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La Samblana, principessa del bianco inverno
Sabato, 23 Febbraio 2013 - 01:25 - 20145 Letture
Archetipi Sulla gelida vetta delle montagne più alte, fra le grotte azzurre ricamate di ghiaccio e il luminoso candore della neve, in un bianco reame nel quale governa l’eterno inverno, viveva un tempo una bellissima principessa, ricordata nelle tradizioni dolomitiche come la Samblana.
La sua dimora prediletta era la cima del monte Antelao, ma si dice che in origine la fanciulla vivesse nel bosco Bayon, fra le fitte conifere che crescono sulla parte orientale della montagna.



Secondo la leggenda, la Samblana era un’antica principessa indigena che governava sui Maòi – o Bedoyeres, il matriarcale “Popolo delle Betulle” che abitava nella Pusteria (1). Sebbene molto bella, la giovane era assai ambiziosa, e non accontentandosi del piccolo paesello sul quale regnava, aveva voluto sottomettere anche i popoli vicini. Ogni anno, all’approssimarsi del gelido inverno, si faceva cucire un abito di candido velo, e questo doveva essere ogni volta più sfarzoso e luminoso, più lungo e con i ricami più preziosi. L’ultima di queste incantevoli vesti “era intessuta di luce, d’argento e di albume d’uovo ed era talmente lunga che mille fanciulle dovevano sostenere lo strascico, quando la principessa la indossava” (2). Tuttavia lei non era ancora soddisfatta, perché la bellezza che desiderava portare superava quella che le più abili sarte sapevano riprodurre, e per ottenere altri vestiti adatti alla sua aspirazione obbligava il popolo a pagare imposte sempre più gravose. Così fece per diverso tempo, finché i sudditi, non potendo più sopportare i suoi mutevoli capricci, le si ribellarono e la fecero prigioniera, confinandola sulla cima dei monti di vetro, in una landa deserta, gelida e ghiacciata che ancora oggi viene chiamata Nöfes.
Relegata in completa solitudine su quelle vette abbandonate, la Samblana venne dimenticata dagli uomini, e sul suo lunghissimo strascico bianco cadde la neve e si formò uno spesso strato di ghiaccio, così che la principessa non poté più spostarsi, né muoversi.
Allora ebbe modo di ripensare al suo regno passato e si rese conto con grande amarezza dei molti torti fatti al popolo che l’aveva amata e onorata, pentendosi profondamente per la severità e la prepotenza che vi aveva rivolto.
In tale dolorosa penitenza stette per lunghi anni, finché un giorno giunsero a lei due bambine molto piccole, le quali dissero di voler reggere la sua veste “affinché ella potesse liberarsi dei legami del ghiaccio” (3). La Samblana si rallegrò per la lieta compagnia che le due piccole ospiti le procuravano, e col passar del tempo altre bambine arrivarono dalla bella principessa, e poi ne vennero altre ancora, e tutte desideravano sorreggere il suo grande strascico per liberarla. Alla fine le piccole ancelle erano talmente tante che riuscirono a scrollare la neve e il ghiaccio dall’abito della Samblana e a sollevarlo, permettendole di muoversi di nuovo. Così, quando giunse il gelido inverno, la principessa cominciò a spostarsi di monte in monte, alla ricerca di un posto che le piacesse più degli altri nel quale stabilirsi. Dapprima visitò la Marmolada, poi si recò sulla Tofana di Mezzo, sulla Fradusta, e infine scelse la chiara vetta dell’Antelao, dove si dice che viva ancora adesso, circondata dai ghiacci, dalla neve e dalle sue bambine.
Sebbene passassero gli anni, infatti, molte giovinette continuarono a recarsi dalla candida fanciulla per offrirle il loro servizio, e ogni qualvolta divenivano più numerose di quanto fosse necessario per sorreggerne il pesante strascico, lei ne congedava alcune, donando loro un pezzetto del suo lucente vestito. E non appena le piccole damigelle lo indossavano, subito diventavano bianche come la neve, avvolte in un etereo biancore luminoso. Allora, e solo allora, se ne volavano via, verso i mondi incantati nei quali vivono tutte le anime luminose. (4)

