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Per virtù d'erbe e d'incanti
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Il Tempio della Ninfa

Il mito di Blodeuwedd
Giovedì, 07 Aprile 2022 - 20:17 - 669 Letture
Archetipi Nei miti celtici tramandati in poesia e in prosa si racconta di fanciulle dai nomi di fiore, spesso fanciulle fatate: Blathnat (Fiorellino), moglie di Cu Roi mac Dairi e amante di Cu Chulainn; Blanchefleur, madre di Tristram; Floree, amata di Gauwain; Blancheflor, amica di Perceval; Florie di Lunel, damigella del Graal. Ginevra è rapita mentre coglie fiori, proprio come Proserpina, la quale, in Artus de Bretagne, è la prima delle quattro regine delle fate e madrina di Florence, signora del castello della Porta Nera. Nel Quarto Ramo dei Mabinogi si racconta di una di queste fanciulle, Blodeuedd, il cui nome può significare “Fiori” o “Viso di Fiori”.




Il Quarto Ramo

Racconta il Quarto Ramo dei Mabinogi che al tempo in cui Math, figlio di Mathonwy, regnava su Gwynedd, il figlio di sua sorella Don, suo nipote Gwydion, guerriero, incantatore, narratore, poeta, sottrasse il proprio nipote appena nato alla madre, la sua stessa sorella, Aranrhod, figlia di Don, e lo allevò come figlio proprio. Allora Aranrhod giurò che il bambino non avrebbe mai avuto nome alcuno se non glielo avesse attribuito lei stessa, e neppure alcuna arma se non lo avesse armato lei stessa. Così Gwydion, con l’inganno e con l’illusione, indusse Aranrhod ad attribuire al nipote, contro la propria volontà, un nome, che fu Lleu Law Gyffes, Biondo dall’Abile Mano, poi la indusse anche ad armarlo. Quando si accorse di essere stata ingannata, sua sorella Aranrhod, figlia di Don, s’infuriò.
Qui il Quarto Ramo racconta in qual modo Aranrhod rispose a Gwydion e ciò che avvenne in seguito.

