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Il Tempio della Ninfa

L'Alfabeto Ogamico e il potere della Parola
Martedì, 25 Luglio 2006 - 02:41 - 6183 Letture
Celti Senti la voce del Bardo
Che vede presente, passato e futuro.
Le sue orecchie udirono il sacro Verbo
Che spirava tra gli alberi antichi
.”
William Blake

Un suono distinto e pulito si innalza e riecheggia vibrante, impregnando di potere la sacra radura al centro del bosco. La sua magia è custodita nel senso occulto della parola a cui appartiene, e l’energia che sprigiona si imprime nel mondo sottile, invisibile all’uomo ma conosciuto allo Spirito divino.
In un solo istante l’incantesimo sboccia.
I suoi effetti sono inarrestabili
.

Sin dai tempi più antichi i druidi coltivavano la magia del suono e il potere della parola. La trasmissione orale era per loro l’unico mezzo di comunicazione, di apprendimento e insegnamento, e la scrittura non era contemplata se non per scritti pubblici e privati, per i quali veniva usato l’alfabeto greco.
L’impressione di segni e simboli su particolari materiali era considerata un atto di grande potere e poteva avere temibili effetti, pertanto era riservata ad occasioni rare e importanti. Se la parola conteneva una forza magica molto potente, infatti, la sua incisione su legno o pietra avrebbe vincolato la sua essenza nel tempo e nello spazio, e si sarebbe creato un legame inscindibile e dal potere incontrollabile che avrebbe coinvolto non solo il mondo terrestre ma anche i piani sottili, in una pericolosa forza congiunta.
Per diverso tempo, quindi, i druidi si limitarono a usare semplicemente la trasmissione orale, sia per tramandare la conoscenza, sia per operare la loro antica magia, e soltanto in epoca tarda si aprirono a una certa forma di scrittura, costituita da un particolare alfabeto fatto di segni perpendicolari e trasversali. Questo alfabeto, inciso perlopiù su bastoncini di legno, venne chiamato Ogham, dal nome del suo creatore divino, il dio Ogma.



Secondo ciò che riporta il Libro di Ballymote, “Ogma, un uomo molto abile nell’arte della poesia e della retorica inventò l’Ogham […] Ogham prese questo nome dal suono e dalla sostanza – che sono rispettivamente suo padre e sua madre. Per quanto riguarda il suono Ogham deriva da Ogma, il suo inventore. Ma per quanto riguarda il significato, Ogham è l’og-naim, la perfetta allitterazione che i Bardi applicavano alla poesia […]”. (1)
La prima lettera dell’alfabeto Ogham è la prima che venne incisa, la B. A questo proposito, il mito di origine degli Ogham racconta che Ogma volesse avvertire suo fratello Lugh del pericolo che stava correndo sua moglie di venire portata nell’Altromondo. Così incise sette B su un bastoncino di betulla, a significare: “tua moglie verrà portata per sette volte nel mondo degli Inferi, o in qualche altro mondo, a meno che non venga protetta da una betulla”. (2)
Un altro mito di origine degli Ogham è quello che narra di come la divina Aoife, moglie del dio del mare Manannan, sottrasse l’alfabeto agli dèi per donarlo agli uomini, e per punizione venne tramutata in un candido cigno. Ciò nonostante, la dea conservò il suo tesoro in una borsa fatta della sua stessa pelle e riuscì ad affidarlo agli uomini.

Tecnicamente, i segni alfabetici Ogham erano tracciati partendo dal basso verso l’alto, per richiamare la crescita dell’albero e l’elevazione verso il regno celeste (3). I druidi, infatti, credevano che in questo modo gli dèi avrebbero ascoltato le loro invocazioni e avrebbero accolto i loro messaggi.
I bastoncini su cui erano state impresse le lettere venivano poi consegnati alle fiamme, come termine e garanzia dell’avvenuto incantesimo.
L’alfabeto era suddiviso in cinque vocali e tredici consonanti, e queste lettere venivano incise sui menhir a confine dei clan, nei luoghi in cui era deceduto un guerriero – forse per preservarne la memoria – e soprattutto su tavolette di legno di betulla, nocciolo, tasso o melo. Come base per l’incisione veniva usato il lato di una pietra.

Per mezzo di questi segni i druidi crearono un perfetto sistema di memorizzazione delle conoscenze che venivano trasmesse oralmente nei secoli. Ogni lettera, infatti, sembra fosse associata ad un albero, del quale era l’iniziale, e richiamava anche colori, animali, erbe e piante medicamentose, simboli, fortezze, luoghi sacri, incantesimi, nonché parti del corpo umano, genealogie di nobili e re, versi poetici, racconti, leggende, miti, elementi filosofici e tutto ciò che rimaneva dell’immenso bagaglio culturale dei bardi, dei vati e dei druidi stessi. In questo modo, attraverso le associazioni di simboli e immagini, gli antichi riuscivano a custodire in loro stessi una conoscenza senza limiti, che si andava accrescendo mano a mano che riuscivano a trarne di nuova attraverso l’osservazione e l’ascolto della Natura, loro madre e maestra.
L’Ogham era dunque utilizzato come esercizio mnemonico, ma aveva anche lo scopo di imprimere incantesimi e interdizioni, di divinare e comunicare con un particolare linguaggio figurato in cui le varie lettere corrispondevano a determinate parti del corpo.
Non era invece usato per tramandare la conoscenza o per trascrivere versi, leggende o canti. Lo stesso Giulio Cesare riferisce che questo avveniva principalmente per due motivi: “dal desiderio di non divulgare i loro insegnamenti, e perché gli apprendisti non trascurino la memoria fidando nell’uso delle lettere, il che capita quasi sempre ai più: col sostegno della scrittura si allenta l’applicazione nello studio e nell’esercizio mnemonico”. (4)
Si deduce quanto i druidi dessero estremo valore e potere alla parola pronunciata. La parola era viva e vibrava di vita rinnovata ogni qual volta la si pronunciava. La parola scritta, invece, moriva nell’istante stesso in cui veniva tracciata, legata e imprigionata in un tempo e in un luogo, e con essa moriva il suo significato, ormai privato della vita, della rigenerazione e soprattutto dell’evoluzione. Mantenendo una trasmissione orale delle conoscenze, queste non avrebbero mai perso la loro vitalità e sarebbero sempre appartenute al presente e al reame dell’essere. Adottando, invece, una trasmissione scritta le conoscenze si sarebbero pietrificate e sarebbero cadute in un passato fisso e statico, privo del respiro vitale.
In una cultura in cui il tempo non era altro che un concetto solamente umano e la conoscenza viaggiava oltre il mondo terreno e si congiungeva con quello sottile, cedere a un simile compromesso sarebbe stato segno di decadenza e sintomo della perdita delle antiche armonie.


Note:

1. Citazioni dal Libro di Ballymote incluse in Fred Hageneder, Lo spirito degli alberi, pag. 183
2. Ibidem
3. Questa teoria è stata proposta da Robert Graves e sebbene non sia affidabile potrebbe essere degna di considerazione.
2. Cfr. Cesare, De Bello Gallico, Libro VI, 14.


Fonti

Le Guerre in Gallia. De Bello Gallico, Cesare, Oscar Mondadori, Milano, 1991
Lo spirito degli alberi, Fred Hageneder, Edizioni Crisalide, 2001
Il Vischio e la Quercia, Riccardo Taraglio, Edizioni L’Età dell’Acquario, Torino, 2001
La Dea Bianca, Robert Graves, Gli Adelphi, Milano, 1992


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