Il Tempio della Ninfa

I bardi, la musica e l'arpa celtica

Articoli / Celti
Inviato da ValerieLeFay 18 Dic 2007 - 15:11

Presso i Galli, generalmente parlando, vi sono tre categorie di uomini che sono tenuti in eccezionale onore: i bardi, i vati ed i druidi.
I bardi sono cantori e poeti, i vati veggenti e filosofi della natura ed infine i druidi insieme alla filosofia naturale studiano anche la filosofia morale.

Strabone, Geographica

Il viaggio dei poeti comincia sfiorando con le dita un candido ramo d’argento.
Una dama ultraterrena di candida bellezza lo dona sorridendo dolcemente.
È un richiamo che non può essere eluso, un fremito del cuore che si spande nell’infinito.
E giungono visioni, e ispirazioni.
L’animo del poeta si schiude, ed irrompe il divino.

Poiché nell’antichità il canto e la poesia sono dono diretto degli Dei, le melodie che sgorgano dalle voci dei poeti sono dettate direttamente dalla Dea, dalla musa, da Ceridwen.
Il poeta ascolta il divino canto e su di esso modella i suoi componimenti.
Egli è il ponte tra il mondo umano ed il mondo del divino, suo compito è portare la magia dello spirito nel mondo della materia, evocare la sacra ispirazione che permette di vedere oltre il tempo e lo spazio.
Durante i rituali è al bardo che spetta il compito di evocare gli Dei.
Il suo corso di studi è lungo e richiede impegno e dedizione costanti, coraggio e tenacia.
Esso si basa sulla memoria ed avviene lontano dalla vita sociale, nei nemeton druidici immersi nei boschi. Poiché è solo tramite il contatto costante con la natura e con le antiche armonie che nell’animo dell’uomo scaturisce l’abbandono necessario per aprirsi alla saggezza ed all’ispirazione.
L’insegnamento infatti era basato sul mondo interiore dell’iniziato ed era esoterico nel vero senso del termine, poiché faceva scaturire la diretta conoscenza e saggezza spirituale come un illuminazione improvvisa e perenne.
Ciò rende il bardo molto vicino all’uomo selvaggio, al saggio dei boschi che talvolta è considerato folle (soprattutto in epoca medievale), poiché la sua mente, lontana dalle regole sociali e quindi libera e pura, è incomprensibile per la maggior parte delle persone.
E tale è anche il suo linguaggio.
Esso viene chiamato “Bérla na Filed”, che è composto da parifrasi, enigmi e metafore legate alla tradizione ed è ricco di enigmi che non potevano essere sciolti dai non iniziati.
Compito del bardo è anche perpetuare le tradizioni ed i racconti storici e mitologici del suo popolo, cantare le genealogie dei clan o delle tribù.
Inoltre tramite una loro lode essi potevano innalzare un re o un guerriero, ma con una satira potevano altrettanto facilmente farlo cadere in disgrazia o addirittura detronizzarlo.
Benché allevati lontano dalla società il loro ruolo all’interno di essa era fondamentale, ed un capo clan o un re non poteva essere considerato tale se non era stato ufficialmente riconosciuto da un druido.
L’esempio più famoso di questo legame lo si può scorgere nelle saghe arturiane, dove il rapporto di Merlino con i vari sovrani è rivelatore.
Merlino incarna perfettamente il ruolo del druido e del bardo (sono solo le fonti classiche a fare nette distinzioni, spesso le fonti celtiche non si preoccupano di dare nomi diversi a coloro che esercitavano la saggezza), il ruolo di colui che, pur vivendo lontano dal regno, lo plasma e lo crea.

