Il Tempio della Ninfa

Le origini della Befana: le Dee di Luce e Fortuna

Articoli / Archetipi
Inviato da Violet 29 Gen 2009 - 04:29

La Befana vien di notte
Con le scarpe tutte rotte
Viene e bussa alla tua porta
Sai tu dirmi che ti porta?

Una delle versioni della Filastrocca della Befana

Le ombre della notte si stendono, morbide e materne, ad ammantare gli stretti vicoli dei borghi pietrosi, illuminati solo dalle calde luci delle lanterne ad olio. Nel loro calare, portano il mistero di ciò che verrà, la speranza di doni luminosi, l’attesa per il compiersi di un’antica magia…

Accanto ai caminetti accesi e crepitanti, i bimbi appendono con gioia le loro calzette colorate, sognando ad occhi aperti il momento in cui, alle prime luci del mattino, le ritroveranno piene di mille sorprese.
Trattengono il respiro, mentre cercano di restare svegli, nonostante il sonno che chiude i loro occhietti…
Aspettano che lei arrivi, per portar loro ciò che hanno meritato.




Narra la nostra tradizione che la fredda notte del sei gennaio, solcando i cieli nevosi sulla sua scopa, la Befana si rechi a far visita alle case e a coloro che vi abitano, con un occhio di riguardo speciale per i bambini. Ha l’aspetto di una vecchia molto brutta, con la faccia segnata da profonde rughe, il naso lungo e adunco, il mento sporgente e ben pochi denti in bocca, e le sue vesti sono povere, scure, strappate e rattoppate qua e là. Ma nonostante il suo aspetto, talvolta spaventoso e temibile, lei è una donnina molto buona e gentile, dispensatrice dei doni che tiene nel suo grande sacco di iuta.
Volando di casa in casa scende sui tetti e si infila nei camini, poi si guarda attorno e a seconda di ciò che vede, scrutando fin nel profondo del cuore i piccini che sonnecchiano tranquilli, riempie le calze lasciate appositamente per lei con ciò che ritiene giusto che contengano: bei giocattoli, dolci e caramelle colorate se ciò che scorge oltre le apparenze è bello e luminoso, ovvero se i bambini sono stati buoni, oppure grandi quantità di carbone, cenere o cipolle se intuisce comportamenti cattivi e disarmonici.
La figura della Befana, così come oggi la conosciamo, è ciò che resta di qualcosa di molto antico, qualcosa che la religione cristiana e l’avvento dell’era moderna non hanno potuto travisare o desacralizzare completamente (1). La si onora ancora, attualmente, come manifestazione dell’anno vecchio che viene bruciato in simbolici feticci per propiziare un anno nuovo prospero e fortunato, e i regali che elargisce sono visti come allegorie dei buoni e positivi propositi per i mesi a venire – i dolci – e dei residui del passato – il carbone e le ceneri.
Tuttavia queste credenze non sono che labili reminescenze di un passato quasi dimenticato, un tempo lontano nel quale la sdentata nonnina era ancora considerata uno dei volti delle antiche e potenti Dée Madri generatrici del Tutto, e in modo particolare di quelle che facevano parte della tradizione germanica e celtica.
Soprattutto nelle splendenti Holla, Berchta e Frigg possiamo infatti ritrovare le vere radici della cara vecchina vestita di laidi stracci, così come il prezioso significato della sua visita nelle nostre case e della distribuzione dei suoi doni misteriosi.

Per riscoprire queste origini ed osservarle da vicino, affronteremo queste divinità una per volta, nelle loro piccole differenze così come nelle loro ricorrenti similitudini, che fanno di tutte una.


Holla, Holda, Frau Holle

La dea Holla dal volto luminoso e le vesti candide come la neve, era un tempo la signora del gelido inverno, custode del focolare, protettrice della casa, degli animali domestici e dell’arte della filatura. Solitamente aveva l’aspetto di una donna vecchia, con il viso rugoso, i capelli canuti e scarmigliati dal vento e lo sguardo gentile e benevolo; ma le sue sembianze erano mutevoli, e molti i suoi volti.
Nelle notti del solstizio d’inverno scendeva sui campi innevati per benedirli e accertarsi che fossero fertili e pronti per le semine. Cavalcava uno splendido cavallo bianco e stormi di cicogne e rondini la precedevano e ne annunciavano l’arrivo. Al suo seguito vi erano cortei di splendide fanciulle, che volavano in groppa a gatti, cani, caprette e molti altri animali, e intorno a loro cantavano e suonavano le anime gioiose dei bambini non nati o morti nei primi anni d’età.
In tal guisa la dea si recava a visitare le case entrando dalla cappa del camino, e spargeva generosamente i suoi doni di luce e fortuna in quelle in cui trovava armonia, pulizia e ordine. Ma se durante le sue visite trovava abitazioni abbandonate alla sporcizia, al disordine e alla disarmonia, lei le malediceva, oppure semplicemente se ne allontanava portando via con sé le sue buone benedizioni.
Per propiziare la sua benevolenza si usava lasciare delle offerte di cibo sui tetti e accanto al focolare, oppure, come forse accade ancora, le si lasciava una tazza di latte tiepido, il cui avanzo veniva dato da bere al bestiame la mattina seguente, perché ne avrebbe aumentato la fertilità.
Talvolta, nel suo vagare notturno, la dea preferiva viaggiare sul suo carro scintillante, sfidando bufere di neve e gelide tempeste, e poteva succedere che nella corsa selvaggia questo si danneggiasse. Ma se lungo il sentiero passava qualche buon uomo che si offriva di ripararlo, lei gli regalava in cambio dei trucioli di legno fatato, che presto si sarebbero trasformati in puro oro.

