzione, sulla sua centralità e sul suo sacro ruolo nella vicenda.

Probabilmente condizionata dal periodo medievale in cui i racconti furono scritti, Enide appare a prima vista come una donna dimessa, umile e soggiogata ai voleri del compagno. Ciò che ella personifica al di là della sua apparente modesta umanità non è subito evidente ed occorre sollevare il sottile velo che la avvolge per svelare la sua natura divina e la sua appartenenza al regno oltre le nebbie. Ella, infatti, non proviene dal mondo degli uomini, ma giunge come Portatrice di Luce e Consapevolezza dai regni sottili per guidare l’eroe verso la realizzazione profonda e la completezza.
In seguito alla misteriosa Caccia al Cervo Bianco, che negli antichi miti e leggende è sempre preludio di un incontro con un essere dell’Altromondo, Enide arriva a corte per riceverne il premio, distinguendosi subito per il suo aspetto fatato.
La sua bellezza ultraterrena brilla come un raggio di luce e si eleva ben oltre quella delle donne del regno di Artù, per quanto nobili e graziose. Ella ritrae, infatti, la perfetta immagine della sublimità di Avalon, la Donna “nata per essere contemplata”, lo specchio dai labirintici riflessi nel quale si può rimirare il connubio d’ogni meraviglia terrestre e femminile, ovvero la più limpida Divinità.
Per questo è lei a vincere e a presiedere alla gara dello Sparviero così come alla Caccia al Cervo Bianco, che sono le prove rituali istituite dalla Sovranità atte a stabilire il Suo degno Campione, nonché a far conoscere Colei che è Sua effige sulla Terra. Enide governa i giochi perché lei rappresenta la Sovranità stessa, incarnata in una donna mortale e priva di attributi magici.
E Artù, chinandosi per posare le labbra sul suo luminoso viso, non fa altro che rinnovare il suo legame con la Dea Terrestre, promettendole nuovamente servizio, fedeltà e sincero amore.

Tuttavia, la Sovranità di Enide non si rivolge ad Artù che per un solo istante, indubbiamente simbolico e sacro, poiché è per Erec/Gereint che Essa si è manifestata.
Il matrimonio tra i due giovani è la dolce promessa ed il sottile legame tra colui che siederà sul trono e la Donna-Terra, ed Enide assume per lui il ruolo di divina Maestra e Guida ultraterrena verso l’acquisizione della Saggezza, necessaria al futuro Re per regnare secondo le Antiche Armonie.
Ella gli concede l’Amore divino, ma nel momento in cui egli dimentica il resto del mondo per essersi troppo abbandonato ad esso, la Dama lo risveglia dal languido torpore, invitandolo a recuperare e ristabilire la sua capacità di agire attivamente e a dimostrare il suo valore e la sua attitudine a regnare.
La reazione aggressiva di Erec/Gereint al richiamo di Enide può essere vista in due modi:
da una parte, può apparire come un atteggiamento dettato dall’immaturità e dall’inconsapevolezza, una pretesa di dominare la Donna e la Terra sottoponendola al proprio volere e imponendole il silenzio; dall’altra, sembra nascere dall’irruenza esuberante e focosa del giovane, che parte in cerca di avventure e pericoli per dimostrare alla Dama stessa e a tutta la corte che egli non è affatto un debole, ma un cavaliere valente e coraggioso.
Comunque sia, in entrambi i casi Erec/Gereint, ponendo Enide in una condizione apparentemente punitiva e facendola cavalcare innanzi a lui, non fa altro che affidarsi totalmente alla sua Guida.
Ella lo precede in ogni momento, ella sceglie le Strade, ella lo conduce lungo il Sentiero delle Sfide, indispensabili per il suo duro addestramento.
Le sfide della Dama sono le sfide della Sovranità, i Suoi giochi perigliosi atti a far emergere i rari cavalieri realmente degni di Lei. Sono molti, infatti, gli uomini che, seppur spregevoli e indegni, la bramano, pretendendo di rapirla e trattenerla con la violenza, la meschinità e l’inganno. Ma Enide mai si concede loro e nel momento in cui viene brutalmente colpita, ella urla.
L’urlo di Enide è l’urlo della Terra offesa e abusata ed è tale da fare tremare il suolo, tale da far rabbrividire il cielo ed impallidire le stelle, tale da risvegliare i morti dal loro sonno eterno.
Al grido di Enide, Erec riemerge repentinamente dall’oblio e poco tarda a porre fine alla misera esistenza di coloro che così gravemente l’hanno offesa.
Egli si dimostra abile a difendere ed onorare la Sovranità, poiché servendo, difendendo e amando Enide, Erec serve, difende e ama la Terra.
La sua abilità ed il suo coraggio, inoltre, sono tali da permettergli di superare non solo le prove sulla Terra ma anche quelle nell’Altromondo, simboleggiato dal verziere incantato. Egli siede sul trono accanto alla Dama del Frutteto (Cfr. Gereint e Enid), ovvero alla Sovranità dell’Altromondo, e vincendo il Suo Campione conquista la gloriosa Gioia della Corte, l’Armonia divina che solo un Re Sacro, riconosciuto dalla Dea terrestre e ultraterrena, è in grado di generare.
Attraverso l’Amore per Enide, egli porta a compimento il suo compito e lo scopo della sua vita.

