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Compendio nato dagli studi del gruppo femminile I Meli di Avalon, dedicato alla Tradizione Avaloniana e a miti, leggende, e fiabe celtiche legate alla simbologia di Avalon.

 

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Per virtù d'erbe e d'incanti
di Erika Maderna

 

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Il Tempio della Ninfa

Eros e Psiche: l'Amore e l'Anima
Lunedì, 18 Maggio 2009 - 23:27 - 7810 Letture
Racconti C’erano una volta in una città lontana lontana, un re e una regina. Un bel giorno ai due sovrani nacque una bambina bellissima, a lungo desiderata, che chiamarono Psiche. Col passare degli anni l’avvenenza di Psiche non faceva altro che aumentare, tanto che era paragonata per aspetto alle Dee immortali, e alcuni pensavano che fosse un’incarnazione di Afrodite stessa, scesa sulla terra per deliziarla con la sua bellezza.



Alla Dea, dal canto suo, non sfuggì la notizia, né a suo figlio Eros.
Tuttavia, nonostante la sua avvenenza prodigiosa, la fanciulla era molto sola, poiché nessuno voleva sposarla, intimorito dal suo aspetto sovraumano, né essa provava amore per alcun uomo.
Gli abitanti della sua città, pensarono che il suo destino fosse molto sfortunato, quando un giorno la videro incamminarsi verso un’altura e, giunta in vetta, essere rapita da un forte vento. Ben presto, però, la dimenticarono, così come gli uomini fanno spesso.

Quando il soffio di Zefiro smise di soffiare e la posò a terra, la giovane poté guardarsi intorno e scorgere uno splendido giardino, illuminato da una dolce luce dorata: meli e melograni portavano sui loro rami foglie, fiori e frutti contemporaneamente, l’erba verde era costellata di fiori dai colori incantevoli e dai profumi inebrianti, un roseto odorava soavemente vicino ad una pianta di mirto, ed una fonte scorreva inargentando le pietre muschiate e mormorando le favole degli Dei. Fra i rami degli alberi cinguettavano tantissimi uccellini, e fra i cespugli coniglietti si rincorrevano ruzzando, mentre i cervi pascolavano mansuetamente senza temere la fanciulla, affascinata dal loro portamento aggraziato. Dietro ad un boschetto di noccioli, circondata da sambuco e biancospino, stava una graziosa casetta d’oro e d’argento, con drappi di seta alle finestre mossi dalla brezza gentile.
Psiche entrò nell’abitazione, poiché non v’erano porte ne cancelli che glielo impedissero, e sentendosi stanca, si sdraiò su un letto di fresche erbe profumate e si addormentò subito, cullata dal canto di una voce splendida, di cui però non riusciva a scorgere la fonte.
Quando la stanza era ormai avvolta dall’oscurità, la fanciulla sì svegliò per una leggera pressione sul volto, e ben presto si rese conto che era stato un bacio a sottrarla dolcemente al sonno, e che qualcuno s’era disteso vicino a lei mentre riposava. Ripresasi dalla sorpresa Psiche si accorse che la vicinanza di quel corpo era piacevole e la sua carne calda e morbida; i capelli dell’incognito visitatore emanavano una dolce fragranza ed il suo tocco era tenero e gentile. Quella notte Psiche e colui che l’aveva raggiunta non dormirono, e passarono il tempo intrattenendosi in lieti giochi amorosi; ma, prima dell’alba, quando l’ambiente era ancora buio e lei non aveva ancora potuto scorgere le sembianze del suo compagno, egli le fece promettere che mai avrebbe tentato di scorgerne il volto, o l’avrebbe perso per sempre. Psiche giurò solennemente, e dopo un ultimo bacio egli se ne andò.

