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La maschera della Gorgone
Sabato, 25 Marzo 2017 - 01:57 - 15198 Letture
Archetipi Agli Dèi bisogna farsi simili: non già agli uomini da bene. Non l’essere esenti dal peccato, ma l’essere un Dio – è il fine.
(Plotino)

Il bagliore delle fiaccole illumina debolmente il centro della grotta, creando ombre danzanti sulle umide pareti di roccia.
Il silenzio è accarezzato da calde voci femminili, che mormorano il canto della terra, e le maschere dagli occhi fiammeggianti sono poste intorno al fuoco. Attendono.
La serpentessa si avvicina al centro della grotta. Le fiamme si specchiano sul suo splendido corpo nudo.
Imitata dalle sue sorelle, raccoglie la maschera e delicatamente la pone sul proprio viso…


Nel lento scorrere del tempo, la donna si lascia penetrare dal potere arcaico, abbandonandosi alla travolgente presenza del divino.
Il serpente sacro si risveglia dentro di lei. Acceca la sua parte umana e risveglia la sua anima sopita.
Nella perfetta comunione con esso, la donna si fa dea. E l’eterno Mistero si compie.






La figura della Gorgone risale a epoche molto antiche, in cui la donna era ancora riconosciuta come incarnazione del sacro femminino terrestre e acquatico. La più antica raffigurazione di Gorgone finora scoperta è una maschera del 6000 a.C. ritrovata in Tessaglia, nella Grecia settentrionale.
Questa maschera dal terribile aspetto mostra occhi tondi, narici dilatate, denti aguzzi digrignati e lingua pendente, tutte caratteristiche che richiamano il furore animalesco, la natura bestiale e selvaggia. A questi elementi sono aggiunte spirali dipinte di rosso, che nella simbologia e nel colore indicano il potere rigenerativo, lo slancio alla vita e il flusso sanguigno.
È infatti una caratteristica comune alle raffigurazioni delle Gorgoni l’associazione di caratteri spaventosi e minacciosi, che richiamano l’aspetto oscuro e spietato della dea della morte, e simboli di rinnovamento, quali spirali, tralci di vite, lucertole e serpenti, che invece richiamano la rigenerazione, il ciclico rinnovamento e quindi la visione della morte come passaggio per accedere a una nuova esistenza rinnovata e illuminata da una nuova consapevolezza.
Questo tipo di maschere erano probabilmente indossate dalle antiche profetesse e sacerdotesse durante i loro rituali sacri, intimamente legati al potere della Gorgone, ovvero alla trasmutazione profonda.
Durante queste pratiche magiche le iniziate al culto, sistemata la maschera sul viso, entravano in una sorta di trance e giungevano a impersonare la dea delle serpi, l’arcaica serpentana, la cui energia tellurica vibrava nel loro corpo e le portava a sperimentare l’estasi e la segreta conoscenza che solo in questi stati d’essere può venire acquisita.
Il loro era un vero e proprio abbandono alla dea e al suo potere fortemente trasformativo, ovvero alla sua completa e travolgente possessione. Indossare una maschera rituale significava infatti annullare temporaneamente la propria personalità cosciente ed entrare in contatto diretto con la divinità che vi era ritratta, accogliendola in sé e identificandosi con essa; significava cambiare non solo il proprio viso, ma anche la propria gestualità, la voce, i movimenti e la percezione della realtà, assumendo anche il ruolo della dea, che agiva attraverso coloro che portavano il suo volto impresso sul proprio.

Per comprendere ciò che la Gorgone poteva rappresentare in epoca antica, volgeremo lo sguardo alla mitologia greca, nella quale è narrata la storia di Medusa, la più illustre di tre sorelle la cui feroce e spaventosa testa dai capelli di serpenti ricordava proprio l’antica maschera gorgonica. I popoli posteriori, infatti, interpretarono l’immagine della maschera come quella di una testa femminile recisa, e ne crearono un racconto dal tipico carattere patriarcale.
In questo modo, però, essi racchiusero nell’eterna sfera del mito non solo l’immagine della Gorgone, ma anche la reminiscenza del suo potere originario, che sopravvisse al tempo storico e si rese disponibile a coloro che, migliaia di anni dopo, avrebbero potuto attingervi per ri-membrarlo e farlo riemergere ancora una volta.