La bella principessa della neve e dei ghiacciai di cui narrano i racconti dolomitici, altri non sarebbe se non un’antichissima divinità dell’inverno, che con l’avvento della nuova religione patriarcale venne dapprima dipinta come dispotica, ambiziosa e vanitosa, “in base al processo denigratorio delle divinità pagane” (5), e in un secondo momento venne punita ed esiliata fra i ghiacci eterni dei monti di vetro, dove si pensava che nessuno avrebbe più potuto udire la sua voce.
Tuttavia vi fu un tempo remoto in cui la Samblana viveva più vicina al suo popolo, e si aggirava nei boschi e vicino alle sorgenti, mostrandosi sempre benevola, generosa, e amorevole nei confronti degli uomini. Lei era la signora che portava la neve ad imbiancare le valli, ma proteggeva anche i boschi e gli animali dalle gelate. A lei si diceva appartenesse un maestoso e rigoglioso faggio che cresceva nel bosco Bayon, considerato sacro dagli antichi popoli, e sua era anche la piccola sorgente che vi scorreva poco distante, le cui acque erano ritenute magiche e terapeutiche. Si credeva infatti che guarissero da certe malattie, e accrescessero la fertilità nelle donne, che forse la raccoglievano per bagnare il ventre, invocando la dolce protezione della Dea. (6)
Quando ancora viveva fra la florida vegetazione montana, la Samblana aveva creato la prima stella alpina, fiore magico che sboccia solo ai margini dei crepacci e fra le alte rocce di montagna, ovvero nei luoghi più pericolosi e difficili da raggiungere (7), e inoltre aveva donato agli uomini le sue cipolle incantate, che crescevano attorno al laghetto Thigolye – letteralmente “lago delle cipolle”.
Questi magici tuberi, che si potevano cogliere fra i fitti larici e gli abeti rossi che circondavano il piccolo specchio d’acqua, proteggevano dal Barba Gol, un malefico stregone il cui unico intento era quello di gettare le sue infide bategoi – “stregonerie” – sugli uomini per stordirli e ingannarli, ovvero per confonderli e far perdere loro il senso della realtà. Bastava però tener con sé una delle cipolle della principessa per mettere in fuga il mago con i suoi infidi inganni, ed era inoltre sufficiente mangiarne una per guarire da alcune malattie rare e incurabili con le normali medicine dei dottori. (8)
Anche nel gruppo dolomitico di Brenta, a ovest del fiume Adige, si narrava un tempo di certe cipolle incantate, che erano state portate in quelle terre da una misteriosa regina straniera. Questo frammento di leggenda, insieme ad altri disseminati sino a sud delle Alpi, dimostrano che le storie sulla Samblana si diffusero anche in altri luoghi, spostandosi di monte in monte come il suo candido abito.
Con l’avvento del patriarcato, come accennato, la principessa venne dunque confinata sulle alte cime innevate, e nessuno sentì più parlare di lei. Ciò nonostante, una moltitudine di bambine si misero in viaggio per raggiungerla, esprimendo l’unico desiderio di starle accanto e di liberarla dai ghiacci che l’avevano rapita. Chi potevano essere nella realtà queste piccole damigelle dallo spirito antico?

