Il Tempio della Ninfa

Abete

Articoli / Erbario
Inviato da Violet 10 Dic 2007 - 04:38

ABETE
Albies alba (Abete bianco), Picea abies (Abete rosso)

Antico inglese: fyre; Antico alto tedesco: fiotha, fortha; Bretone: sapr; Gallese: ffnidwydden; Gaelico scozzese: giuthas; Gaelico: giùis; Antico irlandese: ailm.




Riconoscimento e proprietà terapeutiche

L’abete fa parte della famiglia delle Pinacee. Preferisce crescere in montagna (1200-2000 metri), ha la forma di un cono eretto e slanciato e può superare i 60 m di altezza (l’abete bianco raggiunge 60m, quello rosso 68m).
Ogni anno mette una nuova cerchia di rami, e per questo si possono riconoscere gli abeti più vecchi, ampi ed irregolari, da quelli più giovani, più ordinati e regolari.
La sua corteccia è piuttosto liscia, tendente al grigio e più scura col trascorrere degli anni; le sue foglie, ovvero gli aghi, sono di un bel verde intenso, che nell’abete bianco si colora d’argento nei rami inferiori e più vecchi, diversi da quelli superiori color verde lucido. Le gemme sono molto preziose in fitoterapia, poiché contengono una grande quantità di resina balsamica.
L’abete è monoico, ovvero contiene in un singolo albero sia i fiori maschili, in amenti piccoli e rotondi, rossicci all’inizio e giallognoli in seguito; sia quelli femminili, ovali, piccoli ed eretti, di solito presenti sulla sommità piuttosto che sui rami inferiori. I coni fertilizzati si ingrandiscono pian piano, diventando più lunghi, e rilasciano i loro semi alati in autunno. Nell’abete bianco questi coni (le pigne) rimangono eretti e attaccati ai rami, mentre in quello rosso diventano penduli e dopo aver rilasciato i semi cadono a terra.
L’abete bianco ha origine nelle montagne dell’Europa Centrale.
Come l’abete rosso, non ha bisogno di molta luce, ed infatti per molti anni cresce all’ombra dell’abete madre.
L’abete rosso sopporta molto bene il freddo ed una certa siccità, ma rifugge il caldo torrido. Le sue radici crescono abbastanza in superficie su terreni poveri, ma penetrano in profondità se il terreno è più ricco.
Sia l’abete rosso che quello bianco possono vivere dei secoli, raggiungendo addirittura gli 800 anni di vita.

In medicina la parte dell’abete maggiormente usata sono le gemme, molto preziose perché contengono una grande quantità di resina e di olio essenziale, i quali vengono utilizzati in diversi modi.
Esse sono disinfettanti e cicatrizzanti per ulcere e ferite, stimolanti per la circolazione del sangue, molto balsamiche ed emollienti, aiutano a fluidificare il muco e quindi leniscono la tosse, dalla più leggera, portata dalle tipiche influenze invernali, alla più grave, provocata da bronchiti, polmoniti e pertosse; alleviano i dolori reumatici, sono depurative per le vie urinarie e sono ottime per bagni invernali, rigeneranti e curativi in caso di influenze e malesseri stagionali.
Dalla distillazione della resina purificata e disidratata si ricava la trementina, ottimo curativo per le ulcere, le scottature e le affezione delle vie respiratorie. Anche l’olio essenziale, vaporizzato, libera il naso e dona sollievo alla respirazione, mentre sia l’olio che la corteccia bruciata come incenso sono purificanti per l’ambiente circostante.
Sempre dall’abete si ricavano la pece ed il catrame.


Ricette curative
(in caso di allergie consultare sempre il medico)

Bagno curativo invernale: in un litro d’acqua portare ad ebollizione 100g di miscela di abete (aghi e gemme) e bollire per 15 minuti. Aggiungere all’acqua nella vasca senza prolungare il bagno oltre i 20 minuti.

Infuso contro la bronchite (e la tosse in genere): in un litro d’acqua bollente porre in infusione 80g di gemme d’abete per 10 minuti. Bere due tazze al giorno dolcificate con molto miele.

Bagno curativo per la leucorrea: mettere in infusione 100g di gemme d’abete in un litro d’acqua bollente per 10 minuti. Unire all’acqua nella vasca e sciacquare bene la parte interessata.

Infuso curativo per le ulcere: portare ad ebollizione un litro d’acqua con 30g di gemme d’abete, e lasciar bollire per 10 minuti. Disinfettare con delle pezzuole.