Come signora della filatura, in particolare del lino, Holla era protettrice delle filatrici, che si intrattenevano al loro arcolaio fino tarda sera. Quest’arte veniva infatti svolta solo dopo tutti gli altri lavori domestici, nel silenzio e nella quiete della notte, ed era percepita e vissuta come un vero e proprio atto rituale femminile, che poteva connettere le abili lavoratrici alla percezione del disegno del proprio destino, nonché alla dimensione divina in cui vivono gli spiriti delle antenate.
Nelle sue visite solstiziali, la dea osservava scrupolosamente il filato che le donne producevano e il modo in cui esse lavoravano, e si compiaceva di quelle che filavano con cura e impegno, premiandole con gomitoli della migliore lana, o del lino più fine, che non si esaurivano mai; oppure con conocchie dorate o riempite di un prezioso filo d’oro, con il quale potevano tessere tele incantate. L’oro che Holla donava a coloro che le prestavano un buon servizio o che filavano bene è tuttavia da intendersi non tanto come ricchezza materiale, che per sua natura appartiene solamente alla realtà umana e comune, ma come ricchezza e luminosità che provengono dal reame divino, e che infondono amore, armonia e gioioso appagamento interiore.
Talvolta poteva accadere che le donne si svegliassero la mattina e trovassero il proprio lavoro di filatura terminato, e anche questo era segno che la dea aveva apprezzato ciò che aveva veduto.
Ma non di rado capitava che Holla incontrasse filatrici negligenti, pigre e distratte, le quali producevano un brutto filato e davano poca cura a tutto ciò che facevano. In questo caso lei aggrovigliava, sporcava di cenere o rompeva il loro lavoro, gettando le loro conocchie a bruciare nel camino.
In ogni caso, era usanza comune quella di finire tutti i lavori di filatura entro il solstizio d’inverno – o entro il giorno di Natale – per non lasciare nulla di incompiuto e per evitare che la dea si adirasse. Nei dodici giorni dopo la festività solstiziale o natalizia, infatti, il fuso non doveva essere toccato.

In epoca cristiana, a proposito di questa credenza, era d’uso tra le giovani filatrici riempire le conocchie di lino la notte della vigilia di Natale, lasciandole così fino al mattino, perché si credeva che Holla, vedendole al suo passaggio, avrebbe detto: “Tanti fili, tanti anni buoni”.
Le fanciulle dovevano poi liberare subito le conocchie, perché se sulla via del ritorno – che avveniva l’ultima notte dell’anno, oppure il sei di gennaio – la dea avesse visto le conocchie ancora piene, avrebbe detto: “Tanti fili, tanti anni cattivi”.

***

Con il finire dell’inverno, lo scioglimento della neve e dei ghiacci e il rinverdire della terra, anche dama Holla mutava il suo aspetto, riprendendo tutte le sfumature del ciclo stagionale della natura. Il suo volto di vecchia e la pelle raggrinzita ringiovanivano completamente e lei diventava una fanciulla bella e radiosa come gli alti raggi del sole. Il suo corpo tornava florido, la pelle morbida e lattea, e una bianca luce si irradiava da lei, risvegliando alla vita tutto ciò che toccava.
La si poteva scorgere mentre, nuda, faceva il bagno in una limpida sorgente, in un fiume o in un lago, ma la visione non durava che un solo istante.
In questo aspetto, si narrava che Holla amasse abitare nelle belle montagne, nelle grotte umide, nei misteriosi sotterranei pieni di tesori e pietre preziose, e che trascorresse molto tempo sotto la superficie dei laghi e nelle fonti, che le erano sacri e donavano guarigione a coloro che vi si bagnavano.
Inoltre, si diceva che le sorgenti tanto care alla dea fossero dei luoghi di confine e di passaggio fra i due mondi, quello comune abitato dagli uomini e quello divino. Tramite questi magici specchi d’acqua si pensava che le anime dei bimbi entrassero nel mondo e, trasportate da maggiolini fatati o dalla maestosa cicogna, andassero ad abitare per qualche tempo nel grembo delle loro madri terrestri. Per questo motivo le donne che desideravano dei figli vi si immergevano a lungo, propiziando così la loro fertilità e chiedendo la benedizione di Holla, che avrebbe vegliato su di loro sempre.

La buona Holla era anche considerata una dea dei boschi, delle grotte e delle montagne. Si credeva che le piante e i fiori crescessero meglio quando lei li sfiorava con le dita, e che in estate portasse sul volto e sui capelli un leggero velo verde, che rappresentava la sua benefica influenza sulla fertilità della terra e sulla crescita della vegetazione.
In certi paesi tedeschi Holla appariva come una dama verde attorniata da bellissime fanciulle vestite di verde; mentre in altre zone era vista come una dama bianca con in mano un mazzo di chiavi tintinnanti, le quali potevano aprire le porte segrete che conducono nel suo mondo ultraterreno. Da qui, la bella dea diffondeva sulla terra le sue benedizioni, i suoi tesori e la sua fortuna attingendoli da una grande cornucopia dorata.
Quando appariva come dama candida come la neve, inoltre, Holla era spesso accompagnata dalle hollen, le sacre vergini vestite di bianco che facevano parte del suo corteo, e insieme a loro amava danzare di notte intorno a una betulla illuminata dai raggi di luna.