«Sei un uomo malvagio» disse Aranrhod. «Molti giovani avrebbero potuto perdere la vita per il tumulto che hai provocato oggi in questo cantref. Giuro che questo giovane sarà destinato a non avere mai una moglie della stirpe che popola la terra in questo momento».
«In verità, sei sempre stata una donna indegna e nessuno dovrebbe provvedere a te» ribatté Gwydion. «Mio nipote avrà comunque moglie, nello stesso modo in cui ha avuto nome e armi».
Poi Gwydion e Lleu si recarono da Math, figlio di Mathonwy, e con la più grande insistenza si lagnarono di Aranrhod. Gwydion riferì in qual modo aveva procurato le armi al giovane nipote.
«Ebbene» suggerì Math «cerchiamo insieme, per mezzo della nostra magia e dei nostri incantesimi, di trasformare i fiori in una donna».
Allora Lleu aveva già la statura di un uomo ed era davvero il giovane più perfetto che si fosse mai veduto.
Così i due maghi raccolsero i fiori della quercia, quelli della ginestra e quelli della olmaria, e mediante i loro incantesimi ne formarono la fanciulla più bella e più perfetta del mondo. In seguito ella fu battezzata secondo i riti dell’epoca e fu chiamata Blodeuedd.
Durante la festa, allorché i due giovani ebbero condiviso il letto, Gwydion disse: «Non è facile intrattenersi senza possedimenti».
«Ebbene, gli donerò il miglior cantref che un giovane possa avere» dichiarò Math.
«Quale cantref, signore?»
«Quello di Dinoding».
Così Lleu stabilì la sua corte nel luogo oggi chiamato Mur y Castell, nella regione scoscesa di Ardudwy. Fu là che egli dimorò e regnò. Tutti ne furono contenti e accettarono con piacere il suo dominio.
Un giorno, egli si recò a Kaer Dathyl per fare visita a Math, figlio di Mathonwy.
Quello stesso giorno Blodeuedd uscì a passeggiare. A un tratto udì il suono di un corno e subito dopo vide passare un cervo affaticato, inseguito da cani e cacciatori, seguiti a loro volta da una moltitudine di gente a piedi.
«Vada un servo a scoprire da chi sia composto quel gruppo» ordinò Blodeuedd.
Un servo andò subito a domandare chi fossero i nuovi arrivati.
«È il seguito di Gronw Pebyr, signore di Pennlynn» gli fu risposto.
Il servo tornò a riferire.
Intanto Gronw continuò a braccare il cervo, lo raggiunse sulle rive del fiume Kynvael e lo uccise. Poi fu occupato a scuoiare la preda, nonché a distribuire ai cani la loro porzione di selvaggina, sino a quando la notte giunse a sorprenderlo.
Nel vedere il giorno andarsene e la notte appressarsi, egli passò dinanzi alla porta della corte.
«Di sicuro indurremmo questo nobile a parlar male di noi se, a un’ora come questa, lo lasciassimo andare altrove senza invitarlo» osservò Blodeuedd.
«Senza dubbio alcuno, principessa» rispose la gente del suo seguito. «Sarebbe meglio invitarlo».
Così alcuni messaggeri andarono a porgere l’invito a Gronw, il quale lo accettò con gioia e si recò subito alla corte.
Blodeuedd andò a riceverlo per augurargli il benvenuto e per salutarlo.
«Che Dio ti ricompensi per la tua buona accoglienza, principessa» Gronw rispose.
Poi il giovane nobile si spogliò delle armi e sedette insieme a lei. Blodeuedd lo osservò, e da quel momento non vi fu più alcuna parte in tutto il suo essere che non fosse pervasa di amore per lui. A sua volta, lui posò gli occhi su di lei, e la osservò con tutta la propria attenzione, e fu invaso dai medesimi sentimenti. Incapace di nascondere che l’amava, egli manifestò la propria passione ed ella ne fu estremamente felice. Quella sera l’amore e l’affetto che avevano concepito l’uno per l’altra furono l’unico argomento della loro conversazione. Non tardarono molto a unirsi: quella stessa notte condivisero il letto.
L’indomani egli manifestò il desiderio di partire.
«Niente affatto» ella protestò. «Senza dubbio tu non ti allontanerai da me, questa notte».
Trascorsero insieme anche quella notte e si consultarono per scoprire in qual modo poter rimanere uniti e vivere insieme.
«Non esiste che un unico modo» egli concluse. «Dovrai cercare di sapere da tuo marito come gli si possa infliggere la morte, e dovrai chiederlo fingendoti sollecita nei suoi confronti».
L’indomani egli volle partire.
«In verità, non ti consiglio affatto di andartene lontano da me quest’oggi» ella protestò.
«In verità, poiché non me lo consigli, non andrò» egli assicurò. «Nondimeno t’invito a considerare che la mia permanenza è pericolosa, giacché il principe che regna su questa corte potrebbe ritornare alla sua dimora».