I giorni nel giardino incantato trascorrevano radiosi per la fanciulla, che durante le ore diurne giocava con gli animali e ascoltava le melodie delle voci invisibili, e di notte godeva dell’amore del suo ignoto compagno, fino a quando non le venne la curiosità di conoscerne l’identità.
“Se non vuole che io lo veda” pensava fra sé “sicuramente ha qualcosa da nascondere. Magari è molto brutto, o peggio ancora è un mostro…”
Una notte però, mentre il suo amante la teneva fra le braccia, le rivelò che nel suo grembo era germogliata la vita, e che presto avrebbero avuto una figlia la cui natura, divina o mortale, sarebbe dipesa dal comportamento della madre. Psiche fu talmente felice di quella notizia, che per alcuni mesi non fece più cupi pensieri riguardo all’identità del suo compagno, mentre il suo ventre si gonfiava come la luna crescente.
Poi però gli interminabili pensieri e gli interrogativi senza risposta tornarono a tormentarla, finché, per cacciare ogni dubbio, si risolse a cercare la prova che la sua ragione richiedeva.
Così una notte, dopo che il suo compagno si fu assopito al suo fianco, essa si alzò senza far rumore ed accese una piccola lucerna ad olio, che avvicinò al volto di lui. Ciò che vide la lasciò a bocca aperta: ai suoi occhi si presentava non un mostro repellente, bensì un giovane uomo, poco più che un ragazzo, dalle membra perfette mollemente adagiate sul letto. La sua pelle aveva quel bagliore particolare che è emesso dall’oro colpito dal sole, i suoi riccioli stillanti ambrosia scendevano fin sulle spalle, ed incorniciavano un viso dall’espressione più tenera che mai donna avesse scorto scrutando il suo amante; sulla schiena dove spiccavano i muscoli robusti, c’erano due ali candide imperlate di rugiada. Altri egli non era se non il divino Eros, il figlio di Afrodite che porta l’Amore.
Mentre Psiche contemplava estasiata quello spettacolo sublime, alcune gocce d’olio bollente caddero dalla lucerna, ed andarono a scottare la spalla nuda del bellissimo giovane, il quale si svegliò. Quando vide la sua sposa dinnanzi a sé, che ancora teneva fra le mani il lumino, il suo volto immortale fu attraversato per un momento dalla tristezza ed a lei rivolse queste parole:
“Perché, mia dolce Psiche, hai voluto vedermi? Perché hai ascoltato i tuoi dubbi, infrangendo così la promessa che mi facesti? Sei stata così folle da ascoltare il cattivo consiglio della curiosità! La mia fuga, la mancanza di tutto ciò che hai ora, questa sarà la tua punizione.”
Detto ciò aprì le ali ed in pochi istanti volò via, nel cielo trapunto di stelle.

Enorme fu la disperazione di Psiche, la quale, cacciata dal delizioso giardino dove aveva conosciuto l’Amore, iniziò a vagare per il mondo assumendo un aspetto sempre più misero e dimesso. Afrodite, venuta a conoscenza dell’accaduto, mandò la Consuetudine sulla sua strada, per vedere se l’abitudine ai giorni che passano tutti uguali riuscisse a farle dimenticare Eros, ma Psiche resistette, nonostante l’enorme vuoto che percepiva in sé. Allora fu raggiunta da Angoscia e Tristezza, e sperimentò le sofferenze e i mali che affliggono i mortali; essa, però, continuò a cercare qualche traccia del suo perduto Sposo, senza per altro riuscire a trovarne.
Un giorno, durante il suo vagabondaggio, raggiunse il tempio di Demetra sperando di trovarvi ristoro e magari qualche indizio che potesse indirizzarla verso il luogo dove dimorava Eros, ma la Dea, anche se commossa dalle sue preghiere, non volle ospitarla poiché Afrodite la stava mettendo alla prova. In seguito Psiche si trovò davanti al tempio di Hera, ed anche questa non le permise di fermarsi a riposare, poiché non voleva andare contro il desiderio della sua immortale parente.
Alla fine, logorata dalla stanchezza e dall’abissale mancanza che sentiva dentro, Psiche decise di incamminarsi verso il tempio dove risiedeva Afrodite con l’intenzione di mettersi alla sua mercé e sottostare ad ogni sua decisione, visto che non poteva accaderle nulla di peggio di ciò che già aveva sperimentato.
La Dea, quando Psiche giunse al suo cospetto, decise di affidarle alcuni compiti, per capire se essa era realmente degna di essere una delle amanti del suo bellissimo figliolo.