Talvolta Holla era chiamata Regina degli Animali, di cui era protettrice e amica, e le erano sacri gli amuleti – probabilmente intagliati nel legno, nella pietra, oppure dipinti – che rappresentavano certi animali, come il lupo, il maiale, la capra, il cavallo, l’orso e gli uccelli rapaci.
Come signora degli alberi e delle erbe, e le erano particolarmente cari il lino dal fiore celeste e il misterioso sambuco, che in lingua tedesca sembra venisse chiamato Holler o Hollunder, ovvero “l’albero di Holla”.
Il lino dagli splendidi petali azzurri è la gemma della luce, il fiore della purezza, come il delicato filo che se ne ottiene lavorandolo e che si può filare solo se inumidito.
Narra una leggenda tirolese che un povero contadino si ritrovò un giorno sulla cima di un monte, alla soglia di una grotta segreta, piena di oro e cristalli preziosi. Al suo interno lo attendeva Holla, nelle sembianze di una bellissima regina attorniata dalle sue vergini ancelle, la quale lo guardò amorevolmente e gli disse che poteva chiederle tutto ciò che desiderava. Ma il coltivatore, per nulla attratto dalle ricchezze di cui era colma la grotta, vide fra le mani della donna un mazzetto di fiori celesti e la pregò di donargli quelli, poiché a lui sarebbero stati più che sufficienti. Questi fiori, che sulla Terra erano ancora sconosciuti, erano quelli della pianta del lino.
Holla offrì quindi al coltivatore una borsa piena di semi e gli disse di spargerli sul suolo, e quando le piantine fiorirono e furono pronte per il raccolto, lei scese dalla montagna e visitò i campi azzurri dell’uomo, insegnando a sua moglie a filare il lino e a tesserlo in una stoffa leggera e di nobile bellezza.
Per quanto riguarda invece il misterioso sambuco, si credeva che fosse l’albero delle fate, la sorgente delle visioni magiche ed una delle porte che potevano aprire alla percezione dell’altromondo. Era dunque ritenuto un simbolo di morte, ma anche di rigenerazione, guarigione e nutrimento spirituale, e si pensava che fra le sue radici dimorassero i defunti.
Esiste una leggenda nordica che narra di una magnifica fanciulla dai capelli color dell’oro, che abitava nella corteccia del sambuco. La giovane, che amava quest’albero soprattutto quando cresceva vicino a sorgenti e fiumi, cascate e ruscelli, nei quali poteva bagnarsi come una selvatica ninfa dei boschi, “altri non era che la stessa Holla (…), la Regina delle Fate”. (2)
Oltre al lino e al sambuco, Holla era particolarmente affezionata anche all’acero campestre, al ginepro, al tiglio selvatico – Tilia cordata – e all’asperula – Galium odoratum.

Tuttavia non sempre Holla si mostrava sotto una luce benevola e gentile, perché “era sì la splendente e luminosa Madre, ma era anche Signora del regno sotterraneo ed infero, ed era quindi legata al potere ctonico e alla Morte”, forse assimilabile alla spaventosa Hell, terribile dea germanica degli inferi. (2)
Holla poteva diventare spietata ed era la colei che conduceva i morti nell’altromondo, attraverso i pozzi, gli oscuri recessi dei monti, le grotte buie ed i profondi crepacci. Per questo veniva considerata anche una dama della tomba, del trapasso e del rinnovamento, personificazione delle potenze della vita che si rigenera.

***

Con il sopraggiungere del Cristianesimo, la magnifica dea venne in certi casi tramutata in un demone notturno, che si diceva si aggirasse nelle fredde notti invernali guidando un corteo di anime penose e piangenti di bambini morti senza aver ricevuto il battesimo.
La sua bellezza e l’armonia originarie furono sostituite con visioni lugubri e sofferenti, cupe e pregne di un’atmosfera angosciante e tormentosa.
In altri casi, però, la cristianità non riuscì a trasfigurare la divina signora, e lei sopravvisse nelle fiabe (3) e nella tradizione popolare, assumendo le sembianze di una fata o di una buona vecchina.
La storia raccolta dai Fratelli Grimm agli inizi del 1800 e intitolata Frau Holle è in tal senso una delle testimonianze più preziose della continuità dell’affettuoso culto della dea antica, alla quale si attribuivano l’insegnamento segreto delle arti femminili alle fanciulle, la distribuzione dei doni che ognuna, nel bene o nel male, aveva meritato, e soprattutto il manifestarsi dei fenomeni atmosferici sulla terra, i quali avevano origine dalla sua dimora nascosta fra le soffici e candide nuvole.
A tal proposito, si diceva che quando Frau Holle sprimacciava vigorosamente il suo gonfio piumone, le piume che ne volavano via scendevano come fiocchi di neve sulla terra; la nebbia che ammantava le vallate nasceva dal fumo del suo focolare; la pioggia benefica cadeva quando lei lavava e stendeva il bucato, mentre lampi e tuoni scuotevano e illuminavano il cielo quando filava e tesseva il lino.
Era lei che faceva sorgere il sole ogni mattino, e in primavera rendeva fertili i campi e risvegliava i graziosi meli, che al suo tocco delicato fiorivano.
Proprio grazie a queste reminiscenze si può intuire che Holla fosse soprattutto una dea della natura in ogni suo aspetto, una divina regolatrice delle stagioni, e la protettrice del delicato equilibrio degli eterni cicli di vita, morte e rinnovamento.
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Berchta, Perchta, Berta

La splendente dea Berchta, conosciuta in tutta la zona alpina, era la benefica protettrice dell’agricoltura, delle semine e dei raccolti, e si diceva rendesse fertili la terra e gli animali favorendo la nascita di vitelli sani e robusti. Secondo i racconti popolari, la si poteva intravedere nelle gelide notti invernali, quando benediceva e nutriva i campi coltivati scivolando leggera nel suo ampio mantello bianco, che appariva simile a una pallida nebbia incantata.
Il suo nome risale all’antico alto tedesco peraht, berht, brecht, termini che significano “brillante”, “luce” e “bianco”; per questo Berchta è “la lucente”, “colei che splende”, ovvero “che emana luce e biancore”, e spesso è appellata la dama bianca. Un’altra derivazione della variante Perchta, fa risalire invece la parola all’antico alto tedesco pergan, ovvero “nascosto” o “coperto”, termine che potrebbe riferirsi a una divinità nascosta, non direttamente visibile oppure coperta da un velo o da un manto. In ogni caso il suo nome indica sempre la sua intima natura luminosa e divina, estremamente simile a quella della stessa Holla, della quale ritrae talmente tanti aspetti che spesso le due dee vengono sovrapposte. (4)
Come Holla, infatti, anche Berchta si recava a far visita alle case intorno al solstizio d’inverno, rallegrandosi se le trovava ben pulite e ordinate, e irritandosi se erano poco curate e sporche; e come Holla, proteggeva i bambini, sia vivi che morti, e aveva a cuore le filatrici, specialmente quelle zelanti. Durante i dodici giorni natalizi controllava accuratamente i loro arcolai e le conocchie, e la notte del sei di gennaio – che veniva chiamata proprio “la notte della Berchta” – compariva a quelle che stavano lavorando al filatoio e portava loro delle spole vuote, incoraggiandole a riempirle di filo entro un certo tempo e in modo impeccabile. Se le fanciulle non ci riuscivano, la dea avrebbe ingarbugliato e sporcato il loro lino, ma se ce l’avessero fatta avrebbe donato loro fili d’oro e buona fortuna.
Durante la vigilia della sua festa, inoltre, era usanza preparare e gustare in suo onore pagnotte a forma di treccia o deliziose torte di farina e latte, lasciandone per lei qualche fetta perché, segretamente e senza essere vista, sarebbe passata ad assaggiarle. Però non bisognava attardarsi per aspettarla, perché chi fosse riuscito a scorgerla ammantata della sua luce abbagliante, ne sarebbe rimasto accecato per la durata di un intero anno.

