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Il Tempio della Ninfa

Soreghina, la Figlia del Sole
Venerdì, 16 Agosto 2013 - 03:24 - 16298 Letture
Archetipi Là su per le montagne tra boschi e valli d’or,
tra l’aspre rupi echeggia un cantico d’amor.
‘La montanara, ohè’ si sente cantare;
‘Cantiam la montanara e chi non la sa?’
Là su sui monti dai rivi d’argento,
una capanna cosparsa di fior:
era la piccola dolce dimora
di Soreghina la figlia del Sol
.” (1)

Negli antichi borghi di montagna, dalla ruvida voce delle anziane, o dai canti di qualche vecchio alpigiano, si può talvolta sentir narrare la vicenda di Soreghina, la raggiante figlia del sole.



La sua storia, custodita nella preziosa tradizione dolomitica, racconta che un tempo, in una zona della Val di Fassa chiamata Locia Contrin, si trovava un piccolo lago, dove abitava una bellissima vivana. La fanciulla “indossava una veste stupenda con un corsetto ricamato in argento e ornato nella parte superiore in oro e un grembiule di seta lucente”, e amava trascorrere il suo tempo fra le acque limpide e trasparenti, mostrandosi solo quando più forte splendeva il sole.
Avvenne che un giorno la bella vivana dovette sposare il figlio del re della Val de Mortic, e quando fu trascorso un anno diede alla luce una splendida bambina, che venne chiamata Soreghina “perché era bella come un raggio di sole.” La vivana emergeva dalle acque del lago con la sua bimba solamente alla luce del giorno, e sempre vi ritornava poco prima del tramonto. “Il piccolo esserino riluceva come oro in braccio alla madre e si diceva che potesse vivere solo al sole. S’era sparsa addirittura la voce che la bambina fosse figlia del sole.”
In una giornata particolarmente serena e soleggiata, la madre volle spingersi con la figlioletta un po’ più lontano del solito, su per la montagna, verso Ciampac. Ma l’ombra della sera calò più rapidamente di quanto avesse creduto, e sebbene si affrettasse a tornare al lago, riuscì a raggiungere le sue rive soltanto molto tempo dopo il tramonto.
La piccola Soreghina non resse all’avventura; si ammalò, iniziò a tremare e senza più riprendersi morì nel corso di quella stessa notte.” (2)

Questa antica leggenda, dal finale apparentemente triste, descrive la vita solare della luminosa Soreghina e il profondo legame che unisce il suo destino a quello del sole. La parola soreghina, in lingua ladina, significa infatti “piccolo raggio di sole” o “filo di sole” e la bambina dalla pelle che brilla come oro e i capelli color del miele incarna proprio i lucenti raggi solari, che brillano intensamente durante il giorno e simbolicamente si addormentano, o muoiono, con il sopraggiungere della notte.
Anche sua madre è una creatura magica, talvolta definita un’incantevole vivana – le bellissime semi-dée boschive o acquatiche della tradizione dolomitica (3) –, talaltra una figlia del sole, e la bimba nasce dunque dall’amoroso connubio fra una donna ultraterrena e l’astro d’oro, fra l’acqua e il fuoco; e dal rifrangersi dei raggi solari sulla superficie del lago d’argento.
La sua natura è pertanto dolce e amabile, e al contempo solare, energica e vivace; delicata e aggraziata, ma anche giocosa e ridente. E lei riluce, splende, ovvero irradia tutt’intorno a sé il suo spirito fatto di luce e gioia, come fosse un piccolo sole vivente.

In questa prima versione della storia, Soreghina è descritta come una bimba molto piccola e la sua vita è assai breve. Altri frammenti narrativi – fra cui alcuni canti tradizionali dolomitici – parlano invece di lei come di una bellissima e radiosa fanciulla, che abitava in una graziosa casina di pietra, o in una capanna, tutta piena di fiori. Qui viveva lietamente e trascorreva la maggior parte del tempo facendo lunghe passeggiate estive per le valli e i sentieri, raccogliendo erbe e mazzetti di fiori, correndo su per le montagne assolate e, soprattutto, inebriandosi della luce del sole.
Dai suoi raggi traeva infatti la sua forza, la vivacità e una gioia esuberante, che la mantenevano in salute e la rendevano felice.