La favola di Medusa

Un tempo, vivevano su un isola non lontana dal regno dei morti tre bellissime sorelle, figlie delle divinità oceaniche Ceto e Forco. I loro nomi erano Steno, Euriale e Medusa. L’ultima delle tre, in quanto a bellezza e grazia superava di gran lunga le sorelle: il suo corpo era florido e sensuale, i suoi lineamenti erano dolci e i suoi capelli parevano fili dorati, lucenti come il caldo sole estivo.
Tanto era bella e amabile, che il dio del mare, Poseidone, se ne innamorò perdutamente e un giorno la invitò a incontrarlo in un tempietto consacrato ad Atena, dove giacque con lei nella gioia e nel diletto.
Atena, però, si accorse di quanto era accaduto e, sdegnata, si vendicò sulla fanciulla, tramutandola da donna splendida e fiorente in creatura mostruosa e portatrice di morte.
La sua bocca sensuale come un frutto roseo e succoso divenne una voragine orrenda dalla quale spuntavano zanne lunghe e spaventose come quelle dei cinghiali; i suoi splendidi capelli, più belli addirittura di quelli della dea stessa, divennero un groviglio di serpi velenose e sibilanti; le sue unghie divennero di bronzo, appuntite e affilate come quelle di una bestia feroce, mentre sulla schiena le spuntarono due alette d’ape.
Il suo sangue acquisì il doppio potere di uccidere e riportare in vita: la prima goccia colata dai serpenti che portava sulla testa era veleno letale, mentre la seconda, stillata dalle sue vene, aveva la proprietà di guarire i malati e far rinascere i morti.
Infine, i suoi occhi, che un tempo erano stati strumento d’amore e seduzione, divennero arma mortale: chiunque ne avesse incrociato lo sguardo si sarebbe immediatamente mutato in pietra.
Tale era stata la metamorfosi della bella Medusa, che da donatrice di piacere era divenuta portatrice di orrore e morte. Ma Atena, non paga della già consumata vendetta, pensò di dare il colpo di grazia all’odiata nemica. Si offrì, infatti, di aiutare Perseo a uccidere il mostro ripugnante che lei stessa aveva creato, e per far sì che lui vi riuscisse gli suggerì di penetrare nell’antro di Medusa procedendo all’indietro, e di osservare la spaventosa creatura non direttamente, ma attraverso il riflesso del suo scudo lucidissimo, usandolo come uno specchio.
In questo modo, Perseo riuscì a raggiungere la Gorgone, che in quel momento stava dormendo profondamente, e con un violento colpo di spada le tagliò la testa.
Nonostante la morte, la donna-serpe partorì due creature, il cavallo alato Pegaso e l’eroe Crisaore. Alcune gocce del suo sangue caddero sulle sabbie del deserto, dando vita ai velenosi serpenti scarlatti che ancora lo abitano, e altre gocce, versandosi nelle acque marine, diedero origine ai meravigliosi coralli rossi.
La sua testa, staccata dal resto del corpo, continuò a mantenere tutto il suo potere. Così Atena la adottò, ne fece il suo emblema e la pose sul suo scudo da battaglia, che da quel momento ne ereditò il potere pietrificante e divenne arma mortale contro i nemici.