Secondo alcune storie la bella dea viveva nel misterioso mondo sotterraneo, dal quale emergeva una sola volta all’anno, abbigliata di una veste luminosissima, per spargere la segale sui prati alpini e benedire le campagne. Il suo aspetto poteva tuttavia mutare radicalmente, e la dama dell’inverno poteva mostrarsi nelle sembianze di una orribile vecchia con il volto scavato dalle rughe, i capelli arruffati e gli abiti logori e scuri. In questa veste inquietante e selvaggia poteva irrompere davanti ai malvagi, o a coloro che in un modo o nell’altro l’avevano offesa, e portare scompiglio e terribile sfortuna nella loro vita, ristabilendo in tal modo la giustizia secondo il giusto merito.
Questo ruolo sopravvisse nella credenza popolare della sua visita ai bambini la notte del sei gennaio: se i piccoli erano stati buoni e si erano comportati bene, la dama avrebbe lasciato un soldino d’argento nella loro scarpa, altrimenti avrebbe tagliato loro la pancia e l’avrebbe riempita di paglia e sassi.

In tempi antichi Berchta era anche la signora delle bestie e la guardiana del loro mondo naturale. A questo proposito, un animale che appare spesso nelle sue leggende è l’oca bianca. Si diceva infatti che la dea volasse a cavallo di un’oca, o di un cigno candido come la neve, e che oltre ad avere un lungo naso d’uccello, uno dei suoi piedi – il destro – fosse piatto e molto grande. Questo strano piede, chiamato pié d’oca o piede di cigno, simboleggiava secondo Jacob Grimm l’appartenenza di Berchta ai reami superiori e la sua abilità di mutare forma, assumendo in particolare quella dell’oca selvatica. Inoltre, era associato al particolare piede piatto delle filatrici, che lavoravano per molte ore spingendo il pedale del filatoio. (5)
Tutte queste caratteristiche potrebbero far risalire la prima origine di Berchta alle antiche divinità ornitomorfe europee, e in particolare a quelle dalle sembianze di uccelli acquatici – anatre, oche, cigni, gru, aironi. Per la loro appartenenza sia al regno acquatico, sia a quello terrestre, queste dee-uccello erano infatti legate sia al dono della vita che all’oltremondo, ed erano considerate apportatrici di benessere, ricchezza e fortuna. (6)

Nel periodo medievale, anche a Berchta vennero attribuiti tratti demoniaci e malvagi, e la dea cominciò ad essere descritta come una orribile e crudele megera che rapiva i bambini, o usava il suo grande naso adunco, fatto di ferro appuntito, per ucciderli. Il cristianesimo vietò l’antica usanza di porre offerte di cibo per lei sui tetti e sui davanzali delle finestre, ma ciò nonostante il popolo continuò a perpetuarle fino ai giorni nostri, e ad immaginare la buona dama come una fata dalla bellezza abbagliante e dal viso sempre benevolo e sorridente.



Il Corteo delle Fate

La splendente dea Berchta era anche la conduttrice del Corteo delle Fate, che correva per le montagne, sulle alte cime innevate e nelle morbide vallate durante le notti intorno al solstizio d’inverno.
Nel buio rischiarato solo dal brillare delle stelle, si diffondeva un leggero velo di candida luce, simile a una sottile nebbia luminosa, e dopo pochi istanti si udiva vibrare nell’aria il tintinnio di tanti campanellini d’argento, che si spostavano da una cima di monte all’altra rivelando la presenza del magnifico Corteo.
Fate, streghe, folletti, anime di gioiosi bambini e animali di ogni specie, fra cui spesso era presente la grande oca bianca, componevano il seguito di Berchta, e correndo per le vie dei villaggi con in mano un bastone nodoso ed un grosso sacco, raccoglievano le offerte lasciate per loro sui tetti, fra cui torte dolci, focacce salate e altre delizie.
In certe occasioni il Corteo era diviso in due gruppi di entità fatate, che in alcune zone venivano chiamate Perchten: da una parte vi erano quelle buone e belle – Schönperchten, le belle Perchten – avvolte in abiti chiari, adorne di fiori e nastri colorati e dispensatrici di fortuna e guarigione; dall’altra quelle più sinistre e inquietanti – Schiachperchten, le brutte Perchten – che avevano zanne e code di cavallo usate per scacciare i demoni, e si mostravano con vesti scure e stracciate, portando fra le mani catene cigolanti, sonagli, un bastone e un sacchetto pieno di cenere, che gettavano negli occhi di coloro che incrociavano nella loro folle corsa. Berchta si spostava saltando da un gruppo all’altro e, a seconda di quanti salti faceva, si poteva determinare la fertilità, la fortuna e l’abbondanza che avrebbero caratterizzato l’anno a venire.
Questi passaggi dalla schiera lucente a quella oscura, e viceversa, rispecchiavano anche il doppio volto della dea e la sua appartenenza alle potenze della vita, del rigoglio e del nutrimento, e a quelle della morte, della sterilità e del deperimento; poiché lei rispecchiava la natura nella sua completa ciclicità.