Le figlie bianche della Samblana

Secondo alcune storie, le piccole ancelle della Samblana provenivano dalla terra degli uomini ed erano le anime delle bambine indesiderate, le quali venivano sacrificate dalle madri – o da una donna di conoscenza che svolgeva per loro l’arduo compito – e affidate simbolicamente alle amorevoli cure della principessa. Si credeva infatti che la fanciulla accogliesse con gioia le bimbe nel suo regno incantato, e che le piccole vivessero con lei nella più gaia armonia, fino al momento in cui sarebbero state pronte per volare oltre i ghiacciai.
A tal proposito, un tempo si diceva che la Samblana avesse adottato le molte bambine del paesello di Dobbiaco, nate in considerevole eccedenza rispetto ai maschietti. Le piccole avevano raggiunto il bianco reame accompagnate dalla Luna, che dopo averle dolcemente raccolte come una culla le aveva posate in cima al monte, e lì avevano vissuto a lungo accanto alla loro bianca signora.
In questa storia, come in molti altri frammenti leggendari, gli attributi di vanità e prepotenza della Samblana sono del tutto assenti, e l’origine del suo splendido vestito risulta essere molto diversa da quella più comune. Si dice, infatti, che per onorare la loro madrina, le bambine avevano voluto tessere e cucire per lei l’immenso velo immacolato, brillante più di mille stelle, e questo era talmente grande che la Samblana dovette tagliarlo in pezzetti, donandone uno a ciascuna di loro. Con questi magici lembi, le piccole damigelle si diressero poi sui monti e sulle valli, sui prati coperti di brina, nei boschi e sulle rive dei laghi, e ovunque andassero con il candido velo, lì si posava un soffice manto di neve.
La splendida e lunghissima veste della Samblana, infatti, altro non sarebbe se non l’immensa distesa innevata che ricopre la terra ogni inverno, che si ritrae con l’arrivo della primavera, e che dalla cima del monte Antelao si protende giù nelle vallate, fino ai villaggi abitati.



Da questo mito si deduce che alle bambine della principessa spettasse il gioioso compito di aiutarla a portar la neve sulla terra, proteggendo dal gelo la rigogliosa vegetazione montana.
Tuttavia, secondo un’altra versione della storia, le piccole ancelle, il cui sacrificio venne ricambiato con la nascita nei villaggi di molti maschi, non si fermarono a lungo nel regno d’inverno della Samblana, ma rinacquero sulla terra in forma di tanti dolcissimi colchici, “tutti rosa, tutti uguali”. Questi magici fiorellini erano chiamati Mirandoles della Samblana: “in essi abitavano le anime delle bambine che erano state mandate incontro alla Luna”. (9)

Osservando queste leggende da un punto di vista simbolico, si potrebbe pensare che il sacrificio delle moltissime bambine, che vennero letteralmente sostituite dai maschi, rappresenti l’eco del passaggio dal matriarcato, nel quale regnavano donne e divine sovrane, al patriarcato, in cui i maschi presero a governare al loro posto, relegando le antiche divinità sulla vetta delle montagne, nel profondo delle grotte o nel folto di boschi fitti e inaccessibili. La cultura degli arcaici popoli dolomitici, infatti, era sempre stata matriarcale, e questo è dimostrato anche dalla moltitudine di regine che popolano le leggende più antiche, e dall’assenza di figure maschili di uguale rilevanza. (10)
Se fosse possibile credere a questa interpretazione del sacrificio femminile, allora le bambine potrebbero essere considerate le piccole eredi dell’antica religione delle donne, che vennero simbolicamente esiliate sulla cima della montagna – come già era successo alla loro amata principessa – per permettere ai maschi di prenderne il potere. Lontane dal mondo che non le comprendeva più, restarono fedeli a loro stesse e alla loro tradizione, diventando portatrici di neve e dolci fiori rosa, e formando il gioioso e fanciullesco corteo della Samblana.
A tal proposito, sarebbe bello immaginare, o forse sognare, che le bimbe non fossero state realmente sacrificate, ma che invece avessero raggiunto certe grotte profonde e segrete, fra le nevi e i ghiacci, dove regnava una misteriosa principessa vestita di bianco, o colei che sulla terra rappresentava l’amorevole spirito della Samblana. Raggiunto il suo regno incantato, le fanciulle sarebbero divenute le sue ancelle, e avrebbero imparato giorno per giorno a rendersi sempre più bianche, ovvero a rendere la propria anima sempre più chiara, lucente e leggera, fino a librarsi nei reami sottili come tanti fiocchi di neve, ricongiungendosi alla sorgente armoniosa da cui tutto ciò che è puro e naturale prende vita. (11)

