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La Sacerdotessa del Tripode di Sesto Calende e le sue Sorelle
Lunedì, 29 Aprile 2019 - 00:53 - 2463 Letture
Archeologia LA SACERDOTESSA DEL TRIPODE DI SESTO CALENDE
E LE SUE SORELLE
Donne sacre nella cultura di Golasecca


Nel Museo Civico Archeologico di Sesto Calende, proprio al centro della sala principale, è esposto un ricco corredo funerario risalente al VI secolo a.C., occasionalmente scoperto nel marzo 1977 nella zona Mulini Bellaria a Sesto Calende, a pochi passi dalle sponde del Ticino. La piccola necropoli di cui faceva parte era disposta lungo il terrazzo del fiume e comprendeva sepolture di due fasi distinte, la prima riferibile al periodo che intercorre fra la fine del IX e gli inizi del VIII secolo a.C. (Golasecca I A2) e la seconda all’ultimo quarto del VI fino agli inizi del V secolo a.C. (Golasecca II B) (1). La fase a cui appartiene il misterioso corredo è la seconda.


APPENDICE
I corredi delle sacerdotesse


Tomba di Sesto Calende – Località Mulini Bellaria
Ultimo quarto del VI e inizi del V secolo a.C.


Il corredo della sepoltura detta “tomba del tripode”, scoperta in località Mulini Bellaria a Sesto Calende comprende ceramiche, ornamenti e oggetti riferibili all’abbigliamento femminile, una situla di bronzo e un tripode. Gli oggetti di ceramica sono composti da “una gran coppa ad alto piede svasato a tromba con orlo a tesa, quattro coppe ad alto piede con un motivo a raggiera reso a stralucido all’interno della vasca, due con orlo rientrante e due con orlo diritto; un boccale a corpo tronco-conico, collo distinto e orlo esoverso.” (7)
Gli ornamenti e gli oggetti relativi all’abbigliamento annoverano un bracciale, o armilla, di legno fossile, lignite o sapropelite, un fermaglio rettangolare in lamina bronzea che faceva parte di una cintura di cuoio ricoperta interamente di piccole borchiette di bronzo; dieci fibule, cinque delle quali a sanguisuga; quattro fibule ad arco composto che presentano tracce di rivestimento in corallo; una grande fibula ad arco composto, che “recava appeso all’ardiglione un pendaglio lungo 50 cm, formato da un elemento tubolare di verghetta bronzea avvolta a spirale e ripiegato a U rovesciata, dai capi del quale fuoriescono due coppie di sostegni che reggono trenta lunghe catenelle, ciascuna delle quali terminante con un pendaglietto di bronzo del tipo a goccia”; diverse perle d’ambra che forse in origine erano infilate nell’ardiglione delle fibule, una fusaiola d’ambra e due pendagli d’ambra stilizzati in forma antropomorfa femminile, forse parte di una stessa collana.” (8)
La situla di bronzo appartiene al tipo “con spalla cordonata, caratteristico della cultura di Golasecca per tutto il VII e VI secolo a.C.”; è caratterizzata da un manico le cui estremità terminano “con la caratteristica piegatura a S, che forma il motivo della testa ornitomorfa stilizzata” ed è decorata a sbalzo con borchiette e puntini.
Il tripode è “costituito da un bacino in lamina bronzea a corpo leggermente carenato, fondo a calotta e orlo esoverso a tesa”. Il suo supporto è formato da “tre aste di ferro fissate da una parte all’orlo e alla parete del bacino e inserite dall’altra in un peduccio di bronzo fuso a forma di gamba umana.” (9)
Il corredo si trova attualmente al Museo Civico di Sesto Calende.


Tomba di Castelletto Sopra Ticino – Località Motto della Forca
Metà e terzo quarto del VI secolo a.C.