Una delle caratteristiche del passaggio notturno del Corteo era la sua assoluta segretezza, poiché nessuno doveva uscire di casa o restare per le strade sperando di vederlo. Anche in questo caso, infatti, chi si fosse intrattenuto sarebbe rimasto accecato per il resto dell’anno, oppure sarebbe stato reso inebetito e delirante, con il rischio di perdersi nei fitti boschi o di cadere giù da un burrone. Del resto la bellezza della visione era tale che avrebbe immediatamente reso folle chiunque.
In qualche rarissima eccezione, però, se ad attardarsi fosse stata una graziosa fanciulla o un bel giovane, che per qualche motivo erano graditi al Corteo, questi potevano venire rapiti e condotti in luoghi incantati, dai quali sarebbero stati riportati indietro solo l’anno successivo.
Chi ritornava, però, non era più come prima, una luce particolare brillava nei suoi occhi e bellissimi fiori sbocciavano fra i suoi capelli, fra le dita delle mani e quelle dei piedi.

Sebbene il Corteo delle Fate venga spesso confuso ed identificato con altri tipi di cortei dal carattere completamente differente, come quello tipicamente guerresco e maschile della spettrale Caccia Selvaggia, esso si distingue e si riconosce sempre per la sua appartenenza alla sfera unicamente femminile, “ad un mondo segreto e separato, composto di sole donne, governato da una dea materna e sapiente”, nonché per la sua particolare propensione a dispensare benedizioni, fortuna e abbondanza. (7)
A seconda delle regioni e dei paesi d’appartenenza, la buona Berchta e il suo Corteo hanno assunto nomi diversi (8), mantenendo però immutate le loro caratteristiche femminili e benefiche, ed è probabile che all’origine della loro leggenda vi sia la gioiosa celebrazione di riti estatici di comunione con la natura, volti a propiziare il ritorno della luce solare nel gelido inverno, la fertilità della terra e degli animali, la buona sorte e le benefiche influenze delle antiche madri divine.
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Frigg e la sua ancella Fulla

Tutte le qualità e le funzioni magiche delle lucifere Holla e Berchta, così tanto simili fra loro, convergono e coincidono con quelle della amorevole dea Frigg, la Grande Madre della tradizione norrena che aveva generato tutte le divinità, tutti gli spiriti e le creature naturali, e che per questo veniva chiamata “Colei che viene prima di tutti gli altri”.
Lei era “la Donatrice”, nel cui ventre brillava il sacro germe che dà vita a tutta la Natura, ed era la custode e la personificazione stessa dell’antica saggezza senza tempo e della profonda sapienza femminile.
Il suo bel viso, incorniciato dai lunghi e folti capelli biondi, era coperto da un velo che ricadeva soffice sino ai piedi, e la dea portava appeso al fianco un grande mazzo di chiavi – forse anche in questo caso un simbolo della possibilità di schiudere le porte che conducono al di là del visibile, ovvero di accedere a qualcosa di nascosto e di conoscere i misteri che la dea stessa rappresentava e conservava con cura.
Frigg era signora delle acque che scorrono nelle morbide venature terrestri, e così delle fonti, dei fiumi, dei laghi, delle infinite distese blu dei mari, e anche delle nuvole e della pioggia, che lei faceva discendere dal cielo perché allietasse la vegetazione assetata. La sua protezione si stendeva sull’agricoltura e sul bestiame, che doveva essere sempre trattato con cura e con amore, e anche sul caldo focolare di ogni casa, sui bambini e sulle loro madri.
Si raccontava che tutte le arti e le abilità delle donne fossero ispirate da lei, e che fossero il regalo che lei aveva fatto al mondo. Più di ogni altra, però, le era cara la filatura, e secondo le leggende era lei che, al principio dei tempi, aveva mostrato alle donne il suo sacro fuso e aveva insegnato loro a filare. La bella Frigg era infatti la prima filatrice e possedeva una conocchia d’oro sulla quale filava un filo tanto sottile da sembrare seta. Le filatrici che lavoravano bene, con amore e attenzione, erano da lei ricompensate, mentre quelle che lavoravano in malo modo venivano severamente punite. Allo stesso modo, le case ben tenute e spolverate o quelle trascurate, ricevevano una buona o cattiva sorte, a seconda dei casi.
Come dea degli animali, le erano cari in particolare i gatti, che trainavano il suo magnifico carro nelle notti in cui lei correva per il cielo; ma anche le rondini, il cucù dallo spirito profetico e la cicogna, che volava in aiuto dei bambini che cadevano nelle paludi o nei corsi d’acqua, salvandoli dalla morte e restituendoli alle loro madri.
Il periodo dell’anno su cui la dea presiedeva in modo particolare era quello invernale, e le erano sacri i dodici giorni e le dodici notti che seguivano il solstizio d’inverno. Durante questo arco di tempo le giovani non dovevano filare per alcun motivo e per tradizione dovevano lasciar riposare il fuso, altrimenti la dea si sarebbe offesa. Inoltre, in queste dodici notti la dea faceva visita a tutte le case per portare le proprie benedizioni, ed al suo fianco l’accompagnava sempre la sua amata e fedele ancella, Fulla.
Questa fanciulla, vergine nel senso antico del termine, aveva capelli d’oro lunghi e lucenti come il sole ed era la personificazione della terra verdeggiante, rigogliosa, traboccante di vita e ricca di frutti. Era la dea dell’abbondanza e del nutrimento che proviene dalla Natura e la custode dei calzari e dello scrigno dei gioielli di Frigg – forse un emblema del suo grembo divino – dal quale traeva e distribuiva doni molto preziosi.
Nelle notti in cui, con la sua signora, si recava a visitare le abitazioni, Fulla controllava tutte le cantine e le rimesse dove venivano raccolte le provviste per l’inverno. Se trovava i cibi e il vino ben ordinati e a sua disposizione, li assaggiava, ed in tal modo concedeva le sue benedizioni; se invece trovava tutto sparso in modo disordinato, oppure chiuso a chiave, non assaggiava nulla e di conseguenza non dispensava la sua buona fortuna.
Dopo aver visionato le cantine, andava a vedere anche le stalle, per accertarsi che gli animali fossero sistemati bene e al caldo, e spesso si intratteneva a pettinare le lunghe criniere dei cavalli.
Per farsi luce, teneva sempre accesa una candela, e piccole gocce di cera sul pavimento, sul legno o tra la paglia potevano essere un segno del suo passaggio.