Miti, tradizioni e usi magici

Candido e silenzioso, l’inverno si posa come un manto sugli ombrosi boschi di montagna. Le conifere ondeggiano gentili all’apice, mosse dall’aria gelida, e soffici fiocchi di neve discendono delicati, come piccoli sogni sospinti dall’alto respiro ad incantare la terra.
La natura dorme… la vita si assopisce… gli abeti vegliano.

Nel cuore dell’inverno, mentre moltissimi alberi si spogliano e in apparenza abbracciano la morte, l’abete conserva il suo verde intenso, i suoi aghi e la sua chioma folta e resistente. Questa sua caratteristica, simile a quella degli altri sempreverdi, fu interpretata dagli antichi come simbolo di immortalità, di vita pulsante che perdura immutata al di là dei cicli d’esistenza sulla terra; al di là del sonno e del risveglio che si susseguono incessanti.
L’abete è simbolicamente legato al solstizio invernale, poiché richiama la rigenerazione profonda, lo sbocciare della vita luminosa nel centro dell’oscurità, e quindi la rinascita del Sole lucente, il cui cammino di discesa nelle profondità della terra si conclude nella notte più lunga dell’anno e quello di emersione ha inizio, in concomitanza con l’allungarsi delle giornate.
Fra i popoli celtici, era un albero molto caro alla Dea ed era connesso alle buone influenze lunari protettrici delle nascite, non soltanto dei bambini ma anche delle creazioni partorite dall’ispirazione. La nascita, infatti, era vista in modo più ampio e coinvolgeva tutti i graziosi frutti nati e maturati dai propri semi, affidati alla terra perchè germogliassero.
Con torce fatte di legno d’abete, nelle isole Orkney di Scozia veniva dato il benvenuto ai neonati: passando per tre volte intorno al letto su cui giaceva la madre col bambino tra le braccia, si “segnava” il nuovo venuto e si donava forza a lui e alla donna, che da quel momento iniziavano insieme una nuova vita.
Anche in Grecia l’abete era collegato alla Luna e alle nascite. Il suo nome greco, “elàte” era lo stesso di una divinità femminile protettrice delle donne partorienti e dei neonati, Elate appunto, Dea della Luna nuova che veniva anche chiamata Kaineides, da “kainizo”, ovvero “rinnovare, portare cose nuove”.
Sempre in Grecia l’abete era sacro alla sacra Cacciatrice silvestre, Artemide la libera, l’indipendente eterna Fanciulla, e questo legame con la figura della Cacciatrice si ritrova anche in Polonia, nei cui boschi di abeti si credeva vagasse uno spirito femminile di nome Dziwitza, una cacciatrice fatata proprio simile alla Dea greca e alla Diana romana.
Un altro spirito femminile delle leggende polacche si diceva dimorasse all’interno dell’abete. Il suo nome era Boruta.
In Savoia questo magnifico albero era considerato una cura contro il malocchio e si pensava proteggesse dalla caduta rovinosa dei fulmini. La sua punta veniva appositamente tagliata, così che i rami distesi richiamassero l’immagine di una mano aperta rivolta verso il cielo, la quale avrebbe trattenuto le scariche elettriche senza lasciare che colpissero la terra.
Nelle alte montagne del Tirolo e della Svizzera, invece, si credeva che lo spirito del bosco abitasse proprio in un vecchio e maestoso abete. Questo albero, infatti, è più alto degli altri ed ispira l’immagine di un anziano rugoso, sebbene forte e possente, dalla vita immortale e dall’infinita saggezza. Per questo motivo gli abeti più vecchi non venivano mai abbattuti, ma al contrario erano rispettati oltre ogni misura. In essi poteva nascondersi la benevola entità selvatica, Re della Foresta, la cui voce poteva essere udita nei lievi mormorii delle foglie mosse dal vento.
Lo spirito del bosco sopravvisse nelle leggende popolari e nelle fiabe, rappresentato come un vecchio uomo grande e grosso con un abete sradicato sotto al braccio. Si diceva che fosse molto benevolo e che vegliasse sul bestiame, donando abbondanza e fortuna alle fattorie.