«Ebbene, domani ti permetterò di andartene».
L’indomani egli espresse il desiderio di partire ed ella non si oppose.
«Ebbene, rammenta ciò che ti ho detto» egli raccomandò. «Conversa con lui, interrogalo con perseveranza, gentilmente, mostrando di amoreggiare come se lo amassi, e scopri da lui in qual modo potrebbe giungergli la morte».
Quella stessa notte Lleu Llaw Gyffes rientrò a corte. Insieme alla moglie trascorse la giornata conversando e banchettando, allietato dal canto, e quella notte condivise il letto con lei. Poi le parlò una volta, quindi una seconda, senza ottenere risposta. «Cosa ti è accaduto?» domandò. «Non ti senti bene?»
«Rifletto su una preoccupazione che tu non avresti mai per me» rispose lei. «Sono turbata al pensiero della tua morte, nella eventualità che tu te ne vada prima di me».
«Ebbene, che il cielo possa ricompensarti per la tua apprensione. Tuttavia non è affatto facile uccidermi, a meno che il cielo medesimo mi privi della vita».
«Vorresti allora, per amor del cielo, e anche per amor mio, descrivermi in qual modo ti si potrebbe uccidere? Infatti, per quanto concerne le precauzioni, io ho senz’altro miglior memoria di te».
«Te lo descrivo con piacere. Non è facile uccidermi con un’arma da getto. Sarebbe necessario dedicare un anno a costruire il giavellotto di cui servirsi e non lavorarvi se non durante la messa domenicale».
«Tutto questo è inevitabile?» ella domandò.
«È senza dubbio inevitabile» egli rispose. «Non mi si può uccidere all’interno di una casa, né all’esterno. Non mi si può uccidere se sono a cavallo, e neppure se sono appiedato».
«Ebbene, in qual modo, dunque, ti si può uccidere?»
«È presto detto. Il modo in cui mi si può uccidere è questo… Occorre prepararmi un bagno sulla riva di un fiume, costruire un chiosco sopra la vasca e poi coprirlo ben bene di paglia affinché sia impermeabile, condurvi un capro e collocarlo accanto alla vasca. Poi occorre che io ponga un piede sul dorso del capro e l’altro sul bordo della vasca. Chiunque riesca a colpirmi di sorpresa mentre sono in questa condizione ha la possibilità d’infliggermi la morte».
«Ebbene, ne ringrazio il cielo! È assai facile evitare che tutto ciò accada».
Non appena ebbe ottenuto tale rivelazione, Blodeuedd la comunicò a Gronw Pebyr, il quale si dedicò a fabbricare il giavellotto. Trascorso un anno da quello stesso giorno, l’arma fu pronta, e il giorno medesimo egli escogitò un modo per avvisare Blodeuedd.
«Mio signore, mi chiedo come potrebbe realizzarsi ciò che mi hai descritto una volta» disse Blodeuedd a Lleu. «Saresti disposto a mostrarmi in qual modo riusciresti a reggerti sul bordo della vasca e sul dorso del capro, se io stessa ti preparassi il bagno?»
«Te lo mostrerò volentieri» egli rispose.
Allora ella inviò un messaggio per avvertire Gronw di appostarsi dietro la collina che oggi è chiamata Brynn Kyvergyr, sulle rive del fiume Kynvael. Poi fece radunare tutte le capre che fu possibile trovare nel cantref e le condusse sulla riva opposta del fiume, dirimpetto a Brynn Kyvergyr.
La mattina successiva ella disse a Lleu: «Mio signore, ho provveduto affinché fossero allestiti il chiosco e il bagno. Tutto è pronto».
«Bene» egli rispose. «Andremo a vedere, con piacere».
Così la mattina seguente andarono insieme a vedere il bagno.
«Intendi immergerti nella vasca, mio signore?» ella domandò.
«Mi ci immergerò con piacere» egli acconsentì.
«Mio signore, guarda: ecco gli animali fra i quali hai detto che doveva trovarsi un capro» ella annunciò.
«Ebbene, ordina che uno sia preso e condotto qui», egli rispose.
Così un capro fu condotto al chiosco. Lleu uscì dal bagno, indossò i calzoni e i calzari, posò un piede sul bordo della vasca e l’altro sul dorso del capro. Nascosto al riparo della collina chiamata Brynn Kyvergyr, Gronw si alzò, si appoggiò su un ginocchio e scagliò il giavellotto avvelenato. Allora Lleu fu colpito al fianco con tanta violenza che l’asta si spezzò e il ferro rimase conficcato nel corpo. Gettando un orribile grido stridulo, Lleu s’involò in forma di aquila e fuggì tanto rapidamente che nessuno lo vide più.
Appena il marito fu scomparso, i due innamorati, Gronw e Blodeuedd, si recarono alla corte, e quella stessa notte condivisero il letto. L’indomani Gronw si alzò e prese possesso di Ardudwy. Così, dopo essersene impadronito, lo governò e divenne signore di Ardudwy e di Pennlyn.