Come prima cosa, le ordinò di separare da un cumulo enorme i semi di frumento, di papavero, d’orzo, di miglio e di legumi, prima che scendesse la notte, o non avrebbe più potuto godere della vicinanza di Eros. Sembrava un compito impossibile, e Psiche stava per abbandonarsi alle lacrime, poiché amava molto il suo compagno e non avrebbe saputo vivere ancora senza di lui, quando una formichina entrò nella stanza e le disse di non disperare: chiamò le sue piccole compagne ed ecco che a sera sul pavimento c’erano tanti piccoli mucchietti formati dai diversi tipi di semi.

Afrodite però non era ancora convinta, quindi condusse la fanciulla in un prato costeggiato da un fiume, dove pascolava un gregge di pecore dal vello d’oro. Psiche avrebbe dovuto prendere tre fiocchi di lana dorata, senza però farsi uccidere dagli animali, che durante il giorno assalivano chiunque si avvicinasse loro. Nuovamente la giovane pensò che quell’incarico era molto difficile, ma la speranza di rivedere il bel viso di Eros la sostenne, e mentre rifletteva sul da farsi udì una voce mischiata alla brezza. Era la ninfa del fiume che da una verde canna le parlava saggiamente: “Bella Psiche, non temere! L’unica cosa che devi fare è attendere; durante il giorno le pecore sono violente, ma quando scende il crepuscolo esse si ammansiscono. Allora potrai avvicinarti e prendere la lana rimasta impigliata fra i rovi.”
La giovane seguì quelle istruzioni, ed attese, seduta sotto un platano, che l’aria si facesse fresca ed il cielo si scurisse; poi raccolse la lana e poté tornare dalla Dea, avendo eseguito il compito affidatole.

La Signora della Voluttà però, decise di affidarle un’altra impresa, ancora più difficile, per accertarsi della natura del suo Amore. Le pose fra le mani un’anforetta di cristallo, che doveva essere riempita con l’acqua dello Stige, il fiume infernale che è garante dei giuramenti degli Dei.
Indirizzò la giovane verso un alto e scosceso colle, dove crescevano intrichi di rovi fra i quali si aggiravano inquietanti mostri; in cima ad un pericoloso crepaccio si trovava la sorgente stigia, le cui gocce, animate di vita propria, si tuffavano subito sotto terra ed ammonivano con paurose minacce chiunque si avvicinasse.
La fanciulla si stava chiedendo come avrebbe fatto a portare a termine quella pericolosissima missione, quando un’aquila la vide e, raggiuntala, si fece spiegare perché si trovasse in quel luogo desolato. Apprese le sventure che le erano capitate, volle aiutare colei che era stata la Sposa di Amore, poiché aveva molto rispetto per quel Dio; dunque, volando con il recipiente stretto fra gli artigli, riuscì a raggiungere la sorgente e a catturare un po’ d’acqua.

La giovane tornò quindi da Afrodite, la quale volle verificare la sua determinazione un’ultima volta. Le affidò una scatola di legno intarsiato e le disse di scendere nell’Ade, nel regno oscuro di Persefone, dove avrebbe dovuto chiedere alla Regina un po’ della sua bellezza, da riportarle chiusa nel cofanetto.
Psiche avrebbe dovuto scendere nel mondo dei morti e da esso fare ritorno! Questa volta si sentiva perduta, poiché aveva udito che l’unico modo per arrivare nell’Aldilà era farsi prendere dalla morte, ma in quel caso, come avrebbe potuto tornare indietro?
D’altra parte però, avrebbe preferito perire nel tentativo, piuttosto che precludersi per sempre la possibilità di ricongiungersi al suo amato Eros. Mentre camminava riflettendo sul da farsi, un’alta torre la vide, e notando il suo stato le chiese cosa l’affliggesse. La fanciulla le raccontò ogni cosa, e la torre le risposte in tal modo:
“Conserva la speranza Psiche! Esiste un modo per portare a buon termine la tua prova: dovrai scendere nell’Ade con due monete in bocca e due focacce fra le mani. Fai attenzione, non lasciarle mai andare, perché così facendo non potresti più uscire da quel tetro regno. Giungerai alle sponde di un fiume, e lì lascerai che Caronte, il traghettatore, prenda una moneta dalle tue labbra, in cambio del passaggio nella sua barca. Più avanti incontrerai Cerbero, il cane a tre teste che è a guardia della Casa di Persefone; lanciagli una delle focacce in modo che non ti sbrani. Arrivata al cospetto della Signora dei morti falle la tua richiesta, e ottenuto ciò che vuoi fai il percorso a ritroso, gettando al cane la seconda focaccia e pagando Caronte con l’ultima moneta. Quando rivedrai la dolce luce del sole, sarai salva ed il tuo compito sarà concluso.”
Psiche seguì i consigli della saggia torre e riuscì ad uscire sana e salva dal buio Ade, con la scatola stretta fra le mani.
Com’era bello vedere di nuovo i raggi lucenti del sole che illuminavano ogni cosa, sentire il vento sulla pelle ed osservare quanti splendidi colori vi fossero al mondo!
Psiche era riuscita nel suo intento, e presto avrebbe rivisto il suo amatissimo compagno; la sua attenzione però fu attratta dallo scrigno e da ciò che conteneva. Rifletté per un attimo e poi, si risolse a sollevare il coperchio, per poter beneficiare di un poco di quella bellezza che le era costata tanta fatica, in modo che il suo amante ritrovato potesse godere del suo bell’aspetto. Dentro alla scatola, però, c’era un sonno profondissimo che l’avvolse in un istante, ed essa cadde a terra come morta.