Più antica rispetto alle altre, e quindi appartenuta a una sacerdotessa che visse pochi decenni prima, è la tomba scoperta nel 1877 a Castelletto Sopra Ticino, in località Motto della Forca – oggi Motto Falco – che appartiene alla fase cronologica precedente quella di Sesto Calende, ovvero al periodo fra la metà e il terzo quarto del VI secolo a.C. (Golasecca II A-B).
Il corredo è composto da: “un’urna cineraria a corpo biconico globoso decorata a stralucido, un bicchiere a corpo globoso, collo distinto e labbro estroverso, una ciotola coperchio a basso piede e orlo introflesso, un piccolo boccale a corpo globoso, due coppe tronco-coniche con labbro diritto e basso piede svasato a tromba, una quarantina di armille di bronzo del tipo a capi aperti, 12 anellini di argento e un anello di bronzo infilati sull’ardiglione di una fibula, forse del tipo a navicella, ormai non più rintracciabili. Il tripode aveva un bacino di lamina bronzea a forma di calotta con orlo esoverso a tesa.” Le tre zampe di sostegno, fatte di ferro, erano frantumate in tredici frammenti e all’epoca del ritrovamento non sono state ritenute degne di nota, così non sono state conservate. (10)
Il corredo è conservato al Museo di Antichità di Torino.


Tomba di Pezzana – Località Dosso del Lupo
Fine del VI e inizi del V secolo a.C.


Alla stessa epoca della tomba di Sesto Calende appartiene quella trovata nel 1889 in provincia di Vercelli, nel comune di Pezzana, e precisamente in località Dosso del Lupo, sulla sponda destra del fiume Sesia. In occasione dello spianamento di un tumulo per livellare i campi agricoli, emerse il frammento di quello che si scoprì essere un tripode. Gli scavi attuati restituirono quindi altri oggetti riferibili alla sfera religiosa: una cista a cordoni e fasce di puntini, in lamina bronzea, alta circa 23 cm, con diametro di 27 cm, rivestita di una patina verde e dotata di due manici di bronzo muniti di occhiello; un piccolo vaso ansato ridotto in pezzi, e un boccale.
Il tripode era composto da un bacile di lastra di rame, e dei tre piedi che dovevano sostenere il recipiente ne venne alla luce uno solo, fatto di ferro e molto corroso dalla ruggine. Quest’asta mostra nella parte inferiore la forma di una gamba umana, terminante con un piedino di bronzo ben lavorato. Accanto a questo, venne trovato anche il frammento di un’altra asta di sostegno in ferro, lunga pochi centimetri. Le tre gambe dovevano avere un’altezza totale di circa trentatre centimetri.
Sebbene non siano rimasti ornamenti od oggetti relativi all’abbigliamento che possano confermare l’appartenenza della tomba a una donna, l’entità dei reperti rinvenuti è identica a quella del corredo femminile di Sesto Calende, pertanto è probabile che anche in questo caso la sepoltura contenesse le spoglie di una donna, e dunque di una sacerdotessa.
L’ubicazione della tomba prova inoltre che gli stessi popoli che abitarono le sponde del Ticino si spostarono anche nel vercellese, stabilendosi ai margini della Sesia e sviluppando in questa zona la cultura di Golasecca. (11)
Il corredo è andato perso da molti anni, oppure è conservato in collezioni private di cui non si ha notizia.


Tomba di Rondineto (CO)
Fine del VI e inizi del V secolo a.C.


Coeva alle due sepolture di Sesto Calende e Pezzana, è infine quella situata in un altro grande centro di sviluppo della cultura di Golasecca. In località Rondineto, in una necropoli poco distante dal grande abitato protostorico di Como, è stata trovata “una gamba di bronzo fuso con ancora inserita nella parte alta l’estremità di una verga di ferro, che è certamente il peduccio di un tripode come quelli di Pezzana e Sesto Calende.” (12)
Il corredo si trova ai Musei Civici Paolo Giovio di Como.

***


Note:

1. Cfr. Raffaele Carlo de Marinis, La tomba del tripode di Sesto Calende, in Riti e Culti nell’età del ferro. Conferenze, Giugno 1998, pag. 18

2. La tomba era stata già depredata in passato: “la lastra di copertura era stata asportata, nella parte nord-occidentale della camera sepolcrale non venne rinvenuto alcun oggetto di corredo, l’urna cineraria e il cosiddetto bicchiere accessorio, elementi tipici e costantemente presenti nelle tombe della facies del Ticino della cultura di Golasecca, risultarono assenti.
(…) Il crollo di una lastra e di numerosi ciottoli appartenenti all’originaria sopracopertura, ha permesso la conservazione di una parte del corredo, anche se gravemente danneggiato per lo schiacciamento subito.
” (Cfr. Raffaele Carlo de Marinis, op. cit., pagg. 17-18)