La metamorfosi e la vera natura di Medusa

Nel mito, Medusa appare inizialmente come una fanciulla che ha ereditato dal materno oceano la bellezza, la sensualità e la femminilità tipiche di una languida creatura acquatica. La bella Gorgone porta in sé il potere della donna libera, vergine, forte e indipendente, ebbra di voluttà, di amore e grazia, ed è per sua stessa natura simile a Poseidone, dio delle acque marine, dei flutti e della candida spuma. Questi ne è infatti profondamente attratto e la desidera come tenera amante, ma in seguito al loro incontro nel tempio dell’austera Atena, la giovane Gorgone subisce una metamorfosi radicale, e da bellissima donna diventa essere mostruoso, inguardabile non solo per la sua bruttezza ma soprattutto per le fatali conseguenze provocate dal suo sguardo, che muta in grigia pietra chiunque lo incroci.
Medusa assume un aspetto talmente orrendo da sembrare opposto, e dunque completamente estraneo, alla sua vera natura. Eppure proprio per questo motivo potrebbe rivelarsi vero il contrario.
Secondo il mito, Atena trasformò Medusa per vendetta, come se tale gesto fosse una punizione generata da un odio profondo. Ma la figura della Gorgone appartiene in realtà a un epoca molto più antica, nella quale la dea e la donna non erano soltanto belle e benefiche oppure terribili e pericolose, ma erano entrambe le cose, in quanto luminose portatrici di vita e oscure dispensatrici di morte.
Sotto questa luce, Atena è solamente colei che mette in atto un cambiamento, un passaggio da una condizione all’altra, entrambe, però, già esistenti per natura nella medesima creatura, che è al contempo giorno e notte, bellezza e mostruosità, vita e morte.
La presenza o il prevalere di un aspetto non esclude la naturale compresenza dell’altro, perché entrambi sono parti complementari ed essenziali della stessa entità, la quale può scegliere, a seconda delle circostanze, quale mostrare.
Medusa muta la propria forma agli occhi di chi la guarda e prende le sembianze del suo potente lato oscuro, spaventoso perché incontrollabile, imprevedibile, inconoscibile e privo di qualsiasi limitazione. Il suo aspetto è più simile a quello di un animale, perché riflette la bestialità, la ferocia e il potere di provocare la morte, ed è proprio nel suo assumere questi tratti, così apparentemente lontani dalla bella e dolce fanciulla acquatica, che Medusa svela il suo vero volto di dea primitiva e completa, sorgente vitale e mortifera, signora della nascita e della putrefazione, caldo utero partoriente e spietata divoratrice di ossa.
Medusa è la dea venuta da lontano, sopravvissuta al tempo, la potente dea serpente di fronte alla quale la stessa Atena ellenica, nata dalla testa di suo padre, sfigura e scompare.

Gli elementi stessi che caratterizzano l’aspetto di Medusa non fanno che evidenziare questa sua peculiarità. I denti lunghi e appuntiti sono paragonati a quelli di un cinghiale, così come le unghie affilate sono proprie delle bestie feroci. Entrambi sono attributi che richiamano ciò che è selvatico, indomabile e pericoloso. Sono richiami di morte, e infatti nel suo aspetto mostruoso Medusa incarna proprio l’antica dea neolitica della morte e della rigenerazione, signora della trasformazione che passa dalla vita alla morte alla nuova vita.
Questo suo ruolo è suggerito anche da un altro dei suoi attributi, ovvero le due piccole ali d’ape dorate che lei mostra sulla schiena, uno dei più antichi simboli del rinnovamento della vita e dell’involarsi dell’anima verso la dimensione divina, a cui segue sempre una nuova e più elevata fase dell’esistenza.
La stessa simbologia di rigenerazione può essere ricondotta anche ai serpenti che si aggrovigliano sulla sua testa, i quali richiamano la sua appartenenza al reame acquatico e terrestre, e oltre ad avere il potere di uccidere e ri-vivificare insegnano il mutamento dalla morte alla rinascita attraverso il loro cambio di pelle.
In alcuni rilievi, inoltre, la Gorgone è raffigurata nella posizione del parto, accovacciata con un ginocchio appoggiato a terra. La sua espressione a denti digrignati richiama lo sforzo e il dolore lacerante che accompagna le doglie delle partorienti, e in questo aspetto Medusa incarna la forza creativa della donna e rappresenta la grande genitrice universale, colei che partorisce tutto il creato.

Se le orrende sembianze di Medusa contribuiscono a comprendere la sua particolare natura, vi sono altresì alcuni elementi che dimostrano ancora di più la complessità della sua figura originaria, e il motivo per cui era estremamente temuta in un mondo che, ormai governato dal patriarcato, rifiutava il potere del sacro femminino. Queste caratteristiche sono il suo sangue, dotato di proprietà straordinarie, e i suoi occhi, di fronte ai quali il potere trasformativo scaturiva implacabile e trasformava chiunque li incontrasse.


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