Le Yméles, messaggere della Samblana

Fra le molte damigelle che raggiungevano il regno nevoso della Samblana, si narra che arrivarono un giorno due gemelline, tanto belle e simili che sarebbe stato difficile distinguerle. Le bambine chiesero alla principessa di poterla servire, e lei ne fu molto felice, ma dato che di servitrici per reggere il suo strascico ne aveva a sufficienza, disse che avrebbe dato loro un compito diverso ma molto importante, quello di essere sue messaggere sulla terra e di aiutare in sua vece la buona gente in pericolo.
Da allora molte leggende nacquero sulle piccole Yméles – letteralmente “gemelle” – che erano tanto care al cuore dei montanari. Si diceva che fosse possibile vederle specialmente alle prime luci del mattino, sotto ai riverberi del sole nascente, mentre camminavano tenendosi per mano sugli alti pascoli, fra l’erba umida di rugiada, e fra le rocce e la ghiaia franosa dei ripidi costoni. Se si aveva la fortuna di vederle da lontano, bisognava fermarsi e salutarle con molta gentilezza, calando il cappello e offrendo loro un sorriso, perchè erano messaggere della principessa dell’inverno e il loro aiuto era prezioso.
Le gemelline si premuravano infatti di avvertire gli alpigiani in caso di gravi pericoli, così frequenti sui ripidi e franosi pendii. (12) All’occorrenza, lanciavano grida acute e inquietanti, che riecheggiavano fra le grigie montagne, per segnalare frane imminenti o violenti temporali, e mettevano anche in guardia dall’arrivo della terribile “ombra”, temuta specialmente dai pastori di pecore. Il passaggio rapido dell’ombra sui prati, sui boschi e sulle pendici dei monti, rivelava infatti la presenza dell’enorme avvoltoio degli agnelli, un rapace dagli occhi di fuoco che sorvolava le greggi, basso e minaccioso, per scegliersi la preda più ambita, mentre le pecore terrorizzate si lanciavano in corse folli, finendo spesso col precipitare dai burroni. (13) Le Yméles, però, conoscevano bene tutti i luoghi in cui i grandi volatili avevano nidificato, e non appena li vedevano spiccare il volo correvano ad avvertire i pastori, i quali raggruppavano subito gli animali e poi, con l’aiuto di piccoli specchietti di ottone, rifrangevano i raggi del sole verso l’avvoltoio, abbagliandolo e spingendolo a cercar cibo altrove.
Oltre a proteggere uomini e animali dall’avvoltoio degli agnelli, le buone gemelline avvisavano anche del nefasto comparire del Barba Gol, ovvero mettevano in guardia coloro che lo meritavano dell’avvicinarsi di illusioni e inganni. (14)

Per ringraziare le piccole Yméles della loro benevolenza e del loro soccorso, i montanari solevano indicar loro i boschetti in cui crescevano le fragoline di bosco più dolci, i lamponi più succosi e i mirtilli più deliziosi, poiché si sapeva, ne erano assai golose…
In una delle storie sulle buone gemelline si narra che il primo giorno in cui esse si presentarono alla Samblana, le portarono una bellissima pietra azzurra, che brillava come un piccolo sole e rifletteva tutto il turchese del cielo sereno e dei laghi immoti. Con questa pietra, chiamata Ray – “raggio” – la principessa si fece costruire un piccolo specchio magico, con il quale poteva catturare i raggi del sole invernale e rifletterli fin negli angoli più nascosti, gelidi e ombrosi delle vallate, portando luce e calore laddove ce ne fosse stato bisogno.
Si dice che vicino a Cortina, sulle alture di Pocol, si possa ancora intravedere, nel crepuscolo delle limpide sere d’inverno, il riflesso azzurro del magico Ray, che luccica lontano, sulla cima del monte Antelao… E forse, osservando quel fugace brillio, si può immaginare la bella Samblana che tiene alto il suo specchio lucente, raccogliendo gli ultimi riverberi di sole per offrirli al mondo.