3. Cfr. Raffaele Carlo de Marinis, op. cit., pag. 18-19, 21.

4. A tal proposito è da segnalare un’importante scoperta avvenuta recentemente a Pombia, in provincia di Novara, dove è stata rinvenuta una sepoltura con urna cineraria e bicchiere accessorio del 560 a.C., nel quale sono state rilevate tracce di una bevanda ricavata dalla fermentazione dei cereali e aromatizzata con erbe e luppolo: la prima testimonianza di preparazione della birra in Europa. Per approfondire si veda Filippo Maria Gambari, Lo sviluppo delle bevande fermentate nella preistoria e protostoria della Cisalpina, sulla base dei dati archeologici e linguistici; e Filippo Maria Gambari, Bevande fermentate in Italia nord-occidentale.

5. A seconda delle epoche la Grande Madre ha assunto volti e nomi diversi, e in questa area precisa era venerata soprattutto nel suo aspetto di virginea dea dei boschi, delle pietre, delle acque, della terra, delle donne, ma anche della bellezza e dell’armonia della natura. A dimostrarlo vi è un cippo del I-II secolo d.C. rinvenuto nell’Oratorio di San Vincenzo, a pochi passi dalla Preja Buja, che era stato a lungo utilizzato come supporto per l’acquasantiera. Il cippo reca incisa questa dedica:

Per comando e ordine
della celeste Diana Augusta,
agli dei e alle dee
tutt’insieme, Gaio Elpio (?)
per sé con
la madre e i figli
tutti, sciolse il voto.


L’inscrizione viene così spiegata: “Per ispirazione, probabilmente nel sonno, della dea Diana (…) un devoto dal nome incerto fu indotto, per il bene suo e dei suoi, a formulare un voto rivolto a dei e dee insieme. La formula dell’ispirazione di Diana e l’offerta a tutte le divinità sono rare; ma un caso davvero unico fin qui è che esse siano indicate come “unite, tutt’insieme” (…).” (Cfr. Antonio Sartori, Le epigrafi romane del Museo di Sesto Calende, in Maria Adelaide Binaghi e Mauro Squartanti, La raccolta archeologica e il territorio, pag. 160)
La stele è dunque estremamente importante, e la sua presenza in loco lascia intendere che il sito stesso era considerato sacro e caro a molti dèi e molte dee, soprattutto a Diana. Considerando la continuità di culto nella zona, è quindi possibile immaginare che la Diana il cui nome venne scolpito nella pietra in età romana imperiale fosse passata attraverso la interpretatio romana, e derivasse da una divinità precedente che incarnava le sue stesse caratteristiche. Una divinità onorata con un altro nome, o forse senza alcun nome, che rappresentava allo stesso modo lo spirito dei boschi, delle pietre, delle acque, della terra, così come delle donne e in generale della natura tutta. Una divinità che era celebrata anche negli altri siti della Cisalpina dove vennero rinvenute steli simili a questa, e che, sempre per continuità di culto, somigliava forse a quella a cui era dedicata la nostra sacerdotessa in un’epoca ancora più lontana.

6. Nel suo testo, de Marinis spiega: “La tomba [del tripode], inoltre, illustra in maniera esemplare un fenomeno caratteristico della cultura di Golasecca tra la metà del VI e gli inizi del V secolo a.C.: le tombe più ricche in questo periodo sono femminili e accanto ad oggetti d’ornamento di lusso presentano anche arredi specializzati a destinazione rituale, com’è il caso del tripode o nelle coeve tombe della Cà Morta i cosiddetti doppieri o ad Albate l’elaborato vaso ad alto piede, tre bracci e tre gutti ornitomorfi.”. Cfr. Raffaele Carlo de Marinis, op. cit., pag. 27.

7. Ibidem, pag. 19

8. Ibidem, pag. 25

9. Ibidem, pag. 21

10. Ibidem, pag. 23

11. Cfr. Camillo Leone, Alcuni oggetti scoperti a Pezzana nel Vercellese, in AA.VV., Atti della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, pagg. 247-254; e Raffaele Carlo de Marinis, op. cit., pagg. 23-24

12. Cfr. Raffaele Carlo de Marinis, op. cit., pag. 25


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