Qui il Quarto Ramo racconta che Math e Gwydion appresero con dispiacere della scomparsa di Lleu. Lo zio andò alla ricerca del nipote, lo trovò in forma di aquila, lo attirò a sé cantando i propri versi, e con un colpo del proprio bastone magico gli restituì la forma che gli era naturale. Quindi Lleu chiese a Math di potersi vendicare e Math glielo concesse. Infine Lleu si vendicò, trafiggendo Gronw con un giavellotto.
Ecco ora quello che il Quarto Ramo racconta del modo in cui Gwydion punì Blodeuedd per vendicare il nipote.

Così tutte le truppe di Gwynedd furono radunate e marciarono su Ardudwy. Alla loro testa procedeva Gwydion, il quale si diresse verso Mur y Castell.
Avvisata dell’appressarsi dei nemici, Blodeuedd attraversò il fiume Kynvael insieme alle proprie ancelle e proseguì verso una corte situata sulla montagna. Il loro terrore era tale, che nel correre non guardarono dove andavano, bensì mantennero la testa girata all’indietro. Così non si accorsero di nulla fino all’istante in cui precipitarono nelle acque di un lago, dove annegarono tutte, a eccezione di Blodeuedd.
Allora Gwydion la raggiunse e le disse: «Non ti ucciderò. Farò ciò che è peggio per te. Per punirti della vergogna che hai inflitto a Lleu Llaw Gyffes, ti lascerò libera in sembianza d’uccello, e per paura mai più oserai mostrare il tuo volto alla luce del giorno, perché vi sarà inimicizia fra te e tutti gli altri uccelli, i quali per loro natura e per loro istinto saranno spinti a tormentarti e a maltrattarti ovunque ti troveranno. E non perderai affatto il tuo nome, anzi, sarai sempre chiamata Blodeuwedd».
Ancora oggi, infatti, la civetta è chiamata Blodeuwedd. È così che essa è diventata oggetto d’odio per tutti gli altri uccelli.


La nascita di Blodeuwedd

Il grande poeta nato in modo simile a lei—non da madre né da padre, bensì creato da Math e modellato dal magico bastone di Gwydion, da frutto e frutta, primule e fiori, fiori d’alberi e d’arbusti, terra e zolla, fiore d’ortica, acqua della nona onda—colui che nel corso del tempo era stato lama sottile, gocciola nell’aria, radiosità stellare di stella, parola nella scrittura, luce di lanterna, ponte sugli estuari, sentiero, aquila, curuca nel mare, effervescenza di bevanda, goccia di pioggia nel piovasco, spada impugnata, scudo in battaglia, corda d’arpa, schiuma nell’acqua, favilla di brace nel fuoco—il poeta il cui nome era Taliesin, Fulgida Fronte, ricordò la nascita di Blodeuwedd in alcuni versi della poesia che fino a oggi è giunta con il titolo Kadeir Kerrituen:

Il più abile di cui mai abbia sentito parlare
Fu Gwydion figlio di Don, creatore costante di cose splendide,
Il quale dai fiori evocò una donna.


Il racconto di Blodeuwedd

Moltissimo tempo più tardi, un poeta di nome Dafydd ap Gwilym—come tramanda la tradizione antica, con cui pure molti sono oggi in disaccordo—incontrò Blodeuwedd nella foresta e le domandò quale fosse la sua storia. Di questo incontro e delle sue parole cantò in Achau y Dylluan, Il lignaggio della civetta, una breve poesia, che si può leggere adesso nella forma in cui è stata trasmessa nel corso del tempo fino a oggi e che qui di seguito è presentata in una provvisoria traduzione.

Civetta, spettro di questa terra,
Piccina come ochetta poco più che implume,
Miagolio di gattino il tuo canto nella forra,
Lamento di confraternita, spettro di questa terra,
Nobile, e nivea di petto come una giovenca,
Feroce cacciatrice fra i colli boscosi nella forra,
Freccia scagliata che sfiora la testa,
Torva in volto e cento volte afflitta.

Taci, ragazzo, gli alberi per me sono perfetti.
Lasciami tranquilla nel bosco silenzioso
A sopportare il dolore, la penitenza di Don,
E la collera di tutti gli uccelli del mondo.
Quantunque sia lunga la notte, il freddo
Debbo patire e gemere di sofferenza,
Senza speranza se non quella di vagare
Ogni giorno di luogo in luogo e fuggire.


Nondimeno, uccello torvo, quale malattia?
Qual è il tuo nome, immagine di vecchiezza?

Un tempo ai banchetti un’amabile stirpe
Era solita chiamarmi Viso di Fiori,
Figlia di un nobile, stirpe di Meirchion,
E io in verità sono progenie di Mon.


Nondimeno, fanciulla, chiamata principessa,
Dimmi, dunque, chi operò tale metamorfosi?

Gwydion figlio di Don, nei pressi di Conwy,
Con magico bastone ineguagliato,
M’incantò, e senza dolcezza la mia gioia
Trasformò nella sofferenza che vedi—
Lui, nobile misericordioso di vasto lignaggio—
Perché fui accusata di avere un tempo amato
Gronw—figlio di Pefr dalle lunghe gambe,
Signore di Penllyn—alto, bello e pieno di vita.