Secondo una leggenda più complessa, nella quale sono stati raccolti, ricuciti, e in parte rielaborati, i diversi accenni alla sua storia, Soreghina era figlia di una fanciulla di nome Elba (4) che a causa della sua rara bellezza era stata desiderata e rapita dal re. Poiché lei rifiutava ardentemente di ricambiare il suo amore, il sovrano la fece rinchiudere in una vecchia e umida cella, dove sarebbe dovuta rimanere fino a quando non avesse acconsentito a sposarlo. In questa piccola ma quieta prigione, la giovane passava molto tempo a parlare con un piccolo raggio di sole che filtrava dalla stretta feritoia, e ogni giorno, quando il filo di luce compariva, Elba ne provava una gran gioia, lo chiamava soreghina, e lo seguiva fino al suo ritirarsi, quando il sole tramontava oltre le montagne. Dopo alcuni anni di prigionia, Elba fu comunque costretta a sposare il re, ma nonostante fosse stata liberata, la fanciulla tornava ogni giorno nella sua vecchia cella a parlare con il piccolo raggio di sole, poiché solo così facendo riusciva a provare un poco di gioia. Dopo alcuni mesi, diede alla luce una bellissima bambina, che venne chiamata proprio Soreghina, e pochi istanti dopo il parto, la madre morì.
La piccola principessa, rimasta orfana nel castello del re, cresceva debole e gracile, ma recuperava forza e vivacità quando si immergeva nella luce del sole. Di notte o nelle giornate di brutto tempo, cadeva in un sonno profondissimo “e da un’indovina le fu predetto che se una volta si fosse lasciata cogliere ancor desta dalla mezzanotte, sarebbe morta all’istante.” (5)
Durante i primi anni, la piccola soffriva talmente che non poteva mai alzarsi dal letto e si svegliava solo per poche ore durante il giorno, quando i raggi solari riempivano la sua stanza. Ciò nonostante, col passare del tempo, riuscì a recuperare la salute e divenne una splendida fanciulla.
Una mattina, durante una delle sue luminose passeggiate, Soreghina trovò, disteso a terra e privo di sensi, un giovane guerriero dalla nobile fama. Il suo nome era Ey de Net, e per diverso tempo la fanciulla se ne prese cura, medicando le sue ferite e nutrendolo come meglio poteva. Dopo qualche tempo, i due giovani si innamorarono e di lì a poco, si sposarono. Dopo le nozze andarono a vivere in una casetta di legno costruita nel punto più luminoso e soleggiato del pendio, dove trascorsero molti mesi felici.
Soreghina “non si sentiva mai così bene come nell’ora del mezzogiorno. Usciva allora volentieri all’aperto, parlava con brio ed era lieta e ridente. Saliva senza stancarsi per l’erto pendio, coglieva fiori, scherzava e correva, agile come un camoscio” (6). E quando Ey de Net le chiedeva dove trovasse tutto quel vigore e quella vivacità, lei rispondeva che li riceveva dal sole.
Tuttavia l’estate passò e giunse l’autunno, con le prime nevicate sulle alte cime, le giornate piovose e il pallido sole nascosto fra le nuvole. Una sera, un guerriero straniero, amico di Ey de Net, giunse alla casa dei due giovani. Soreghina uscì a passeggiare per lasciare soli i due vecchi amici, ma nel grigiore della giornata, per la prima volta da tanto tempo, la fanciulla si sentì attraversare da un profondo brivido. Tornata a casa si mise a letto per riposare, eppure sentiva le forze venirle meno, e la pervadeva una strana inquietudine.
Nel silenzio della sua stanza, udiva i due giovani parlare, e quando li sentì discutere sottovoce, mossa dalla curiosità e certa che parlassero di lei, si alzò per ascoltare meglio, scese la scaletta di legno e si nascose dietro la porticina. Ey de Net stava difatti elogiando le doti e la bellezza della sua sposa, ma si lasciò sfuggire che una parte del suo cuore apparteneva ancora al suo vecchio amore perduto, la principessa guerriera Dolasilla, della stirpe dei Fanes.
Il tempo trascorse e a tarda notte l’amico straniero si accomiatò. Ey de Net fu preso dal rimorso per quanto aveva rivelato, e pensando alla sua bella Soreghina volle subito andare a vederla, così “come tante altre volte l’aveva veduta nel sonno, tranquilla e purissima, col bel viso illuminato dalla luce della luna” (7). Ma era da poco passata la mezzanotte, e non appena il giovane aprì la porta, Soreghina, che vi si era appoggiata contro, gli cadde fra le braccia priva di vita.
Come la brina fredda e crudele uccide un fiore, così nelle tenebre era giunta silenziosa la cupa Mezzanotte, e aveva spento quell’anima luminosa.” (8)
Ey de Net a lungo si disperò per la sua amata Soreghina, ma nulla poté fare per riaverla al suo fianco.