***

Gli aspetti e i sacri compiti di Frigg e della sua devota Fulla, così come quelli di Holla e Berchta, si somigliano e coincidono fra loro in modo sorprendente, tanto che non è difficile intravedere in queste luminose divinità dai diversi nomi la stessa ed unica essenza.
Vi è però una particolarità comune a tutte che merita d’essere ancora approfondita, perchè potrebbe alludere ad un preciso insegnamento che le dee vorrebbero offrire. Questa caratteristica si trova nel legame, chiaro e indissolubile, che esse hanno con il filatoio, la filatura e le filatrici.


Il Filatoio, la Filatura, la Filatrice

Il filatoio è uno dei simboli più antichi delle arti femminili e si ricollega a una moltitudine di visioni che richiamano i segreti dell’esistenza e il misterioso intreccio del destino.
Si tratta di uno strumento che, attraverso il movimento ritmico e costante, trasforma la materia grezza e informe in un prezioso filamento, con il quale è poi possibile tessere una trama e creare un tessuto, e lavorando ad esso, su di un piano sovrasensibile e simbolico, la Filatrice divina conferisce una forma alla libera energia e ne diventa prima artefice, facendo da tramite fra la forza generatrice e la sua manifestazione, ovvero fra la ferma origine, nebulosa e iridescente, e il divenire perennemente mutevole, con i suoi sacri cicli di terra e di luna.
Come lunare e notturna trasmutatrice, che opera nelle cavità terrose e recesse, velata e inaccessibile, lei permette che il sogno divino divenga realtà sensibile, e nelle sue mani il destino inconoscibile e indistinto come una nuvola di morbido e plasmabile cotone, diventa percorso vivente, sul quale ognuno è guidato da un filo invisibile, eppure a volte intuibile. Un filo che nasce dal destino stesso, ne fa parte, e ad esso tenderà sempre a ricongiungersi – come un cerchio che si chiude.
Sedute al loro sacro filatoio, le dee filatrici filavano, quindi, le sorti e la fortuna dell’uomo, decidendone il momento della nascita, la durata della vita e l’istante inevitabile della morte, che decretavano con un netto taglio del filo. E il loro grande e archetipo lavoro si rispecchiava, come tanti minuscoli e sparsi riverberi, nel piccolo mondo femminile, in cui anche le donne sedevano silenziosamente al filatoio, a tarda sera, e forse perdevano il senso del tempo e della ragione, lasciandosi incantare dai gesti ripetuti infinite volte e percependo una centralità che risiedeva nel profondo.
Loro ovviamente non filavano il destino degli uomini, però, nell’intima realtà delle loro semplici case, potevano filare il proprio. La filatura, infatti, era legata al fato e alla fortuna per eccellenza; non alla fortuna falsa e materiale, quale può essere intesa quella che permette di diventare ricchi e di avere successo nella vita, ma quella sottile che proviene dall’Altromondo, e che forse può facilitare un cammino interiore verso la comunione con la Natura, così come la conoscenza e l’esperienza delle dimensioni sottili, della limpidezza dell’anima e della verità che in essa si cela. (6)
Nel suo modo di filare, ma anche di svolgere una qualsiasi altra mansione quotidiana e, semplicemente, nel suo modo di essere ed agire, la filatrice poteva modellare attivamente il proprio destino, attirando o respingendo la fortuna delle dee luminose, e quindi il loro magico aiuto, la loro indifferenza o la loro terribile ostilità. Tutto dipendeva da lei soltanto, non da altri, poiché era lei sola a tenere tra le dita il filamento grezzo della propria vita e a decidere come filarlo.
E a seconda delle proprie scelte poteva quindi ricevere in dono il brillante filo d’oro o, al contrario, ritrovarsi con in mano un ammasso ingarbugliato di fili annodati e sporchi. Oppure ancora, poteva crogiolarsi nell’idea di essere di per sé molto fortunata perché possedeva molte cose, senza rendersi conto di trovarsi nella più pura casualità e nella totale noncuranza delle vegliarde Filatrici.
Quel che è certo è che ogni cosa lei ricevesse e raccogliesse, germogliava solo da ciò che lei stessa aveva coltivato e da come lo aveva fatto, così com’è vero che la fortuna è sempre frutto della propria azione –
Quisque Faber Fortunae Suae”.

Questo è forse l’insegnamento più prezioso che le antiche dee filatrici e, più tardi, la cara Befana, tenevano e tengono tuttora a dare alle loro amate protette, così che loro ne comprendano l’importanza e imparino a filare al meglio la propria vita.
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Le origini della Befana