Essi hanno anche dei poeti lirici, che chiamano bardi. Cantano, accompagnandosi con strumenti simili a lire, talvolta dei panegirici talaltra componimenti detti satire.
Di ciò ci informa Diodoro.
La poesia infatti era spesso cantata, e non recitata, ed i poeti erano anche ottimi compositori, che accompagnavano la loro poesia con la musica di vari strumenti.
Questi, secondo gli autori classici erano lire, tamburi, flauti e trombe.
Ma lo strumento più diffuso e decantato nella poesia fu senza alcun dubbio l’arpa.
Ad oggi il più antico modello di arpa celtica risale al 1046 ed è l’arpa dell’ultimo re d’Irlanda, Brian Boru, che si trova esposta al Trinity College di Dublino.
Tuttavia in incisioni del VII secolo si trovano già testimonianze dell’uso dell’arpa presso i popoli celtici.
L’arpa è “il sussurro del dolce albero di mele”*, e risponde con suono cristallino all’ultraterrena chiamata del ramo d’argento.
Poiché l’arpa è, con la sua forma talvolta simile a quella di un imbarcazione, simbolo del viaggio mistico verso l’altromondo.
Essa è legata all’acqua e parimenti al fuoco, poiché secondo alcuni il suo nome deriverebbe da una radice (AR) designante tale elemento.
Nelle sue forme morbide si può scorgere il lungo collo del cigno, animale magico anch’esso tramite tra mondo terreno e mondo celeste.
L’arpa è quindi intuito e trasformazione, sacrificio e mutamento.
Nel viaggio spirituale è compagna e musa, ed il bardo suona l’arpa ed il flauto con la naturalezza con la quale respira.
Nella mitologia sono ricorrenti arpe dotate di magici poteri.
Intrigante è la leggenda bretone delle grandi pietre trasportate da Merlino dall’Irlanda alla Britannia col solo suono della sua arpa d’oro, e disposte nella cosiddetta “danza dei giganti”, da alcuni identificata con la famosa Stonehenge.
Ma l’arpa forse più famosa è quella del Dio irlandese Dagda, che racchiude in sé tutte le melodie, e viene sottratta al Dio dai Fomori alla vigilia della seconda battaglia di Mag Tured:
Lug, il Dagda e Ogma seguirono poi i Fomori che avevano rapito Uaithne, l’arpista del Dagda. Giunti nella sala del banchetto dove si trovavano Bres e il padre Elatha figlio di Delbaeth videro appesa al muro proprio l’arpa nella quale il Dagda aveva racchiuso le proprie melodie in modo che risuonassero soltanto al comando della sua voce. E il Dagda intonò questi versi:
Vieni Daurdabla!
Vieni Coir Cethar Choir!
Vieni estate!, vieni inverno!
Voci di arpe, mantici e cornamuse!

(l’arpa aveva infatti due nomi: Daurblada, o quercia dai due verdi, e Coir Cethar Choir, musica dai quattro angoli.)
Allora l’arpa si staccò dal muro e uccise nove uomini prima di andare dal Dagda, che suonò per i Fomori le tre arie che distinguono l’artista: la melodia del pianto, quella della gioia e quella del sonno. Quando suonò l’aria del pianto le sensibili donne dei Fomori cominciarono a lacrimare; quando intonò quella della gioia risero le donne ed i ragazzi; infine, con l’aria del sonno, caddero addormentati i guerrieri. In tal modo i tre eroi fuggirono incolumi ai Re Fomori, che avrebbero invece voluto ucciderli.

Dall’arpa si possono trarre infinite melodie con le quali incantare i cuori delle persone ed il bardo, o il vate, è il druido che agisce per portare con la sua voce e la sua musica la fascinazione del divino nell’animo umano.
Ma abbiamo visto come il bardo si consideri solo un ascoltatore, come a cantare in realtà sia la Dea, la musa.
Due sono le Dee care ai cantori.
L’irlandese Brigit e la gallese Ceridwen.
In gallese infatti la poesia e le arti ispirate hanno nome Cerdd o Cerrddeu, la stessa radice presente nel nome della Dea alla quale loro si consideravano votati.
La Dea che, tramite le sue sfide e le sue numerose prove, dona la vita e l’ispirazione del più famoso tra i Bradi: Taliesin.
La loro storia, tessuta di desiderio, inseguimenti, morte e rinascita, è l’emblema del percorso del bardo, un percorso lungo con numerose sfide da superare e molto da apprendere.
Ma il calderone della Dea trabocca di Awen, ed il suo gusto dolceamaro condurrà verso l’illuminazione.


*Citazione da La Battaglia di Mag Tured


Fonti

Dizionario di mitologia celtica, Miranda Green. Bompiani
Il segreto dei druidi, P.B Ellis. Piemme Edizioni
Magia dell’arpa celtica, Patrick Ball. Edizioni Red
L’arpa celtica, Hal Belson. Edizioni della Terra di Mezzo
Il druidismo, Jean Markale. Edizioni Mediterranee
Il vischio e la quercia, Riccardo Taraglio. Edizioni l’Età dell’Acquario
La Dea Bianca, Robert Graves. Adelphi
Saghe e racconti dell’antica Irlanda, a cura di G. Agrati e M. L. Magini. Mondolibri
Taliesin, John Matthews. Inner Traditions


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