Ma la tradizione più nota legata all’abete è senza dubbio quella dell’Albero di Natale, proveniente dalle fredde terre della Germania e della Scandinavia.
Qualche sera prima del solstizio d’inverno si andava a cercare nel bosco un bell’abete folto e non troppo alto, e lo si portava in casa, accanto al caminetto, per decorarlo. Sui suoi rami venivano appesi ogni sorta di dolciumi, candeline luminose e uova dipinte, a simboleggiare il ritorno della luce e la rinascita della vita.
Intorno all’albero si festeggiava, si consumavano banchetti e si gioiva, danzando e cantando. Come manifestazione d’amore e buon augurio ci si scambiava piccoli doni all’ombra dei suoi rami; doni che avrebbero poi richiamato e nuovamente trasmesso la felicità provata nella notte solstiziale.
L’abete, così tradizionalmente addobbato, veniva considerato come una delle manifestazioni dell’Albero della Vita, l’asse cosmico che metteva in comunicazione i diversi livelli d’esistenza, ovvero il regno sotterraneo, quello terrestre e quello celeste. Per questo si credeva che potesse comunicare i messaggi delle donne e degli uomini alle divinità sottili.
Ad un livello più profondo, esso potrebbe rappresentare il luminoso nucleo interiore, ovvero la piccola luce che arde come un fuoco perenne al di là del buio, del freddo e della sterilità. Essa non si spegne mai, nonostante l’inverno, nonostante la morte e la fine dei cicli vitali. Anzi, brilla più intensamente, poiché un lume nel buio luccica più forte e bello, mostrando lo splendore che la luce del giorno confonde e nasconde alla vista.
Anche nelle piccole morti simboliche che avvengono durante la vita corrente, ovvero nelle cadute dolorose dalle quale è difficoltoso rialzarsi, l’abete rappresenta una forte guida verso il ritrovamento dell’equilibrio, poiché mostra la luminosità profonda che a volte si riesce a scorgere proprio nei momenti più difficili. Esso vive nonostante tutto, ma più degli altri alberi mostra la continuità della vita profonda, la promessa della rinascita intrisa di nuova forza e resistenza.

Con l’avvento del cristianesimo la tradizione dell’albero di Natale, con le sue feste gioiose, i suoi banchetti e la sua allegria venne vietata e la presenza di un abete addobbato nelle case fu considerata oscena ed immorale. Una gran moltitudine di boschi di abeti furono abbattuti, a dimostrare la povera ignoranza umana, e per molti secoli l’albero decorato con dolcezze ed amore non occupò più le case nei giorni solstiziali.
Tuttavia nel XIX secolo esso fu reintrodotto alla corte di Francia, e da lì in moltissimi altri paesi d’Europa e del mondo. Il cristianesimo dichiarò allora che l’albero di Natale sarebbe stato effige della nascita del Cristo, della sua generosità e del suo amore per tutte le genti, e così esso fu accettato. Da allora la sua presenza allieta le nostre feste invernali, conservando i suoi antichi significati gioiosi e benaugurali, sebbene quasi più nessuno li ricordi.

L’abete trasmette una profonda quiete, una calda sicurezza che nasce dall’equilibrio e dalla forza di resistenza. Come un vecchio saggio centenario, un antico Re dei boschi e delle foreste, esso insegna a rimanere in piedi, eretti e a testa alta, nonostante le difficoltà che si incontrano sul Cammino, poiché la luce della vita persiste e l’inverno, così come la morte, non è altro che un passaggio momentaneo e tutt’altro che definitivo.
L’abete rimane immutato durante questi passaggi. Come un possente Guardiano innevato ed elegante, il suo spirito veglia sul sonno dei dormienti, sul loro percorso sotterraneo e sulla loro gioiosa rinascita.
Sotto ai suoi rami siamo come bimbi protetti, circondati di dorate ricchezze e di dolci e lucenti promesse.


Piccole magie con l'Abete [1]



Fonti

Lo spirito degli alberi, Fred Hageneder, Ed. Crisalide
Il Vischio e la Quercia, Riccardo Taraglio, Ed. L’Età dell’Acquario
Le erbe officinali, antica medicina dei celti, Plinio il Vecchio, Diancecht, Ed. Keltia
Segreti e Virtù delle piante medicinali, Selezione dal Riders Digest
Florario, Alfredo Cattabiani, Ed. Oscar Saggi Mondadori
Il grande libro delle piante magiche, Laura Rangoni, Ed. Xenia
Il libro completo delle Erbe, Deni Bown
Alberi, La Biblioteca della Natura
Erbe, La Biblioteca della Natura
Il grande libro delle piante medicinali, Roberto Michele Suozzi. Grandi Manuali Newton


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