Il Lago delle Fanciulle

Il lago in cui le ancelle di Blodeuwedd caddero durante la fuga e in cui annegarono è Llyn y Morynion, il Lago delle Fanciulle, spoglio e desolato, a proposito del quale la tradizione gallese tramanda due leggende.
Una leggenda racconta che nel corso di una scorreria gli uomini di Ardudwy rapirono le donne della valle di Clwyd. I loro nemici li inseguirono e li raggiunsero al luogo chiamato Beddau Gwyr Ardudwy, ossia Tombe degli Uomini di Ardudwy. Nella battaglia che poi avvenne, gli uomini di Ardudwy furono sterminati. In seguito, le donne rapite, anziché tornare a casa, si gettarono nel Lago delle Fanciulle, e annegarono.
A Beddau Gwyr Ardudwy, fra l’erba alta e ruvida di una brughiera impervia e remota, ai lati dell’antica strada romana isolata e solitaria chiamata Sarn Helen, che sale serpeggiando un ripido declivio e una gola erta, sul versante di un colle roccioso, fra colline dirupate, fra rocce austere e minacciose, si potevano vedere ancora, molto tempo fa, all’inizio del XIX secolo, due terrapieni circolari che cingevano altrettanti gruppi di tumuli quadrangolari, una trentina in tutto, ciascuno con una piccola pietra eretta a ogni estremità. Un tempo si pensava che questi tumuli fossero le tombe degli uomini di Ardudwy.
Un’altra leggenda racconta che sul fondo di Llyn y Morwynion vivevano le fate misteriose chiamate Tylwyth Teg, molto minute e molto belle, sempre vestite di bianco. Dimoravano nel mondo infero, sotterraneo o subacqueo. Talvolta sposavano mariti umani e vivevano con loro per qualche tempo. I doni che offrivano ai loro prediletti svanivano se costoro ne parlavano. Amavano cantare e danzare in cerchio nei prati e potevano essere viste esclusivamente di notte, quando invitavano i viaggiatori a unirsi alle loro danze, e poi si burlavano di loro in tanti modi. Nel mondo fatato il tempo trascorreva in modo diverso che nel mondo umano, perciò era pericoloso recarvisi.
Una mattina molto lontana nel tempo, un contadino che viveva nei pressi di Festiniog trovò nel proprio campo alcune mucche bellissime. Non ne aveva mai viste di più belle. Non sapeva donde provenissero, così le tenne per molto tempo, finché, un giorno, commise un’azione disonesta. Allora le fate vestite di bianco apparvero nel pascolo, chiamarono le mucche per nome, le condussero al lago e scomparvero con esse nella profondità delle acque.


Nota

Anche i poeti moderni sono rimasti affascinati dal mito di Blodeuwedd e ciascuno lo ha rimodellato secondo la propria sensibilità.
Fra i rifacimenti più famosi, se non il più famoso, è quello di Robert Graves, nella cui celeberrima opera The White Goddess (La dea bianca) è inclusa la poesia Hanes Blodeuwedd, che canta la creazione di Viso di Fiori. Anziché la ricostruzione di un testo antico, quale la presenta l’autore, questa poesia è una riscrittura moderna, composta applicando una tecnica letteraria tipicamente modernista, cioè il montaggio. Infatti è una sorta di collage di versi estratti da una versione inglese di Kat Godeu—poesia contenuta in Llyfr Taliesin, Libro di Taliesin—riorganizzati e riscritti in modo tale da ricavarne un testo nuovo.
In realtà, i versi di Kat Godeu utilizzati da Graves non descrivono la trasformazione di Blodeuedd, bensì quella di Taliesin, seppure sempre a opera di Math e di Gwydion. È il tema, spesso trattato nella poesia antica e medievale, della creazione della persona (microcosmo, uomo o donna), composta dei medesimi elementi che compongono il mondo (macrocosmo).
In un’altra poesia di Dafydd ap Gwylim la civetta è l’uccello di Gwyn ap Nudd, re di Annwn, cacciatore fatato accompagnato dalla muta dei cwn Annwn. In Culhwch ac Olwen egli è un guerriero di re Arthur, che ogni anno combatte con Gwythyr per la mano di Creiddyladd.