L’identificazione di Enide con la Sovranità terrestre, come abbiamo visto, appare piuttosto chiara nelle due narrazioni. Essa, tuttavia, potrebbe trovare un’ulteriore conferma nella probabile origine del nome della Dama. “Enid” o “Enide”, infatti, sembra derivare dal nome di un territorio bretone, il “Bro Wened”, e questa ipotesi renderebbe evidente la provenienza della fonte originaria del racconto, nonché il suo intimo significato: esso ritrarrebbe proprio l’allegoria dell’unione tra il Sovrano e la Terra, tra l’eroe e l’eroina, la quale rappresenta la dea tribale del territorio da lui conquistato (Cfr. Trioedd Ynys Prydein).
L’archetipo di Enide, inoltre, appare simile a quello della splendida Rhiannon, anch’essa donatrice di Regalità sacra giunta dall’Altromondo per amore di un uomo con lo scopo di guidarlo ed aiutarlo a realizzare il suo Destino. Un Destino in cui l’umano e il divino si intrecciano amabilmente in un’unica trama.
Enide è l’Essenza che si fa carne e sangue per l’umanità. La Buona Conduttrice nella Ricerca della Gioia Divina.
Come Rhiannon, ella è costretta a subire una pena ingiusta nata da un fraintendimento, nonostante sia proprio tramite questa pena che ella riesce a svolgere il suo ruolo e a raggiungere il suo scopo; e con Rhiannon condivide uno dei suoi simboli, ovvero il cavallo, la sua costante cavalcatura durante la Guida del cavaliere.
Esso è uno degli animali più legati alla Sovranità, alla Terra dura e rigogliosa, fiera e selvatica, impetuosa e al contempo splendidamente elegante, e simboleggia l’Anima selvaggia terrestre che nulla può imbrigliare, a meno che non sia Lei stessa a concederlo, donando i suoi favori all’uomo sufficientemente degno di riceverli.
Accanto al cavallo, un altro simbolo di Enide è il Cervo Bianco, anch’esso animale fortemente simbolico della Sovranità. Esso rappresenta l’eterno Amore che genera le nozze sacre, ovvero l’unione profonda tra il Sovrano e la Terra, legati da un matrimonio inestricabile poiché tanto viscerale da sopravvivere oltre la vita, la morte e l’intera esistenza.
Enide stessa compare in seguito all’apparizione del Cervo poiché ella è la Dama Cervo, colei che è Fonte d’Amore, Maestra d’Amore, Conduttrice d’Amore.
In queste vesti, ella richiama l’eroe all’avventura, lo spinge ad addentrarsi nel groviglio boschivo e ad inseguirla, poiché è lei che governa la Caccia e lei che costituisce il Premio.
Unendo le sue mani a quelle del Re, Enide gli svela lo spirito imperituro di Avalon.
Attraverso l’Amore sacro, ella dispiega le Vie che conducono alla Gioia profonda.


Volgendoci al contesto delle feste dell’anno, Enide potrebbe essere associata al periodo che ruota intorno al Solstizio d’Estate, ovvero al cammino che volge verso la massima luce e al suo culmine più splendente.
Il trionfo della Gioia generata dalla Consapevolezza a cui porta Enide, infatti, richiama la più intensa luminosità interiore che perfora gli occhi, il cuore ed il corpo e si riversa all’esterno come onda inebriante, un’onda che solo la lucentezza estrema del Solstizio può rappresentare, sebbene essa sia molto più grande di quanto si possa umanamente immaginare.
Lungo il percorso dei raggi solari, Enide cavalca fiera e splendente e ai suoi passi ogni oscurità cessa immediatamente di esistere, attenuandosi e scomparendo dinnanzi alla prorompente Luce divina. Così come le ombre svaniscono all’incedere glorioso del sole estivo.
Ogni malinconia lascia il posto alla limpidezza e la notte, vista come buio del Cuore e dell’Anima, appare tanto lontana da divenire inconsistente, irreale, fittizia.
Seguendo Enide con Amore puro, la Via del Cuore che ella governa sboccerà davanti al nostro sguardo di stelle.
Percorrendo la scia del suo cammino, Avalon comparirà magnifica all’orizzonte e, nell’abbandono più completo, si potrà abbracciare la Gioia dell’Anima


*Cfr. Chrétien de Troyes, Erec e Enide. Mondadori, Milano, 1994. Pag. 9
** Ibidem. Pag. 85-86
*** Ibidem. Pag. 93



Fonti

Chretien de Troyes, Erec e Enide, in I romanzi cortesi (a cura di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini), 5 voll., Milano, Mondadori, 1994
Chretien de Troyes, I romanzi cortesi, Firenze, Sansoni, 1962
Gereint e Enid, in The Mabinogion (a cura di Gwyn Jones e Thomas Jones), London, Everyman, 2004
I racconti gallesi de I Mabinogion, in Saghe e leggende celtiche (a cura di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini), 2 voll., Milano, Mondadori.
Matthews, John, Guarire con il Graal, Torino, Amrita, 2000
Matthews, Caitlin, King Arthur and the Goddess of the Land, Rochester (Vermont), Inner Traditions, 2002
Matthews, Caitlin e John, Ladies of the Lake, SanFrancisco and London, Harper, 1992
Trioedd Ynys Prydein: The Welsh Triads (Second Edition) (a cura di Rachel Bromwich), Cardiff, University of Wales Press, 1978.
Immagine di Roland Wheelwright, Enid and Geraint

Un ringraziamento speciale ad Alessandro per l'aiuto nella ricerca delle fonti.


Articolo scritto da Violet. Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso dell'autrice e senza citare la fonte.



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