A quel punto Eros, che aveva seguito tutta la vicenda e aveva visto che Psiche aveva portato a termine tutte le sua prove, la raggiunse e, strettala a sé, la risvegliò con un dolcissimo bacio. Quando i due raggiunsero l’Olimpo dove vivevano gli Dei, la prima a stringere a sé la Sposa fu Afrodite, felice che il figlio avesse trovato una degna compagna e che essa avesse brillantemente superato tutte le prove. Al banchetto di nozze presero parte tutti gli immortali, e al momento del brindisi, Zeus, il Padre Divino, offrì a Psiche un calice contenente l’ambrosia, che la rese immortale.

Fu così che la fanciulla mortale Psiche divenne l’Amante divina di Eros, e quando la loro figlia nacque la chiamarono Edonè, “piacere”.
Ed essi vissero e vivranno per sempre felici, insieme agli altri Immortali. (1)

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Re: Eros e Psiche: l'Amore e l'Anima (Punti: 1)
da Violet 19 Mag 2009 - 13:11
(Info utente | Invia il messaggio) http://www.tempiodellaninfa.net)
La fiaba che hai riscritto è una delle più belle che io abbia mai letto... è incantevole... mi ha commossa e mi ha lasciato gli occhi lucidi fino alla fine... *.*
E il tuo studio è meraviglioso... scritto con una dolcezza fanciullesca stupenda... ed è un aiuto importantissimo per tutte le Fanciulle che cercano, che percorrono la loro Via e che forse, un giorno, abbracceranno Amore per volare insieme a Lui oltre ogni luogo e ogni tempo.
Splendida Elke... sempre più splendida... *.*

Re: Eros e Psiche: l'Amore e l'Anima (Punti: 1)
da Alessandro 19 Mag 2009 - 18:49
(Info utente | Invia il messaggio) http://creviceweeds.over-blog.net)
Mi piace moltissimo il mito narrato come fiaba: mi sembra una forma estremamente significativa, che suggerisce molte riflessioni e molte associazioni. Mi piace come sono costruite le interpretazioni. È molto vicino a qualcosa che ho sempre sentito il ricordo dell’armonia conosciuta in un tempo «indistinto e lontanissimo», che permette di non lasciarsi annullare dal vuoto della Consuetudine. Credo che sia essenziale la consapevolezza di «aver conosciuto qualcosa di splendido e infinitamente armonioso, completamente diverso da ciò che [si] sta vivendo», qualcosa di connesso ad Amore. Mi sono soffermato sulla comprensione «al cospetto dell’immortale bellezza di Persefone», equivalente di Afrodite; sull’immagine e sul significato di Voluptas; sulla «conoscenza che nasce in silenzio e nel silenzio è custodita». Bellissimo! Grazie, Elke… :***

Re: Eros e Psiche: l'Amore e l'Anima (Punti: 1)
da Danae 21 Mag 2009 - 22:30
(Info utente | Invia il messaggio)
Che meraviglia.. non avevo mai approfondito questo mito, grazie Elke!
Credo che ogni donna avrebbe voluto vedere il volto, lo sguardo del proprio amante, non tanto per l'aspetto esteriore ma per scoprirne un Mistero..



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