L’immagine della povera vecchina dalle vesti lise, che attraversa i cieli cosparsi di stelle e la bianca luna nella gelida notte d’inverno, per distribuire dolcetti e carbone, è dunque tutto ciò che è sopravvissuto nella nostra tradizione delle splendenti dee di luce e fortuna.
Eppure non è difficile, per chi desidera andare oltre la superficie, scorgere oltre il suo laido viso sempre sorridente e gentile, la sua appartenenza ai mondi antichi e le sue lontane radici che ben vi attecchiscono.
A volte pare addirittura che lei voglia mostrare una porta segreta che si nasconde dentro la sua figura, la quale si apre su di un regno divino che lei stessa ancora incarna, sebbene quasi più nessuno se ne interessi o ne sia a conoscenza.
Al di là di quel piccolo varco magico, la Befana si riappropria finalmente della sua vera sembianza, e bisogna quasi proteggere gli occhi per non rimanere accecati davanti alla visione abbagliante che lei mostra di sé, come del resto poteva succedere a chi tentava di vederla aggirarsi per le campagne, nei tempi in cui i suoi nomi erano altri e richiamavano sempre la sua essenza di luce.
Lei, infatti, altri non è che la stessa Holla, e Berchta e Frigg e Fulla, e infinite altre luminose divinità femminili della Natura incontaminata, elargitrici di doni ed abbondanza, legate alla vegetazione, agli animali, alla fertilità e alla fortuna.
La sua origine risiede nella luminosa Madre del ciclo eterno, che muta la sua forma e conduce le stagioni. Portatrice di nuova vita e luce nel freddo e buio inverno, può assumere un aspetto incantevole, giovane e vigoroso, ma anche uno completamente opposto, orrendo, vecchio e spaventoso, “a rappresentare un ciclo completo dalla nascita alla morte e alla rinascita.” (7)
Infine, lei rappresenta l’antica Fata (8), la filatrice e tessitrice delle trame del fato che trasmette la sua arte alle donne perché la impieghino nelle loro vite, e insegna loro a far germogliare i semi nascosti perché possano diventare ciò che sono nati per essere.
Il suo culto ricorda quelli dedicati alle Matres o Matronae primordiali, le antenate genitrici di tutta la Natura, premurose e amorevoli protettrici delle donne, delle partorienti, dei neonati, e al contempo dei bimbi non nati e del sotterraneo mondo dei morti; e fra di esse, in modo particolare, la Befana richiama le Matres Domesticae, poiché come loro è custode del sacro focolare domestico, della casa e dei lavori femminili. Per questo forse non è una coincidenza che lei faccia uso proprio del camino, dimora del fuoco, per introdursi nelle abitazioni e per farvi ricadere magicamente tutte le buone cose di cui è portatrice.
La sua festa è molto preziosa perché è forse una delle uniche rimaste quasi intatte, nel corso del tempo e nonostante l’alterazione cristiana, che viene onorata ancora oggi. E lo stesso vale per la sua cara e tanto amata figura, eco delle divinità femminili che a lei hanno affidato la loro memoria perché non si spenga e continui a brillare, così che qualcuno possa scorgerne la luce e magari decidere di seguirla.
E chissà che, nel farlo, non si intuisca il luccichio fugace di un magico filamento dorato… o il lontano tintinnare di tanti piccoli campanellini.


***

APPENDICE
Altre entità simili alla Befana nel Nord dell’Italia


In Italia la leggenda della Befana si può trovare ben radicata dal settentrione al meridione.
Nella tradizione popolare di certi paesi centro-settentrionali, esistono ancora alcuni spiriti fatati molto simili alla Befana, che hanno ben conservato le caratteristiche e i compiti delle divinità trattate in questo testo.
A Bologna, per esempio, c’erano le Borde, che evocavano e spargevano la fitta e bianca nebbia, mentre a Istria le Rodie cavalcavano le nuvole grigie cariche di pioggia e grandine, sospingendole sui campi.
Vicino a Como, la Donnetta Grigia, chiamata in tal modo perché portava sempre sulle spalle uno scialle di lana grigio, compariva nottetempo sulle scale buie che scendevano nelle cantine. Bisognava trattarla bene e con gentilezza, perché così avrebbe benedetto e protetto la casa e coloro che vi abitavano; in caso contrario si sarebbe scatenata portando caos, povertà e malasorte.
Nelle zone intorno a Brescia, le Bonae Res bussavano alle porte delle abitazioni a notte fonda, chiedendo cibo e accoglienza. A seconda del trattamento ricevuto, donavano fortuna o sfortuna.
Vi era anche la Donnina del Tetto, che si divertiva a stare sui tetti delle case spiando dalle finestre il modo di comportarsi degli abitanti, e portando la buona o la cattiva sorte a seconda di ciò che vedeva.
Infine, in Val Camonica, una gentile vecchina, chiamata Mandola, si aggirava nei bei prati verdi e nei boschi umidi ed ombrosi, per spargere, insieme a folletti ed entità fatate, una polverina magica che faceva crescere i funghi porcini.
Altre figure simili si possono trovare in altri paesi e in tutto l’arco alpino, tuttavia queste sono quelle che forse ricordano di più le divinità precedentemente trattate, nonché la buona Befana, che ancora oggi vive nel cuore di grandi e piccini.

Le informazioni dell’Appendice sono state tutte raccolte dal testo Entità Fatate della Padania, di Alberta Dal Bosco e Carla Brughi, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 1993, pagg. 31-32-33


Note:

1. Il cristianesimo, non potendo accettare una festività in onore di una dea tanto amata e conosciuta, e non potendo fare nulla per evitare che la tradizione popolare ne mantenesse vivo il ricordo tramite la figura della Befana, ne alterò completamente la storia, privandola del suo potere e rendendola abbastanza “ammissibile” per il proprio credo.
Secondo la versione cristiana, i Re Magi, mentre si stavano recando a portare i loro regali a Gesù bambino, persero la strada e chiesero informazioni ad una vecchia. Lei rispose alle loro domande ma, nonostante le loro insistenze, non accettò di accompagnarli a far visita al neonato. In seguito, si pentì di non essere andata con loro e, dopo aver preparato un gran cesto pieno di dolci, uscì per cercarli, fermandosi ad ogni casa che incontrava lungo il suo cammino per lasciare i suoi doni ai bimbi, nella speranza che uno di questi fosse Gesù. La vecchia però non riuscì mai a ritrovare i tre Magi e nemmeno il bambino, e da allora vaga per il mondo, distribuendo dolci ai fanciulli nella speranza di essere perdonata.