La leggenda si svolge ora in modo diverso rispetto alla sua prima versione, pur mantenendo inalterato il significato e la triste fine – che però appare necessaria – della bella Soreghina. Anche qui, la fanciulla è ritratta come una luminosa figlia del sole, che vive soltanto grazie allo splendore dei suoi raggi e trae salute, vigore e gioia dalla sua luce calda e rassicurante. Ma sebbene in questo caso ad ucciderla sia la fatale mezzanotte, è pur vero che la fanciulla se ne lasci cogliere ancora sveglia per via del suo sposo, il quale rappresenta la causa indiretta della sua morte.
Questo particolare non dovrebbe apparire strano se si considera il significato del suo nome. Ey de Net significa infatti “occhio della notte”, e il giovane potrebbe dunque essere considerato un figlio della notte, una creatura notturna, lunare, misteriosa; opposta ma allo stesso tempo complementare alla lucente Soreghina, così come lo sguardo della notte è opposto ma del tutto complementare al risplendere dei raggi di sole.
La dorata fanciulla è quindi sposa della naturale oscurità, ma è anche la luce che ogni sera viene spenta dal suo incedere implacabile in una danza divina che vede l’eterno succedersi di giorno e notte, di sole e luna, di estate e inverno. Ed è proprio quando l’estate è ormai giunta al termine, sostituita dalle inquiete ombre rosse dell’autunno, dalle grigie nebbie e dall’impallidirsi del sole oltre il pesante velo delle nuvole, che Soreghina percepisce l’approssimarsi della sua fine.
Allo scoccare dell’ora più buia, la vita le vien meno. E pur tuttavia la sua non dovrebbe essere considerata una morte definitiva. Sotto tutti gli aspetti, la bella fanciulla appare infatti come una reminiscenza di quelle antichissime divinità femminili stagionali che, presso i popoli pre-cristiani e matriarcali delle Dolomiti, presiedevano la parte più calda e luminosa dell’armonioso ciclo annuale, e che per il resto del tempo dormivano profondamente – o morivano temporaneamente – rimanendo ben celate alla notte e alla sua misteriosa oscurità.
La loro morte è sempre ciclica, simbolica, ovvero solo apparente e temporanea; un sonno più lungo e profondo che corrisponde ai mesi più freddi e bui dell’anno, al quale però seguirà un sicuro risveglio, così come il sole risorge ogni mattina, e ad ogni gelido e cupo inverno segue sempre il tiepido rinascere della primavera. (9)

Soreghina ritorna sempre, vivace e gioiosa, a illuminare la terra. Nasce e rinasce dal sole, e sempre danza, gioca e ride, nascondendosi tra le foglie e le ombre dei boschi, e correndo libera lungo i verdi pendii dei monti.
È la splendida figlia del sole, la ridente bambina fatta d’oro luminoso, e la radiosa, bionda fanciulla che vive nei riverberi lucenti, nel brillare delle acque, nella pioggia di raggi dorati.
La sua essenza può essere percepita in ogni luogo accarezzato dal sole, il suo sorriso può essere intravisto in ogni suo brillante e purissimo filamento.
Giocare con un raggio di sole è come giocare con Soreghina, confidargli i propri segreti e i propri desideri, è come rivelarli ed affidarli a lei. I tiepidi baci del sole sono i suoi dolcissimi baci, e inebriarsi di luce solare è come farsi pervadere e riempire dall’abbagliante spirito di lei.
Lei, che può ancora insegnare alle belle fanciulle il magico cammino che rende luminose, così che possano imparare a brillare, e a irradiare armonia, amore, gioia ed esuberante libertà. Come piccoli astri viventi, che portano l’oro nel mondo.

***

Sa la costa de Fraghina i nes vejes i contea
che 'na ota je stasea la lusenta Soreghina
.” (10)

(Sulla costa di Fraghina, i nostri vecchi raccontavano
che una volta dimorava la raggiante Soreghina.)

***


Note:

1. La montanara, canto tradizionale alpino ispirato alla storia di Soreghina. Testo di Toni Ortelli, 1927

2. Citazioni tratte da Ulrike Kindl, Le Dolomiti nella leggenda, pag. 33

3. Le Vivane, di cui si narra in diverse leggende alpine, e in particolare dolomitiche, sono donne oltremondane o semi-divine che vivono nei boschi, nelle grotte e presso ruscelli, laghi e sorgenti. Sono descritte come bellissime fanciulle, tanto leggere e delicate da apparire quasi trasparenti, amiche di tutti gli animali, e in particolare dei camosci, delle civette e di tutti gli uccelli. A seconda del modo in cui vengono trattate dagli uomini possono portare fortuna, prosperità e benedizioni, oppure infliggere terribili punizioni, specialmente verso coloro che offendono la natura e le sue creature. Cfr. Kindl, op. cit., pp. 68, 75-81; Maria Savi-Lopez, Leggende delle Alpi, pp. 235 e seguenti; Alberta Dalbosco e Carla Brughi, Entità Fatate della Padania, pp. 227-230.