La traduzione dei passi da Math uab Mathonwy, Quarto Ramo dei Mabinogi, è stata condotta sulla versione francese di Joseph Lot, in Les Mabinogion, 2 voll., Paris, Fontemoing et Cie, 1913, confrontata con le seguenti versioni inglesi: «The Mabinogi; or, Romance of Math ab Mathonwy», Literally translated by Idrison, The Cambrian Quarterly Magazine and Celtic Repertory, London, H. Hughes, 1829; The Mabinogion, from the Llyfr Coch o Hergest, and other ancient Welsh manuscripts, with an English Translation and Notes, by Lady Charlotte Guest, London, Longman, Brown, Green and Longmans; Llandovery, W. Rees, 3 voll., 1849, e ristampa in un volume, con note di Alfred Nutt, New Amsterdam Book Company, New York, 1902; The Mabinogion, Translated by Gwyn Jones and Thomas Jones, London, Dent-New York, Dutton, 1975; The Mabinogion, Translated with an introduction by Jeffrey Gantz, Harmondsworth, Middlesex (England), 1985; The Mabinogi and Other Medieval Welsh Tales, Translated and Edited, with an Introduction, by Patrick K. Ford, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press, 2008; The Mabinogion, Translated wiht an Introduction and Notes by Sioned Davies, Oxford, Oxford University Press, 2007; The Four Branches of the Mabinogi, edited and translated by Matthieu Boyd, Peterborough (Ontario, Canada), Broadview Press, 2017.

La traduzione di Achau y Dylluan è stata condotta sull’originale, sulle versioni inglesi e sulla versione francese di un suo frammento, pubblicati nei seguenti volumi: Translations into English Verse from the Poems of Davyth ap Gwilym, A Welsh Bard of the Fourteenth Century, London, Henry Hooper, 1834; Les Mabinogion, Traduits du gallois avec une introduction, un commentaire explicatif et des notes critiques par Joseph Lot, 2 voll., Paris, Fontemoing et Cie, 1913; Dafydd ap Gwilym, Fifty Poems, Translated, with Introductory Essays, by H. Idris Bell and David Bell, London, The Honourable Society of Cymmrodorion, 1942; Dafydd ap Gwilym, Apocrypha, Edited by Helen Fulton, Llandysul (Dyfed), Gomer Press, 1996; Dafydd ap Gwilym, Poems, Edited by Rachel Bromwich, Llandysul (Dyfed), Gomer Press, 1993.

Per la traduzione dei versi da Kadeir Kerrituen, e per il rapporto fra Kat Godeu e Hanes Blodeuwedd, sono state consultate le seguenti opere: D. W. Nash, Taliesin; or, The Bards and Druids of Britain, London, John Russell Smith, 1868; Robert Graves, The White Goddess, New York, Farrar, Straus and Giroux, 1966 e la versione italiana: La Dea Bianca, Milano, Adelphi, 2009; The Mabinogi, and Other Medieval Welsh Tales, Translated and Edited, with an Introduction, by Patrick K. Ford, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press, 2008; Legendary Poems from the Book of Taliesin, edited and translated by Marged Haycock, second revised edition, Aberystwyth (Ceredigion), CMCS Publications, 2015.

Alcuni dizionari consultati: Peter Clement Bartrum, A Welsh Classical Dictionary, https://www.library.wales/discover/digital-gallery/printed-material/a-welsh-classical-dictionary; Silvan Evans, Dictionary of the Welsh Language, Carmarthen, William Spurrell, 1887; Geiriadur Prifysgol Cymru, A Dictionary of the Welsh Language, https://www.welsh-dictionary.ac.uk/; Ceri M.P. Jones, Dawn Dweud: A Study of Colloquial and Idiomatic Welsh, Doctoral Thesis, 2 voll., University of Glamorgan Prifysgol Morgannwg, August 1998; William Owen, A Dictionary of the Welsh Language, 2 voll., London, E. Williams, 1803; Owen Pughe, A Dictionary of the Welsh Language, Denbigh, Thomas Gee, 1832; William Spurrell, A Dictionary of the Welsh Language, New York, John M. Jones, 1861; Strachan, John, An Introduction to Early Welsh, Manchester, At the University Press, 1909; John Walters, An English and Welsh Dictionary, 2 voll., Denbigh, Clwydian Press, 1828.

Illustrazione di Alan Lee.


Testo e traduzioni di Alessandro Zabini. Nessuna parte di questo testo può essere riprodotta o utilizzata in alcun modo e con alcun mezzo senza il permesso scritto dell’autore e senza citare la fonte.


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