La leggenda della bella principessa e delle sue messaggere, si diffuse in un tempo molto lontano anche a sud delle Alpi e vicino al Lago di Garda. Qui si dice che le due bambine, chiamate les egueles (15), emergessero dalle acque del lago e portassero alle genti i messaggi della loro bellissima regina, che indossava una splendida veste intessuta d’argento e trascorreva ogni inverno sotto lo specchio d’acqua, nel suo regno incantato. (16)

***

Sebbene esiliata fra i ghiacci, in un reame selvaggio fatto di picchi innevati e nude rocce, ma anche di caverne nascoste agli occhi dei mortali, la principessa Samblana non venne dimenticata da tutti, ma sopravvisse grazie al prezioso lavoro di rari raccoglitori di leggende. Così è ancora possibile conoscerla, e intuire la sua natura originaria di grande Dea del bianco inverno, dalla pelle chiara come la luna e le vesti ricamate di neve, ghiaccio e brina.
La Samblana fu una divinità delle donne, protettrice della fertilità femminile, madrina delle giovani fanciulle che con devozione si votavano a lei. Signora notturna, lunare, incarnava lo spirito della neve e degli aspetti più dolci dell’inverno, proteggendo e mettendo in guardia gli uomini da quelli più violenti. Nel ciclo stagionale presiedeva alla parte buia e fredda – ma al contempo segreta e ovattata – dell’anno, ed era armoniosamente contrapposta alle lucenti Figlie del Sole, che governavano nel tempo primaverile ed estivo. (17)
Ma la buona principessa era anche maestra di antichi misteri femminili, in quanto insegnava alle bambine a farsi bianche come la neve e le stelle alpine. Per giungere al suo regno bisognava percorrere il sentiero della Luna, ovvero essere condotte dai suoi raggi d’argento, e porsi al suo servizio voleva forse dire ricercare la purezza e il candore dell’anima, fino a quel sacro stato d’essere simbolizzato dal dono del velo bianco, che avrebbe permesso di volare nei regni d’armonia, tutte ricolme di candida luce.
La leggenda più conosciuta sulla Samblana si conclude dicendo che verrà un tempo in cui il suo lungo e pesante abito si sarà talmente accorciato che non toccherà più terra, e quello sarà il giorno in cui anche lei, ormai completamente libera, volerà via, recandosi finalmente “dove camminano le anime beate nello splendore eterno oltre i nevai”. (18)
Allora la signora dell’inverno si ricongiungerà a tutte le sue piccole figlie, e a coloro che da sempre e per sempre l’amarono e le furono fedeli.
Solo le due gemelline resteranno nel mondo, e si aggireranno liete nei boschi e nelle valli, per continuare a offrire buoni consigli e protezione a quegli uomini meritevoli che sapranno, con affettuoso rispetto, porgere loro un gentile saluto.
Ma fino a quel lontano momento, la bella principessa vivrà sulla vetta della montagna, e il suo spirito d’amore potrà essere percepito ovunque si posi una soffice coltre di neve.
E se qualche giovane fanciulla, sfuggita ad un mondo che non la comprende più, vorrà raggiungere il suo regno immacolato, non avrà che da invocar la luna, seguendo il suo sentiero riflesso sulla neve, in una serena notte d’inverno.

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Re: La Samblana, principessa del bianco inverno (Punti: 1)
da Danae 11 Mar 2013 - 21:22
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Finalmente mi sono ritagliata il mio spazio per leggere questo articolo a dir poco meraviglioso! Mi tocca nel profondo proprio perché la finestra della mia camera guarda alle alte montagne che sono così vicine tanto da poter udire suoni lontani come bufere di neve scosse da venti impetuosi che creano una leggera coltre di nebbia sulle cime, il grido delle poiane che girano in cerchio pronte a ghermire la preda o semplicemente perché contente di volare insieme mentre gettano le loro ombre sulla coltre brillante, i cervi e i caprioli che ai piedi del mantello della loro Signora sono alla ricerca di muschi e licheni per riempire i loro ventri. E gli aberi spogli che attendono silenziosi il ritorno dell'Altra Signora... splendido!
Grazie Violetta, hai lasciato trasparire tutta la bellezza mutevole dolce e terribile dell'inverno e della sua bianca sposa. :))



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