4. Secondo la leggenda, anche Elba era una figlia del sole, che ogni giorno, durante la primavera e l’estate, trascorreva l’ora del mezzogiorno a navigare un solitario lago d’argento, avvolta in una veste bianchissima. Cfr. Elba, in Karl Felix Wolff, I monti pallidi, pag. 159 e seguenti.

5. Citazione da Wolff, op. cit., pag. 165

6. Ibidem, pag. 167

7. Ibidem, pag. 169

8. Ibidem

9. Anche nella leggenda di Elba, la bella fanciulla vestita di bianco scompare in autunno per ricomparire soltanto quando il calore del sole ha sciolto la neve e i ghiacci, mentre nella leggenda di Cian Bolpin, la solare Donna Chenina si addormenta nel suo splendido palazzo al finire dell’estate, dorme profondamente per tutto l’inverno e si risveglia soltanto a primavera inoltrata. Per approfondire le loro storie vedi Wolff, op. cit., pp. 159-164 e 171-189. Durante il periodo invernale, le figlie del sole sono sostituite dalle leggendarie regine delle nevi. Per approfondire vedi Savi-Lopez, op. cit., pag. 246 e seguenti, e La Samblana, principessa del bianco inverno, ricerca di Violet per Il Tempio della Ninfa.

10. Wolff, op. cit., pag. 165


Fonti

Leggende delle Dolomiti, Ulrike Kindl, Frasnelli-Keitsch Coop. a r.l., Bolzano, 1993
I monti pallidi, Karl Felix Wolff, Cappelli Editore, Bologna, 1987
Leggende delle Alpi, Maria Savi-Lopez, Editrice Il Punto – Piemonte in Bancarella, Torino, 2007
Entità Fatate della Padania, Alberta Dalbosco e Carla Brughi, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 1993
Il Canzoniere, Associazione Nazionale Alpini


Testo e ricerca di Violet. Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso scritto dell'autrice e senza citare la fonte.


Soreghina, la Figlia del Sole | Login/crea un profilo | 4 Commenti
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Re: Soreghina, la Figlia del Sole (Punti: 1)
da Danae 20 Ago 2013 - 00:42
(Info utente | Invia il messaggio) http://)
La bellissima Soreghina mi suggerisce la figura delle antiche Dee Solari che racchiudevano in sé la duplice natura, femminile e maschile insieme. E che, con il passare del tempo, sono state scisse in diverse divinità, talora appunto complementari l'una all'altra.
E' una ricerchina splendida... non so se adorare più la Soreghina o la Samblana, perché in verità sono la stessa cosa *.*
Grazie Violetta :))

Re: Soreghina, la Figlia del Sole (Punti: 1)
da Elke 15 Ott 2013 - 01:53
(Info utente | Invia il messaggio) http://danzanelbosco.splinder.com)
Quanto splendore questa dolce Figlia del Sole, questa Donna-Sole che ride dall'alto di quei monti splendidi...mi riempie di dolcezza immaginarla e richiamarla in me. Grazie per tutto questo cara Violet!

Re: Soreghina, la Figlia del Sole (Punti: 1)
da agrifoglio21 11 Nov 2013 - 11:28
(Info utente | Invia il messaggio) http://lagrifoglioelaluna.blogspot.com/)
Che leggenda struggente. Non conoscevo le leggende delle Dolomiti ma data la magia che le pervade vado subito a leggere qualcosa.
Grazie Violetta, le tue ricerche sono sempre molto appassionanti e magiche!
Agrifoglio

Re: Soreghina, la Figlia del Sole (Punti: 1)
da lastshaman 02 Feb 2018 - 10:44
(Info utente | Invia il messaggio)
Ciao, volevo soltanto far notare che in Ladino Soreghina significa Colei che vive sull'acqua.
Infatti Sora = sopra e Ega = acqua.
Prova ne è che esiste un comune in terra Ladina chiamato Soraga, che in tedesco è proprio Überwasser ovvero sopra l'acqua.
Ega o Aga in Ladino è proprio acqua. Esiste anche un torrente chiamato Ega in Alto Adige.

Questo per dire che probabilmente Soreghina era una ninfa delle acque.

DA WIKIPEDIA:

Soraga di Fassa è un comune italiano di 718 abitanti della provincia di Trento, nonché uno dei 17 comuni che formano la Ladinia e uno dei 6 comuni della Valle di Fassa. Come in tutta la Valle di Fassa, anche a Soraga la lingua madre della popolazione è il ladino. Il suo nome deriva probabilmente dal ladino sora l'èga, che indica la posizione del paese sopra l'acqua.



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