2. Citazioni da Sambuco [1], ricerca di Violet per Il Tempio della Ninfa

3. Cfr. la fiaba Frau Holle, dei Fratelli Grimm, o Le Fate di Charles Perrault.
Esistono inoltre moltissime altre fiabe in cui vecchine e streghe riprendono le caratteristiche di Holla così come il suo ruolo.

4. Grimm afferma che Berchta/Perchta era diffusa soprattutto nelle regioni della Germania superiore dove Holla era assente – probabilmente perché l’una sostituiva l’altra – oltre che in Svizzera, Svevia, Alsazia, Austria e Baviera.

5. Cfr. Jacob Grimm, Teutonic Mythology, pagg. 280-281. Ad oggi, per ricordare un tempo molto lontano si usa ancora dire “ai tempi in cui la Berta filava”, ed è possibile che proprio Berchta si nasconda oltre il volto rugoso, gentile e sorridente della cara Mamma Oca.

6. Cfr. Marija Gimbutas, Le dee viventi, pag. 46

7. Cfr. Carlo Ginzburg, Storia notturna: una decifrazione del sabba, Einaudi, Torino, 1998, pag. 79

8. Sono molto conosciute le storie di streghe guidate nei loro voli notturni dalla Regina delle Fate, la divinità dei boschi, della luna e delle donne chiamata Diana, Herodiade, Herodiana, Dama Habondia/Habonde, Abundia (da abundantia), Epona, Hera (non la più conosciuta Hera greca, ma Hera, Era o Haerercura celtica, dea semi-sconosciuta a cui sono state dedicate delle iscrizioni in Svizzera e in Gallia Cisalpina); ed ancora Satia (dal latino satiaetas, sazietà), Richella, Besonzia (“Bona Socia”), Signora Oriente, Bonadomina (“Buona Signora”), Signora del Gioco e in altri modi ancora. Anche queste divinità sono originarie della figura della Befana, similmente a quelle trattate nel testo.

9. Nella fiaba Frau Holle narrata dai Fratelli Grimm, la fanciulla lascia involontariamente – eppure fatalmente – cadere il proprio fuso in un pozzo, e per recuperarlo si tuffa nell’abisso profondo e oscuro. In tal modo, ovvero seguendo il fuso e il filo, si ritrova nel mondo fatato, dove conoscerà Holla e percorrerà un sentiero nascosto che la porterà alla conoscenza, ovvero al realizzarsi del suo destino.
La caduta del fuso nel pozzo, in questo caso, è evidentemente un evento fortunato e fatale – ovvero provocato dal fato.

10. Cfr. Marija Gimbutas, pag. 266

11. Fata è precisamente colei che si occupa del Fato. La parola, strettamente collegata a fato, ha la sua stessa derivazione, dal latino fatum, “sorte” o “fortuna”.


Fonti

Entità Fatate della Padania, Alberta Dal Bosco e Carla Brughi, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 1993
L’Oro Fatale, Mary Tibaldi Chiesa, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 1994
Edda di Snorri, Gianna Chiesa Isnardi, Rusconi, Milano, 1988
Le Vergini arcaiche, Leda Bearné, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 2006
Le Dee viventi, Marija Gimbutas, Medusa, Milano, 2005
Le Fiabe del Focolare, J. e W. Grimm, Mondolibri, Milano, 2005
Teutonic Mythology, Vol. I, Jacob Grimm, Translated by James Steven Stallybrass Cambridge University Press, New York, 2012
Holda, di Ceri Norman, in The Faerie Queens, a cura di Sorita d'Este e David Rankine, Avalonia, Londra, 2012
Goddess Holle. In search of a Germanic goddess, Garden Stone, Books on Demand, Norderstedt, 2011
Fiabe d’Inverno, Maria Paola Asson, Cierre Edizioni, Sommacampagna, 2011
I benandanti: stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Carlo Ginzburg, Einaudi, Torino, 1972 (ristampa 2002)
Storia notturna: una decifrazione del sabba, Carlo Ginzburg, Einaudi, Torino, 1998
La religione degli antichi celti, J.A. MacCulloch, Neri Pozza, Vicenza, 1998
La leggenda del cacciatore furioso e della caccia selvaggia, Karl Meisen, edizione italiana a cura di Sonia Maura Bacillari, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2001
Figure di donna, Patricia Monaghan, Edizioni Red, Milano 2004
Avalon Within, Jhenah Telyndru, Ninth Wave, 2005
La casa delle Donne dagli occhi luminosi, Ada D’Ariès, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 2006
Il corpo della Dea, Selene Ballerini, Atanòr, Roma, 2003
Donne che corrono coi lupi, Clarissa Pinkola Estés, Frassinelli, Milano 1993
Lo spirito degli alberi, Fred Hageneder, Crisalide, Spigno Saturnia (LT), 2001
Florario, Alfredo Cattabiani, Oscar Saggi mondadori, Milano, 1996
Forum L’Isola Incantata delle Figlie della Luna [2]
Frau Holle [3], ricerca di Violet per Il Tempio della Ninfa
Holda [4], ricerca di Thorskegga Thorn
Frigg [5], ricerca di Thorskegga Thorn
Holda [6], ricerca di Diana L. Paxson, originally published in Idunna 30, 1997
Sambuco [7], ricerca di Violet per Il Tempio della Ninfa
Le Filatrici del Destino [8], ricerca di ValerieLeFay pubblicata su Il Tempio della Ninfa
Dizionario etimologico Ottorino Pianigiani: www.etimo.it [9]


Un ringraziamento di cuore ad Alessandro per il prezioso contributo nella ricerca delle fonti.

Per approfondire ulteriormente l’argomento trattato si consiglia la lettura di:
Fiabe e Favole: Frau Holle [10], di Violet
Le Filatrici del Destino [11], di ValerieLeFay
L'origine della Fata [12], di Violet


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  [5] http://www.thorshof.org/frigg.htm
  [6] http://www.hrafnar.org/goddesses/holda.html
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